Temi e protagonisti della filosofia

Nietzsche, Bergson, Husserl, Heidegger, Deleuze: sul divenire eracliteo (24)

Nietzsche, Bergson, Husserl, Heidegger, Deleuze: sul divenire eracliteo (24)

Mar 03

 

 

Articolo precedente: Nietzsche, Bergson, Husserl, Heidegger, Deleuze: sul divenire eracliteo (23)

 

24. Deleuze: Kronos ed Aiôn

 

In ognuno di questi autori di cui ho deciso di parlare, ad eccezione forse di Nietzsche, ci si trova sempre di fronte a due concezioni del tempo: il tempo oggettivo e il tempo soggettivo, il tempo scientifico e la durata reale, il tempo cosmico e il tempo fenomenologico. Anche in Deleuze esiste questa forma di dualismo, la quale in realtà non costituisce un vero dualismo: si tratta piuttosto di due modi diversi di leggere il tempo. Nella seconda sezione di questo studio, là dove ho analizzato i progressi sul concetto del tempo in filosofia, non ho affatto parlato dell’importante discorso sul tempo degli stoici. Ho scelto di non farlo perché pensavo che avrei trattato l’argomento proprio qui, in questa sezione dedicata a Deleuze. Gli stoici concepivano due figure o letture del tempo: Kronos ed Aiôn. Se si immagina il tempo come composto di presenti che si succedono, presenti che vengono inglobati in altri presenti più estesi, fino ad arrivare ad un presente unico che li comprende tutti come limite estremo della ruota cosmica del tempo, quello che si ottiene è il Kronos. Ogni presente, come può essere unificato in presenti sempre più ampi, allo stesso modo può essere diviso in passato e futuro simultaneamente e all’infinito: questa forma di tempo è ciò che gli stoici chiamano Aiôn. In Logica del senso Deleuze scrive una serie “Sull’Aiôn” nella quale spiega la differenza tra queste due rappresentazioni del tempo secondo la dottrina stoica. Questo dualismo temporale percorre tutto quello scritto, ma si trova citato anche in altri testi di Deleuze come Differenza e ripetizione e Mille piani. Si noti come Deleuze certo si rivolga ad entrambe le forme del tempo, ma finisca sempre per preferire la dimensione dell’Aiôn. Questa dimensione temporale è il virtuale, il divenire folle, il piano del divenire eracliteo. Gli stoici, dopotutto, non sono altro che dei lettori magici di Eraclito, più o meno fedeli al messaggio di questo filosofo.

Nel Kronos l’unica dimensione temporale esistente è il presente: il presente infatti è ciò che è. Di conseguenza Kronos unifica il passato e il futuro in un solo presente. Tutto diventa parte sempre di un presente più vasto sino ad arrivare ai limiti del circolo temporale degli stoici. Kronos viene direttamente connesso ad una delle dimensioni della realtà che, secondo gli stoici, è quella dei corpi e delle loro mescolanze. In natura ogni cosa è effetto di una causa, ma gli stoici hanno un’idea geniale: pensare due serie, una delle cause e una degli effetti, riferendo però le cause alle cause e gli effetti agli effetti e facendo comunicare due ordini distinti che si riferiscono l’uno all’altro terminanti in un punto paradossale dove la serie degli effetti eccede quella delle cause [79]. La serie delle cause si riferisce ai corpi e alle loro mutue relazioni di mescolanza. La serie degli effetti è data invece dagli incorporei, dai simulacri o fantasmi, dagli eventi. Se gli effetti non hanno una diretta relazione con le cause, anche se tuttavia come serie rimandano ad esse, come possono gli effetti prodursi? Ecco che Deleuze suppone l’esistenza di una quasi-causa. La quasi-causa sta all’origine dell’effetto. Queste due serie per Deleuze non sono serie del tempo o dei corpi e degli eventi, ma sono le due serie che lo strutturalismo ha posto nel linguaggio: significato e senso. Il significato come Kronos, come stati di cose e corpi. Il senso come Aiôn, come incorporei, come eventi. Il Kronos è infine ciò che la parola lascia suggerire: il tempo quantificato, cronometrico, misurato.

Aiôn, invece, rappresenta il contrario di Kronos: esso consiste in qualcosa di simile ad un rovesciamento di un ordine, dell’ordine di Krono o di Zeus, di Dio. Aiôn è Saturno stesso che tuona, il caos, l’incommensurabile, il non quantificabile, il tempo fenomenologico? Aiôn è ciò che Platone, dice Deleuze, definisce nel Parmenide potenza di schivare il presente. In Aiôn il tempo si divide all’infinito simultaneamente in passato e futuro; per questo viene definito da Deleuze delirante e schizofrenico. Aiôn è il tempo fuori dai cardini, ciò che in Differenza e ripetizione è definito come forma vuota del tempo. Aiôn come forma del tempo vuoto manca sempre, è lui stesso la quasi-causa degli eventi, ciò da cui sono estratte le singolarità.

Queste due forme del tempo, come ho già detto, riguardano anche il linguaggio. Il Kronos corrisponderebbe al significato e agli stati di cose, quindi esso è una serie. L’altra serie è l’Aiôn, ma l’Aiôn è principalmente senso, il verbo, verbo come non senso che rende possibile il linguaggio. L’azzurreggiare del cielo è un evento incorporeo che non si identifica semplicemente con lo stato di cose del cielo azzurro. L’azzurreggiare è il senso ed esso è, in certo qual modo, come ho già detto, il noema husserliano. Il senso di una proposizione coincide con il suo espresso: ciò che la proposizione stressa esprime. Per quel che riguarda la nozione di significato Deleuze sembra abbastanza vicino alla posizione di Russell, cioè afferma che è proprio in virtù del significato di una proposizione, che è sempre un denotare qualcosa, uno stato di cose particolare, che una certa proposizione si dirà vera oppure falsa. Tuttavia il linguaggio e la proposizione non si esauriscono con il significato, essi presuppongono una dimensione ulteriore: il senso. Il senso è sempre doppio o ogni proposizione ha un doppio senso: attivo e passivo, come nel caso de “il gatto mangia il topo” e “il topo è mangiato dal gatto”. Ho già detto che c’è un’eccedenza di senso rispetto al significato ed è questa che secondo Deleuze rende possibile il linguaggio. Lo schizofrenico è un soggetto che confonde le parole con le cose, che intende immediatamente le parole come cose. Se nel linguaggio le parole fossero lo stesso delle cose, esso sarebbe un linguaggio folle o una lingua mangiata. Questa eccedenza di senso è un’eccedenza di virtuale, è il verbo stesso che rende possibile il linguaggio. Quindi tutto il linguaggio ruota attorno ad un senso che non ha significato, come nel famoso caso dello Snark. La parola è composta da due termini, snake e shark, tuttavia essa non rimanda ad una specie strana di squali chiamata “squalo-serpente”, non designa proprio nulla, ossia non ha significato. Lo Snark è un esempio di parola baule carrolliana, ma è anche eccedenza di senso e precursore buio del linguaggio. La struttura del linguaggio produce un’eccedenza di senso, ma si potrebbe dire parimenti che la struttura della realtà produce un’eccedenza di Aiôn, un Aiôn di troppo, un Aiôn ribelle.

 

Note

[79] Sebbene controintuitiva, l’idea sarebbe che si possano produrre effetti non riconducibili ad una serie causale. Questi effetti costituiscono l’eccedenza di senso. Questa idea di un effetto senza causa può essere ricondotta al famoso gatto di Cheshire, cioè al paradosso del sorriso senza gatto. Questa nozione di evento che non discende da una causalità lineare è essenziale nella filosofia attuale, anche in filosofi come Badiou o Žižek, soprattutto per quel che riguarda la nozione di evento. Il Sessantotto, secondo Deleuze, sarebbe un esempio di evento, di un evento non derivabile da cause storiche prossime. Il Sessantotto per Deleuze era un’irruzione improvvisa del Nuovo, puro effetto spontaneo. Per la precisione il paradosso del sorriso senza gatto riguarderebbe l’idea che possa darsi una proprietà senza la sostanza a cui essa inerisce. Ho detto che il discorso dei filosofi va contro il senso comune, nel senso che nessuno penserebbe che si possano dare effetti senza una serie causale a cui riportarli, ma forse è proprio questa una condizione della sussistenza della libertà, la quale non esisterebbe se tutto fosse semplicemente effetto di cause naturali ed immanenti. Ad ogni modo pare che in fisica quantistica si cominci a parlare di questo paradosso del sorriso senza gatto ed è stato svolto un esperimento che conferma la realtà di questo fenomeno. Pare che la polarizzazione di un fotone si possa separare dal fotone. L’esito dell’esperimento è stato comunicato da Tobias Denkmayr in un articolo della rivista Nature Communications. A parte questo, anche la fisica quantistica sembra completamente acausale, o meglio, la causalità nella fisica quantistica è molto problematica.

 

Articolo seguente: Nietzsche, Bergson, Husserl, Heidegger, Deleuze: sul divenire eracliteo (25)

 

 


Ti è piaciuto il post? Dona a Filosofia Blog!

Cliccando sul pulsante qui sotto puoi donare a Filosofia Blog una piccola cifra, anche solo 2 euro, pagando in modo sicuro e senza commissioni. Così facendo contribuirai a mantenere i costi vivi di Filosofia Blog. Il servizio di donazioni si appoggia sul circuito il più diffuso e sicuro metodo di pagamento online, usato da più di 150 milioni di persone. Per poter effettuare la donazione non è necessario avere un account Paypal, basta avere una qualsiasi carta di credito o Postepay. Grazie!

Leave a Reply