Temi e protagonisti della filosofia

Nietzsche, Bergson, Husserl, Heidegger, Deleuze: sul divenire eracliteo (8)

Nietzsche, Bergson, Husserl, Heidegger, Deleuze: sul divenire eracliteo (8)

Dic 23

 

Articolo precedente: Nietzsche, Bergson, Husserl, Heidegger, Deleuze: sul divenire eracliteo (7)

 

8. Bergson: il concetto di durata

 

Bergson è il secondo protagonista di questo lavoro; egli non ha relazioni, almeno che io sappia, con Nietzsche. Bergson è, invece, uno dei maggiori autori che hanno ispirato il pensiero di Deleuze e spesso è accostato ad Husserl per via dell’interesse comune verso la costruzione di una filosofia che parte dal mondo della vita. Come Husserl Bergson costruisce la sua filosofia sul concetto di vissuto. Il vissuto è certamente l’esperienza base della vita, ciò che noi viviamo tutti i giorni: ricordi, giudizi, percezioni, dolori, emozioni, sensazioni di ogni genere. In Materia e memoria Bergson distingue una realtà puramente esterna della materia, che si riduce ad un insieme di immagini oggetto di percezione, ed una realtà puramente virtuale della memoria e del nostro mondo interno, realtà che è la vita stessa, la quale non può darsi in quelle semplici immagini morte che abbiamo di fronte ai nostri occhi quando vediamo gli oggetti che ci circondano. I vissuti sono del tutto inseparabili dal tempo, sono lo stesso fiume della vita che scorre: il flusso della coscienza, per dirla con William James, autore con cui Bergson era in contatto. Filosofi come Husserl [27], Bergson e James si sono accorti che è molto difficile, se non impossibile, rintracciare un io all’origine di questi vissuti o al loro interno. L’io sarebbe sullo stesso piano di questi vissuti; questo io è l’io empirico e non c’è altro io che questo. Noi in realtà non siamo altro che una porzione di questi vissuti. La realtà del vissuto implica una dimensione virtuale e non spaziale. Bergson afferma che ogni ente deve occupare un luogo diverso dal momento che due cose non possono stare nello stesso posto; questo accade per i corpi perché sono estesi e finiti. Quando parliamo della realtà interiore, del virtuale, non possiamo riferirci ad essa in termini spaziali, quindi non si possono fare distinzioni nette: dire questo sono io, quello sei tu. Noi siamo semplicemente questa porzione di vissuti: la nostra storia, la nostra vita. Se siamo vissuti, allora siamo essenzialmente temporali.

Scriverò qui del tema del tempo in Bergson, in particolare della durata. La durata è la temporalità di tutti noi perché noi stessi duriamo e quindi siamo essenzialmente temporali. Bergson è importante per la storia della filosofia, relativamente al concetto di tempo, per aver criticato e smascherato una vecchia e millenaria concezione del tempo che confondeva il tempo con lo spazio. La spazializzazione del tempo risulta dall’omogenizzazione del tempo. Nella pura durata, dice Bergson, non c’è separazione tra il presente e l’attimo precedente. Accade diversamente per il tempo spazializzato ridotto a linea e quindi geometrizzato: in questo caso noi segmentiamo dividendo gli istanti passati da quello presente. Tuttavia non dobbiamo mai dimenticarci che possiamo farlo solo in virtù del fatto che abbiamo una memoria e ricordiamo l’istante precedente rispetto a questo. Si può considerare una melodia come una successione di note, ma, se ci chiediamo come realmente le cose ci appaiono, ci accorgeremo che questa divisione siamo noi che l’abbiamo imposta: in verità noi sentiamo una sola melodia continua. Parlare di tempo nei termini di successione di istanti per Bergson vuol dire introdurre lo spazio nel tempo. Quando ci riferiamo alla durata parliamo di un fluire continuo, un tempo che non è nemmeno propriamente quantificabile; il tempo degli orologi, infatti, dal punto di vista di Bergson, non è altro che una convenzione della società, convezione che è comunque utile, altrimenti non potremmo nemmeno prendere appuntamenti, avere orari di lavoro [28] e misurare il tempo. La durata, tuttavia, è una grandezza intensiva e non è misurabile.

Quando seguo con gli occhi sul quadrante di un orologio il movimento della lancetta che corrisponde alle oscillazioni del pendolo, non misuro la durata, come potrebbe sembrare; mi limito invece a contare delle simultaneità, cosa molto diversa. Al di fuori di me, nello spazio, vi è un’unica posizione della lancetta e del pendolo, in quanto non resta nulla delle posizioni passate. Dentro di me, si svolge un processo di organizzazione o di mutua compenetrazione dei fatti di coscienza, che costituisce la vera durata. Mi rappresento ciò che io chiamo le oscillazioni passate del pendolo, nello stesso tempo in cui percepisco l’oscillazione attuale, proprio perché io duro in questo modo. [29]

Questo brano appartiene al secondo capitolo della tesi di dottorato di Bergson (Saggio sui dati immediati della coscienza) dal titolo “Sulla molteplicità degli stati di coscienza. L’idea di durata”. A questo capitolo ne segue un terzo sul tema della libertà, dal titolo “Sull’organizzazione degli stati di coscienza. La libertà”. Il tema della libertà è strettamente connesso a quello del tempo: noi non possiamo compiere un’azione libera che non sia nel presente. Si agisce solo nel presente, altrimenti o si ha già agito o si deve ancora agire, ma se siamo liberi e vogliamo compiere un’azione libera non possiamo che farlo qui ed ora. Questo non è il ragionamento di Bergson, che prende un’altra strada; questo ragionamento muove in un’altra direzione presa prima di Bergson: quella di Kant. Kant arriva in un certo senso a collocare la libertà fuori dal tempo in un qualche presente. Nella Critica della ragion pura lascia aperto il problema della libertà, ma nella Critica della ragion pratica Kant riprende il tema della libertà e dice che noi siamo liberi perché è la legge morale che ci rende tali: se noi dobbiamo, possiamo. È evidentemente impossibile pensare che la libertà sia da considerare come parte di questo mondo fenomenico soggetto alle leggi della natura, alla causalità. Dal punto di vista fenomenico non possiamo definirci liberi, in quanto tutto è già determinato dalla causalità e la causalità ha natura temporale in quanto è una successione di cause ed effetti. Kant nella Critica della ragion pratica comincia a pensare un soggetto noumenico, cioè il soggetto morale, che può definirsi libero visto che se deve agire seguendo la legge morale può realmente farlo. Kant pensa la libertà come origine di una serie causale, ma non si tratta della stessa serie causale del mondo fenomenico; questa serie causale parte da un presente e si inserisce nell’altra serie per apportare dei cambiamenti. Ho già spiegato in che senso il presente non si concilia con la nozione di tempo. Inoltre il tempo per Kant è la forma della sensibilità, ovvero qualcosa che ordina i dati sensibili e stati interni in successione. Il tempo in Kant si riferisce perciò ai fenomeni, la libertà appare qui fuori da esso.

Bergson pensa invece la libertà nel tempo, nella durata. Nel terzo capitolo che precedentemente ho citato Bergson analizza le posizioni dei deterministi e di chi crede nel libero arbitrio. Bergson afferma che i deterministi tendono semplicemente a dire che, una volta che un uomo ha compiuto una scelta, lo ha fatto e tutto è già determinato: si tratta solo di capire cosa lo ha determinato in una scelta. Chi crede nel libero arbitrio, dice Bergson, tende a sottolineare quell’attimo di indecisione, di tensione, in cui l’uomo si trova coinvolto prima di decidere; questo, dice Bergson, vorrebbe dire solo che prima di scegliere quell’individuo non ha ancora scelto. Il punto, secondo Bersgon, sarebbe cercare di non determinare la libertà: la libertà non è altro che spontaneità, semplicemente un agire non automatico e meccanico [30]. Qui di nuovo il riferimento è al tempo: il determinista e chi crede nel libero arbitrio scompongono il tempo spazializzandolo, parlando di istanti di scelta, invece di pensare la durata come qualcosa di continuo. Solo il continuo della durata rende concepibile l’idea bergsoniana della libertà come spontaneità.

 

Note

[27] Almeno per quel che riguarda le Logische Untersuchungen.

[28] Si potrebbe forse ora rileggere in un modo diverso l’alienazione nella filosofia di Karl Marx. Karl Marx pensa il tempo come equivalente generale delle merci, la vera misura del lavoro astratto. Il tempo di cui parla Marx è il tempo quantificato dell’orologio; questo secondo alcuni dà un senso di scientificità alla teoria del valore in Marx. Marx tuttavia si preoccupa anche del tema della vita: il tempo in Marx, ha notato un certo Vittorangelo Orati nel suo scritto Produzione di merci a mezzo lavoro, sottende tutta un’ontologia della vita. Il tempo della vita tuttavia, ci dice Bergson, è la durata e non il tempo quantificato, ma una forma di alienazione potrebbe darsi semplicemente dalla conversione dell’una nell’altro.

[29] Bergson, Henri, Saggio sui dati immediati della coscienza, Cortina, Milano, 2011, p. 71.

[30] Nel film Ex machina Caleb Smith, programmatore, partecipa ad un test di Tuning con un robot costruito da Nathan Bateman, amministratore delegato della società Blue-Book (nome che si ispira al famoso Libro blu di Wittgenstein). Il test di Tuning è un test dove un soggetto viene fatto parlare con una macchina senza che lui possa vedere che è una macchina. Il test viene superato se il soggetto non riesce a riconoscere che l’interlocutore con cui parla è una macchina, nel qual caso la macchina si definirà “intelligenza artificiale”. Bateman tuttavia cambia un po’ il test di Tuning dicendo che a lui interessa avere un robot che sia capace di innamorarsi e fare sesso, che sono due azioni che noi non facciamo automaticamente, ma che, in un certo senso, sono spontanee o non comandate. In una scena di fronte ad un quadro di Jackson Pollock Bateman spiega che lui vuole raggiungere con il robot lo stesso obbiettivo che si era posto Pollock nei suoi quadri: cercare un agire non meccanico o comandato. Questo modo di agire secondo me potrebbe essere definito spontaneo. Se è vero che la libertà è spontaneità, trovare un modo per far agire spontaneamente un robot vorrebbe dire renderlo libero, forse proprio come noi lo siamo. Questo dovrebbe essere una delle sfide future della robotica.

 

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