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Nietzsche, Bergson, Husserl, Heidegger, Deleuze: sul divenire eracliteo (25)

Nietzsche, Bergson, Husserl, Heidegger, Deleuze: sul divenire eracliteo (25)

Mar 04

 

 

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25. Deleuze e Nietzsche: eterno ritorno e differenza in sé

 

Se tutte le cose che sono diventassero fumo, le narici le riconoscerebbero come distinte l’una dall’altra. [80]

Nietzsche si sbaglia quando nel Crepuscolo degli idoli afferma che Eraclito commette un errore nel considerare i sensi come falsi e nell’aver fatto torto ad essi. Eraclito non sembra disprezzare la sensibilità. Eraclito crede che l’unica conoscenza possibile sia dell’immediato. Con ciò molto probabilmente intendeva la conoscenza sensibile che si ha del mondo in questo momento; infatti egli dice:

Tutte le cose cui si rivolgono la visione, l’udito, l’apprendimento diretto, sono quelle che io apprezzo di più. [81]

Eraclito come empirista? È ancora troppo poco per dirlo, ma nella prima citazione che ho inserito di Eraclito in questa sezione sembra di evincere una grande capacità di distinzione degli oggetti da parte dell’olfatto [82]. Si legga cosa scrive Nietzsche sull’olfatto:

E quali raffinati strumenti di osservazione abbiamo nei nostri sensi! Il naso, per esempio, di cui ancora nessun filosofo ha parlato con riverenza e gratitudine, è talora addirittura il più delicato strumento che sia posto a nostra disposizione: esso è in grado di constatare anche minime differenze di movimento, che neppure lo spettroscopio rileva. [83]

Quello che vediamo con i nostri sensi, ciò che Eraclito chiama “apprendimento diretto”, costituisce per Deleuze l’attuale. Deleuze è un empirista, ma cerca un altro empirismo. Egli vede nell’empirismo una strada per superare il mondo che immediatamente si offre ai sensi senza cadere nelle Idee, senza diventare idealisti. Questo empirismo Deleuze lo chiama empirismo trascendentale. L’empirismo trascendentale riguarda la dimensione del virtuale, dell’evento, della singolarità. Sicuramente questa forma di empirismo affonda le radici nel pensiero di Bergson. Bergson sostiene che la realtà nel nostro vissuto è in origine eterogenea e siamo noi a costruire omogeneità (spazio e tempo omogenei). Anche in Deleuze c’è una qualche eterogeneità originaria: ogni cosa infatti in questo mondo è simulacro, nulla che assomigli a qualche idea o a qualche identità. Il simulacro è la differenza in sé. Questo modo di pensare la differenza consiste nel concepirla come interna e non come esterna [84]. Ci sono diversi modelli di differenza esterna, ne ho individuati principalmente tre: Platone, Hegel e Leibniz. Platone crede che la differenza sia semplicemente tra le cose: questo è diverso da quello. Due oggetti possono differire perché uno è rosso, mentre l’altro è blu. Hegel prende questo concetto di differenza e lo porta al suo estremo: un ente è ciò che è perché non è tutti gli altri enti. Una bottiglia è una bottiglia perché non è il divano, la sedia, il letto, ecc. Leibniz pensa la differenza in termini spaziali, ma anche questa è esterna. Secondo Leibniz due cose differiscono semplicemente perché una è qui e l’altra è là. Rispetto a queste posizioni Deleuze sostiene che la differenza è interna ed è essenzialmente di carattere temporale. Solo il divenire e il tempo sono veramente interni agli enti e ne caratterizzano la natura. Un filosofo che pensa la differenza in modo simile a Deleuze è sicuramente Derrida. Deleuze critica anche un altro concetto di differenza, la differenza secondo Aristotele. Aristotele pensa la differenza come specifica: un castoro e un essere umano appartengono allo stesso genere, ma differiscono in quanto l’uomo ha la ragione, caratteristica della sua specie, mentre il castoro no. La differenza esterna e la differenza specifica non ci permettono di pensare l’individuo. La differenza esterna, una volta che si definisce l’identità o essenza dell’ente, costringe a pensare l’individuo a partire dall’inessenziale. Ad esempio: sono tutti e due dei tavoli, solo che questo è rotondo, mentre quest’altro è rettangolare. Nel caso della differenza specifica si può fin che si vuole cercare differenze tra specie, altre sottospecie e così via, ma non si troverà mai un individuo se si parte dal generale. Quando parlerò di Simondon tutto sarà più chiaro; per il momento mi limito a dire che la differenza di Deleuze in realtà è individuante, cioè precede l’individuo. La differenza quindi appartiene al piano del virtuale che precede ogni forma di opposizione. A partire dalla differenza, la quale è del tutto neutra nei confronti dell’opposizione, tramite un processo di differenziazione, si genera la realtà attuale. Quindi: il virtuale è neutro rispetto al maschile e al femminile, ma un processo di differenziazione può portare alla singola determinazione di uno degli opposti (maschio o femmina).

Eraclito è per definizione il filosofo dell’ecceità, della differenza in sé. Eraclito sostiene infatti che non si possono dare due eventi uguali, ogni cosa è unica e irripetibile. Anche se tutto dovesse diventare qualcosa di omogeneo come il fumo, ogni cosa non smetterebbe mai di perdere le sue caratteristiche proprie, che la rendono unica. Il non potersi bagnare due volte nello stesso fiume indica l’unicità di un evento irripetibile, così come nell’atomismo ogni combinazione di atomi forgia qualcosa di diverso. Deleuze, nonostante tutto, non cita Eraclito per parlare di differenza in sé; piuttosto fa riferimento al famoso esempio leibniziano delle foglie, che mostra che ogni ente è irripetibile, che non ci sono due cose uguali [85].

L’introduzione a Differenza e ripetizione comincia con una distinzione tra due concetti: quello di ripetizione e quello di generalità. Deleuze distingue la generalità dalla ripetizione con un intento ben preciso: criticare una certa immagine della ripetizione come ripetizione dell’Identico, immagine che, erroneamente, è stata anche attribuita all’eterno ritorno di Nietzsche. Deleuze sulla generalità è d’accordo con il discorso degli empiristi, secondo cui il generale non è che un particolare. Gli empiristi, in particolare Hume e Berkeley, affermavano ciò intendendo la sostituibilità di un particolare con un altro nel suo rappresentare il generale. L’empirista evita di parlare di essenze astratte. L’empirista crede che un singolo particolare possa essere usato come generale, ad esempio quando si prende un gatto specifico per indicare la generalità “gatto”. Quindi il generale è caratterizzato dalla sostituibilità, mentre la ripetizione, afferma Deleuze, riguarda l’insostituibile, la singolarità. La ripetizione, inoltre, segue uno schema rovesciato: non sono tutti gli altri elementi a ripetere il primo, ma il primo ripete gli altri. In questo senso, dice Deleuze, la prima ninfea di Monet ripete le altre. Deleuze sostiene quindi che il generale è particolare, ma che il singolare della ripetizione è universale. In realtà Deleuze sostiene che gli universali sono delle illusioni. Intendo qui per universali le essenze o le Idee di Platone. Non è diverso da questo dire che non vi è un primo della ripetizione o che il primo della ripetizione ripete tutti gli altri. Il primo se fosse un primo puro sarebbe un modello di cui tutti gli altri sarebbero copia o ripetizione. Questo funziona come nel caso della scomparsa dell’aura nell’opera d’arte secondo Walter Benjamin: non c’è più l’originale, ci sono solo infinite copie. La ripetizione di Deleuze è essenzialmente del nuovo, del diverso. Dire che non c’è modello o che il primo ripete gli altri è un altro modo per dire che la vita non ha senso; infatti la ripetizione non spiega o dà senso a quello che facciamo. Tuttavia, esattamente come vuole fare la psicoanalisi, Deleuze pretende di liberare l’uomo da una ripetizione infernale dell’identico per portarlo in una ripetizione del differente, del nuovo. Non c’è un cambiamento radicale tra queste due modalità di ripetizione, si potrebbe dire che l’unica cosa che cambia è un salto sul posto, per usare una delle sue espressioni. Bisogna che l’uomo impari a vivere nella ripetizione, piuttosto che portalo fuori di essa.

Ho già detto che Deleuze critica un falso concetto di ripetizione basato sulla generalità, ma la generalità per Deleuze è la legge, quindi Deleuze critica un modello di ripetizione che è subordinato alla legge: una ripetizione basata sul modello naturale. Gli stoici hanno commesso questo errore: pensare la ripetizione sul modello della natura, come nella ripetizione delle stagioni, quando in realtà nella natura, Eraclito ne era già consapevole, nulla si ripete e la ripetizione si dà solo su un piano che è al di là della legge. Il modello di ripetizione di Deleuze è basato sulla differenza in sé e si ispira a tre autori: Kierkegaard, Nietzsche e Péguy. Questi autori hanno determinato la ripetizione in un modo differente, nel quale Deleuze vede i tratti per una nuova immagine della ripetizione: la ripetizione non ripete tutto, essa consiste invece in una selezione che estrae ciò che verrà ripetuto; la ripetizione si oppone alle leggi di natura, essa deve essere di necessità pensata oltre il modello naturale o, come fa Nietzsche, in una dimensione della natura al di là delle leggi: volontà di potenza; la ripetizione è definita come logos del singolare; la ripetizione non è direttamente collegata ad un sistema della memoria (del tipo: questo è già successo o questo l’ho già visto), ma all’oblio.

Nietzsche fa della ripetizione l’essere, nel senso che le cose sono nell’eterno ritorno in quanto torneranno. L’eterno ritorno si dice del differente; in questo senso l’essere si riferisce anche al differente, ma dopo tutto è proprio il differente a ripetersi. Volere la ripetizione implica un passaggio attraverso tutte le differenze che compongono l’eterno ritorno; questo passaggio è un attraversare eventi, questo attraversare costituisce un solo evento che è l’eterno ritorno stesso e questo effetto si chiama: univocità dell’essere. L’essere dell’eterno ritorno è il divenire, l’essere della ripetizione è sempre il divenire, l’essere stesso qui è il divenire, cosicché Deleuze afferma:

Ritornare è l’essere, ma soltanto l’essere del divenire. [86]

Il tema differenza è trattato da diversi filosofi, di uno dei quali ho già discusso: Heidegger. In una lunga nota nelle ultime pagine di “Differenza in sé” Deleuze confronta il suo concetto di differenza con quello di Heidegger. Se in un primo momento sembra che dicano la stessa cosa, successivamente appare chiaro che Deleuze si distanzia dalla posizione di Heidegger. Heidegger sulla differenza, dice Deleuze, sembra affermare che non sia semplice negazione e che essa sia una specie di piega (Zwiefalt). Heidegger, sottolinea Deleuze, non subordina mai la differenza all’identità (tale subordinazione è l’errore classico dei filosofi sul tema della differenza). La differenza va sempre riportata alla differenza secondo un processo di differenziazione, talché la differenza si differenzia in sé stessa. Tuttavia Heidegger introduce una differenza che in Deleuze non c’è tra lo Stesso e l’Uguale. Lo Stesso e l’Uguale, che in Deleuze sarebbero termini del tutto equivalenti, in Heidegger si differenziano perché nell’Uguale non c’è differenza in quanto è uniforme, mentre lo Stesso o il Medesimo sono ciò che unisce la differenza. Al termine della lunga nota a sorpresa Deleuze arriva a spiegare perché non sarebbe in ogni caso d’accordo con Heidegger:

Se è vero che taluni commentatori hanno potuto trovare in Husserl echi tomistici, Heidegger invece sta dalla parte di Duns Scoto e infonde un nuovo splendore all’univocità dell’essere; tuttavia ci si domanda se attui la conversione secondo cui l’essere univoco deve dirsi la differenza e, in tal senso, ruotare attorno all’ente. Heidegger concepisce l’ente in modo tale che questo sia veramente sottratto ad ogni subordinazione di fronte all’identità della rappresentazione? Stando alla critica che egli muove all’eterno ritorno nietzscheano, si direbbe di no. [87]

Differenza e ripetizione è la concretizzazione del programma di rovesciamento di Platone perseguito dallo stesso Nietzsche. Non bisogna più pensare identità in sé come idee platoniche o modelli, dei pretendenti o copie delle idee che vengono selezionati in base al loro grado di partecipazione o di somiglianza alle idee, ma una materia ribelle che si insinua ovunque nelle opere di Platone facendo emergere la figura demoniaca del simulacro come contrario alla copia, come il differente in sé. Nella prossima sezione parlerò un po’ di questo rovesciamento e soprattutto della ripetizione per sé sia per completare il discorso sull’eterno ritorno sia per discutere del tema del tempo e delle sintesi del tempo in Differenza e ripetizione.

 

Note

[80] Colli, Giorgio (a cura di), La sapienza greca. Eraclito (vol. III), Adelphi, MIlano, 2006, p. 59.

[81] Colli, Giorgio (a cura di), La sapienza greca. Eraclito (vol. III), Adelphi, MIlano, 2006, p. 39.

[82] Nel capitolo “I dispregiatori del naso” dello scritto L’arte di gioire Micheal Onfray prende le difese di uno dei sensi meno apprezzati dall’essere umano e meno considerati dai filosofi. Spesso si parla di vista e udito come sensi nobili; l’olfatto, invece, non gode di buona fama. Onfray indica Democrito come primo filosofo che apprezzava l’olfatto e ne aveva sviluppato di molto la sensibilità. Onfray in questo capitolo cita anche la celebre frase di Nietzsche; non si trova però, purtroppo, nessun riferimento a quella di Eraclito.

[83] Nietzsche, Friedrich, Opere complete. Crepuscolo degli idoli (vol. VI***), Adelphi, Milano, 2014, p. 66.

[84] Qui è chiaro dove sta la differenza tra Deleuze ed Hegel su questo tema. Deleuze stesso dice che Hegel non ha fatto altro che portare la differenza esterna alle sue estreme conseguenze definendo ogni ente come negazione a partire dal fatto che esso non è tutti gli altri enti.

[85] Si noti che in Leibniz la differenza tra le foglie sta in proprietà relazionali: una è lì e l’altra è là. Non sono però le proprietà relazionali che ha in mente Deleuze quando parla di differenza in sé.

[86] Deleuze, Gilles, Differenza e ripetizione, Cortina, Milano, 2010, p. 59.

[87] Deleuze, Gilles, Differenza e ripetizione, Cortina, Milano, 2010, p. 91.

 

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