Nietzsche, Bergson, Husserl, Heidegger, Deleuze: sul divenire eracliteo (27)
Nietzsche, Bergson, Husserl, Heidegger, Deleuze: sul divenire eracliteo (27)
Mar 24
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27. Deleuze: il divenire animale
Il tema del divenire attraversa tutto il pensiero di Deleuze, non solo quello del primo periodo. Anche in Mille piani è trattato il tema del divenire, nel saggio sul divenire-animale. Cosa significa divenire-animale? Si tratta di una particolare forma di divenire. Non sarebbe l’unica; infatti ci sono anche altre forme di divenire: divenire-adulto, divenire-bambino, divenire-donna, divenire-negro, ecc. Il divenire-animale concerne l’animale e questo implica una revisione totale dell’animalità da parte di Deleuze; non solo dell’animalità, ma anche di una specie di irrazionale. Non bisogna mai dimenticare che il vero soggetto di Mille piani è il desiderio, ma il desiderio rappresenta la parte più istintuale di noi stessi. Questa parte dell’anima umana è stata spesso definita dai filosofi come animalità, ed è stata pressoché sempre considerata negativamente. In Deleuze, invece, sembra che il desiderio sia buono, ma che siano la società, lo Stato, le strutture del potere a volerlo assoggettare e convertire. L’unico caso paradossale che si trova a dover spiegare Deleuze è perché le persone combattano per la schiavitù e abbiano voluto il fascismo. Questo paradosso Deleuze lo spiega facendo riferimento alla psicoanalisi di Wilhelm Reich secondo la quale il fascismo ha origine desiderante; infatti non si può dire che i tedeschi siano stati semplicemente ingannati, che credevano che Hitler facesse i loro interessi; non si capirebbe nemmeno perché molti erano ancora legati al nazismo anche quando tutto era finito; dunque il fascismo è stato desiderato: questo è uno dei pericoli del desiderio. A parte questo dettaglio Deleuze è un roussoviano, crede davvero che gli uomini nascano buoni e siano poi resi cattivi dalla società. Questi uomini buoni o buoni selvaggi sono gli stessi nomadi. La rivalutazione del desiderio diventa rivalutazione dell’animalità in una prospettiva roussoviana [92]. Il divenire-animale è un processo virtuale come ogni forma di divenire, quindi non è un’identificazione o qualcosa che mira ad uno stato di cose. Non è un’identificazione perché il divenire è un processo e l’identità non è un processo; infatti l’identificazione bloccherebbe il processo. Insomma Deleuze non dice che io e l’animale diventiamo la stessa cosa, ma semplicemente che c’è un’univocità dell’essere nel divenire, che quindi il divenire si dice in un solo senso. Nel divenire-animale nessuno sta imitando nessun altro, non è nemmeno una recita teatrale dove si imita o si fa finta di essere: che divenire sarebbe a quel punto? Infine non è nemmeno il diventare davvero quell’animale particolare: infatti in questo modo verrebbe confuso l’attuale con il virtuale. Il divenire non riguarda l’attuale, non è l’attualizzazione di una mutazione genetica, anche se le mutazioni genetiche rimangono ancora quel modello di decodificazione a cui certamente il divenire rimanda. Dunque non si diventa scimmie, non si imitano le scimmie, non ci si identifica nemmeno con le scimmie; semplicemente il divenire-scimmia riguarda un processo del desiderio attraversato da affetti. Capire il divenire-animale significa cominciare a tuffarsi in una dimensione impersonale attraversata da singolarità libere dove non si trovano più i grandi soggetti molari distinti [93]. A partire dalla dimensione pre-individuale gli affetti sono comunicati e passano da un individuo all’altro come nel trans-individuale. Si potrebbe dire senza errore che il divenire-animale è un processo di deterritorializzazione [94]. Questo processo è il divenire, ma non è pura fantasia, è Reale. Il divenire si divide in blocchi di singoli divenire: divenire-babbuino del gatto, divenire-topo, divenire-cavallo. Ogni divenire-animale non coinvolge mai un solo animale isolato, ma sempre delle bande di animali e delle molteplicità. Il divenire-animale non è altro che un attraversare queste molteplicità passando di molteplicità in molteplicità. Questo divenire segue uno schema ben preciso: non si diviene X, senza che X divenga Y. Noi diveniamo cane, babbuino o altro ancora, a condizione che il cane, il babbuino o altro ancora diventino qualcos’altro. Normalmente Deleuze riferisce il divenire-animale agli artisti. Per esempio: un artista che dipinge un pavone, proprio perché l’arte non è imitazione, si trova coinvolto in un divenire-pavone, mentre il pavone diviene puro colore steso sulla tela.
Il caso Hans comprende diversi divenire-animale in cui principalmente si trova coinvolta la figura del cavallo: Hans sembra provare una sensazione di angoscia di fronte a cavalli con la cinghia nera. Secondo Deleuze si tratta di una esperienza simile a quella avuta da Nietzsche con un cavallo che veniva frustato davanti al teatro Carignano di Torino. In entrambi i casi il divenire-animale si instaura di fronte alla visione di un animale sofferente: Nietzsche di fronte al cavallo frustato reagì abbracciandolo, Hans, invece, provava angoscia quando vedeva questi cavalli accasciarsi a terra, presumibilmente per la fatica derivata dall’ingente peso che erano costretti a portare sul dorso. Il divenire-animale apre dei veri circuiti di affetti: il mordere del cavallo, lo scalpitare del cavallo, ecc. Tuttavia non va mai commesso l’errore di pensare che si tratti solo di una forma di immedesimazione, altrimenti tutto tornerebbe ad essere un modo dell’identificazione. È una strategia del desiderio quella del divenire, essa apre le porte a nuove forme di politica: lottare contro il razzismo diventando noi stessi neri, lottare per i diritti degli animali diventando noi stessi animali, o meglio, entrando in divenire-animali [95].
Quando Hofmannsthal contempla l’agonia di un topo, è in lui che l’animale “digrigna i denti al mostruoso destino”. E non è un sentimento di pietà, egli precisa, ancora meno di un’identificazione. Si tratta di una composizione di velocità e di affetti tra individui completamente diversi, una simbiosi tale che il topo diventa un pensiero dell’uomo, un pensiero febbrile nello stesso tempo in cui l’uomo diviene topo, topo che stride agonizza. Il topo e l’uomo non sono assolutamente la stessa cosa, ma l’Essere si dice dei due in un unico, in uno stesso senso, in una lingua che non è più quella della parola, in una materia che non è più quella delle forme, in un’affettibilità che non è più quella dei soggetti. [96]
Note
[92] Un tema molto trattato su Rousseau è il suo rapporto con i gatti. Rousseau sostiene che l’uomo ha un istinto verso il dispotismo e che per questo non comprende i gatti. I gatti per Rousseau sono animali assolutamente liberi che non si lasciano assoggettare a nessun padrone.
[93] Quando Voltaire ha finito di leggere L’origine della disuguaglianza di Rousseau, ha affermato che si sarebbe messo volentieri a quattro zampe per terra. Uno scherzo, certo. Solo una battuta rivolta contro un filosofo che è stato accusato di predicare il ritorno dell’uomo alle caverne e l’abbandono della civiltà perché l’uomo tornasse alle sue condizioni animali originarie. Ma se qualcuno ha creduto che Rousseau volesse davvero tornare alle caverne e all’animalità dell’uomo selvaggio, allora sembra che gli scritti di Rousseau provochino davvero divenire-animale.
[94] Questo è un concetto complesso che sta alla base del pensiero della schizoanalisi. Letteralmente il termine potrebbe indicare lo spostamento da un territorio, tenendo presente che questo spostamento potrebbe avvenire anche se spazialmente nulla si è mosso. Il territorio può essere un ente fisico come il nido di un uccello, la tana di un orso o la casa di un pensionato; tuttavia può anche non esserlo, può essere lo Stato o la famiglia.
[95] Rousseau non smette mai di stupirci! Nelle Confessioni mette a nudo le sue inclinazioni animaliste affermando: «Tutti gli animali diffidano dell’uomo, e non a torto: ma, una volta sicuri che non si ha l’intenzione di nuocergli, la loro fiducia diventa così assoluta che bisogna essere proprio un barbaro per abusarne» (Rousseau, Jean-Jaques, Scritti autobiografici, Einaudi, Torino, 1997, p. 236). In questo modo emerge in filosofia una tradizione alternativa sugli animali rispetto a quella di Cartesio e Malebranche: Pitagora e i pesci, Rousseau e i gatti, Nietzsche e il cavallo, Deleuze e la zecca.
[96] Deleuze, Gilles, Guattari, Félix, Mille piani, Castelvecchi, Roma, 2010, p. 317.
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