Nietzsche, Bergson, Husserl, Heidegger, Deleuze: sul divenire eracliteo (5)
Nietzsche, Bergson, Husserl, Heidegger, Deleuze: sul divenire eracliteo (5)
Dic 10
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5. Nietzsche e l’eterno ritorno
Se il mondo può essere pensato come una determinata quantità di energia e come un determinato numero di centri di forza ‒ e ogni altra rappresentazione rimane indeterminata e quindi inutilizzabile ‒ ne segue che nel grande gioco di dadi della sua esistenza deve attraversare un numero calcolabile di combinazioni. In un tempo infinito, ogni possibile combinazione deve realizzarsi almeno una volta; di più: deve realizzarsi infinite volte. E poiché fra ogni “combinazione” e il suo successivo “ritorno” dovrebbero intercorrere tutte le rimanenti combinazioni possibili in generale, e poiché ognuna di queste combinazioni condiziona l’intera successione di combinazioni della medesima serie, sarebbe dimostrato un ciclo di serie assolutamente identiche: si dimostrerebbe che il mondo è un ciclo che si è già ripetuto un’infinità di volte e che gioca in infinitum il suo gioco. [15]
In Così parlo Zarathustra si trova un capitolo dal titolo “La visione e l’enigma”. Qui Zarathustra racconta una storia mentre si trova sulla barca con dei marinai. Nella storia Zarathustra sta percorrendo un sentiero in salita. Mentre lui cerca di andare verso l’alto, uno spirito di gravità lo conduce verso il basso. Questo spirito di gravità è incarnato da un nano che gli sussurra nell’orecchio pensieri di piombo. Il nano paragona il suo cercare di andare verso l’alto all’inutile tentativo di lanciare una pietra in aria, la quale per necessità cade di nuovo in terra per via della legge di gravità. Zarathustra ad un certo punto decide che non ce la fa più e vuole affrontare questo nano. Lo sfida direttamente sul piano della filosofia: quello del pensiero dell’eterno ritorno. Zarathustra si ferma e indica una porta, dice che questa porta ha due facce, che per passare da una all’altra ci vorrebbe un’eternità; un lato della porta e l’altro sono infatti divisi dall’eternità. La porta si chiama “attimo”. Queste due strade che partono dalla porta sembrano contraddirsi perché vanno in direzioni opposte, sembrano cioè sbattere l’una contro l’altra, eppure ciò non sarà per sempre. Il nano indovina subito di cosa sta parlando e gli dice che non ci sono verità dritte, che tutto fa una curva, che il tempo stesso è un circolo. Questa strada che attraversa la porta, dice Zarathustra, è già stata percorsa e dovrà essere percorsa ancora infinite volte. Mentre Zarathustra riflette su ciò sente un cane ululare e questo lo porta a ricordarsi di un evento dell’infanzia. Questo evento è già stato e proprio ora ritorna. Tornato in sé non vede più il nano, ma ha la visione di un pastore che è strangolato da un serpente. Zarathustra lo vede in difficoltà e gli grida di mordere la testa del serpente e sputarla. Quando il pastore si è liberato dal serpente, il pastore è trasformato e ride.
Il serpente rappresenta il pensiero opprimente dell’eterno ritorno da cui il pastore deve liberarsi; anche il nano ha proprio questo significato per Zarathustra. La dottrina dell’eterno ritorno potrebbe essere vista come l’idea del destino, di un tempo circolare in cui passato e futuro coincidono perché tutto ciò che è sarà ed è nello stesso tempo già stato. In un cerchio non c’è un punto di partenza e nemmeno una fine. Queste due, se fossero identificabili, coinciderebbero. Inoltre in un tempo circolare è impossibile distinguere il passato dal futuro. Spesso noi distinguiamo il passato dal futuro semplicemente ponendo uno prima del presente e l’altro dopo. In questo caso il tempo curva, come afferma Zarathustra, quindi le strade che passano nell’attimo non si contraddicono, sono una sola che torna incessantemente. Si potrebbe pensare che il pensiero dell’eterno ritorno di Nietzsche sia semplicemente lo speculare della concezione del tempo degli stoici o del mondo pagano, ma non è così.
In Nascita della tragedia Nietzsche sembra tornare ad una qualche visione pagana, cerca una continuità tra la tragedia greca e Wagner, mette in continuità Dioniso con Wotan, afferma il mondo dionisiaco come il grande aperion di Anassimandro. Infatti Anassimandro sostiene che l’esistenza delle cose non è che il pagare la colpa per essersi allontanate da un Uno originario perduto della natura, cosicché ha senso dire che la cosa migliore per l’uomo è “non nascere mai e se nasce morire il prima possibile”, secondo il motto sapienziale del satiro citata dallo stesso Nietzsche. Tuttavia successivamente Nietzsche si muove sempre più verso un ateismo radicale proclamando la morte di Dio. Anche i pagani credevano nel destino, pensavano che tutto fosse stato già stabilito dagli dei e che non potessimo nulla contro questo; ciò appare ad esempio nella religione odinista. Tuttavia l’eterno ritorno di Nietzsche non è semplicemente una rievocazione di questo: Nietzsche cerca una versione atea del destino, un destino senza Dio o gli dei, non un destino come necessità, ma come caso. L’eterno ritorno, si legge nella citazione che ho inserito all’inizio di questo paragrafo, è una questione di probabilità limitate e di lanci di dadi.
Nietzsche oscilla sempre tra due visioni dell’eterno ritorno: una visione cosmologica dell’eterno ritorno che vorrebbe fare dell’eterno ritorno qualcosa di effettivo, il che comporterebbe il credere realmente che tutto torna e noi dovremmo davvero rivivere la nostra vita da capo; un’altra visione etica dove l’eterno ritorno si riduce a metafora, secondo la quale noi dobbiamo pensare come se tutto tornasse semplicemente perché, se noi siamo disposti a rivivere la nostra vita infinite volte, vuol dire che la vogliamo e che l’amiamo. Sul primo tipo di visione dell’eterno ritorno si notino tutti quegli sforzi che compie Nietzsche per dimostrare attraverso la fisica che l’eterno ritorno è reale, come accade ad esempio proprio nella citazione che ho inserito all’inizio della sezione. Per quanto riguarda l’altra visione dell’eterno ritorno, essa concerne il cosiddetto “amor fati“: ama il tuo destino e la tua vita perché non hai altro. È curioso come da questa concezione dell’etica scaturisca un concetto di felicità che a mio avviso è completamente nuovo: Nietzsche trasforma di fatto la felicità in una scelta, in un modo d’essere volontario. Se noi possiamo amare la vita solo se lo vogliamo e da questo consegue la felicità, si tratta di una scelta. La felicità non dipende più da qualcosa di esterno, dalla fortuna nell’esistenza ad esempio. Comunque vada la vita e la sorte basta affermare la vita. Affermare la vita vuol dire affermare ogni istante della propria esistenza. Queste due visioni dell’eterno ritorno sembrano incontrarsi su un punto: l’attimo che ritorna è ciò che è. Se tutto diviene non si può dire che le cose sono più che non sono. Forse il divenire potrebbe condurre al nichilismo, non trovandosi in esso nessun essere stabile. Tuttavia se le cose ritornano possiamo stare certi che sono, proprio perché ritorneranno e saranno ancora come sono già state. Questo fatto lega direttamente l’essere con il tempo. L’essere delle cose è temporale e questa affermazione mi sembra essere uno dei pensieri che più sono penetrati nello sviluppo di quella che noi conosciamo come filosofia continentale.
Note
[15] Nietzsche, Friedrich, La volontà di potenza, Bompiani, Milano, 2008, p. 560.
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