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Nietzsche, Bergson, Husserl, Heidegger, Deleuze: sul divenire eracliteo (13)

Nietzsche, Bergson, Husserl, Heidegger, Deleuze: sul divenire eracliteo (13)

Gen 07

 

 

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13. Husserl: la quinta ricerca logica

a) OLTRE IL FISICO E LO PSICHICO: LA CRITICA A BRENTANO

Ho deciso di scrivere una sezione sulla quinta delle Ricerche logiche perché ho intenzione di concentrare la mia attenzione sullo Husserl precedente alla sua svolta trascendentale. Intendo quindi riferirmi ad un Husserl che non è ancora pervenuto all’idea dell’io trascendentale, ma è rimasto alla concezione di un io empirico immanente al flusso di coscienza, ovvero un io non egologico. Il primo Husserl si atteneva ad una concezione della coscienza immanente e di un io immanente ai vissuti della coscienza, per cui è molto più facile accostarlo a filosofi come William James o Henri Bergson. James sostiene che la psicologia dovrebbe partire dalla constatazione della presenza di un flusso di coscienza e di un flusso di pensieri. Il pensare in James è qualcosa di impersonale. Secondo James sarebbe corretto dire “si pensa” come normalmente si dice “piove” (it thinks, it rains). All’inizio della quinta ricerca logica Husserl definisce tre accezioni di coscienza: nella prima accezione la coscienza indica l’io empirico come insieme dei vissuti o unità del flusso di questi vissuti; nella seconda accezione coscienza indica l’essere consapevoli di qualcosa [41]; nella terza accezione per coscienza si intende i vissuti intenzionali. In questa ricerca Husserl usa un concetto di coscienza molto vicino a quello di Hume, il che è ben mostrato da Coppola quando dice:

La qualificazione “psicologica”, non reale attribuita al contenuto effettivo nella prima edizione delle Logische Untersuchungen, è più che sintomatica come indicazione della legittimità di una trattazione scientifica dell’intera sfera della coscienza, intesa nei termini ‒ sostanzialmente humeani e non cartesiani ‒ di una compagine di dati reali appartenenti a un io empirico. [42]

L’io è quindi concepito come unità del flusso dei vissuti, non come qualcosa che sta al di sopra di essi e cioè che è trascendente. Qui quando Husserl parla di vissuti si riferisce ai vissuti fenomenologici che sono già una trasformazione rispetto a quelli psichici, ma non sono meno reali di questi ultimi. Criticando Brentano che pensa la coscienza sia come il percepito interno sia come vissuto nell’unità di coscienza, Husserl sostiene qualcosa di molto importante: la coscienza non è una forma di sapere, la coscienza non è conoscenza. Questo modo di pensare porta ad un regresso all’infinito [43]: io sono conoscente di vedere delle ninfee (C(N)), quindi sono cosciente di essere cosciente di vedere delle ninfee (C(C(N))), allora sono cosciente di essere cosciente di essere cosciente di vedere delle ninfee (C(C(C(N)))), ecc. L’essere coscienti di qualcosa è intrinseco al vissuto stesso, secondo Husserl, quindi non c’è atto di coscienza che si riferisce ad un stato mentale, ma questo stesso stato mentale è già intrinsecamente cosciente. Egli nega anche la posizione di Brentano secondo la quale l’atto mentale sarebbe cosciente perché prenderebbe se stesso come oggetto.

L’io empirico, sottolinea Husserl, non è l'”io sono” di Cartesio: infatti non è rintracciabile nessun “io sono” nella corrente dei vissuti. L’errore di Cartesio è stato quello di pensare che poiché vi sono dei pensieri vi deve essere un io pensante a monte di essi. Il pensiero “io sono”, afferma Husserl, non ha nessun privilegio rispetto agli altri pensieri. Esso è un pensiero come gli altri nella corrente dei vissuti. Husserl certamente fa uso del metodo cartesiano del dubbio totale, metodo che nella fenomenologia consiste in ciò che ho precedentemente chiamato “epoché”. L’obbiettivo del metodo consiste in una riduzione e una messa tra parentesi del mondo naturale sicché rimane solo il piano dei vissuti della coscienza. Io non posso dubitare del fatto che sto dubitando, questo è sicuro, ma per Husserl questo non rinvia ad un io dubitante, ma ad un vissuto di dubbio. Ciò che si dà alla mia coscienza è la corrente dei vissuti. L’io è questa corrente di vissuti, essa è la soggettività. Husserl nega l’esistenza di un qualche io puro che possa essere fatto oggetto di intuizione diretta. Nega anche la posizione di Natorp secondo la quale essere coscienti di qualcosa significa che questo qualcosa rimanda ad un io che è cosciente. Nemmeno l’autopercezione dell’io empirico può essere diversa da una qualsiasi altra percezione normale che si offre alla coscienza.

Nel secondo capitolo della quinta ricerca logica Husserl prende in considerazione la distinzione brentaniana tra fenomeni fisici e fenomeni psichici per spiegare in che senso questa non funzioni. Prima di tutto Husserl nota che alcuni fenomeni considerati da Brentano come psichici sono fisici e così anche altri fenomeni considerati da Brentano come fisici sarebbero psichici. Husserl successivamente si concentra sulla definizione di Brentano di atti psichici per discuterne la validità. Brentano sosteneva che gli atti psichici sono rappresentazioni o poggiano su rappresentazioni. Husserl non parla di fenomeno psichico, ma parla di atto intenzionale o vissuto intenzionale. Cosa si intende per atto intenzionale? Un atto che prende di mira un certo stato di cose in cui un oggetto è coinvolto. Husserl spiega che non è la sensazione ad essere l’oggetto inteso, ma il vissuto di essa si riferisce ad un certo stato di cose. Non vedo la sensazione del roseo delle ninfee, ma vedo le ninfee rosa. Non sono quindi i dati iletici ed immanenti ad essere intesi nel vissuto, ma solo lo stato di cose in cui si trova un oggetto particolare, quindi nemmeno l’oggetto stesso che è del tutto indipendente da quello stesso stato di cose [44]. Per quanto, come sostiene senza errore Natorp, non si possa separare una percezione del suono dal suono avvertito in essa, Husserl osserva che l’atto intenzionale non ha come contenuto quel suono o l’oggetto stesso. L’oggetto in questo senso viene “appreso” ogni volta in maniera differente: infatti noi lo stesso oggetto lo percepiamo ogni volta in maniera differente. Nella sezione 16 Husserl tratta della differenza tra il contenuto reale in un atto e il contenuto intenzionale. Il contenuto reale di un atto è dato dall’insieme di atti parziali di cui l’atto è composto. Nel contenuto intenzionale, invece, va distinto l’oggetto come viene inteso dall’oggetto che viene inteso: la rappresentazione che intende l’oggetto può essere diversa a seconda dei casi.

Un atto intenzionale può essere un atto complesso. Husserl porta l’esempio del coltello sul tavolo: il coltello è l’oggetto inteso, ciò a cui mira l’atto, ma esiste un atto parziale che si riferisce al tavolo e che permette di definire un certo stato di cose rappresentato dall’espressione: coltello sul tavolo. L’atto che si riferisce qui al tavolo si definisce come “atto parziale” rispetto ad un “atto composto” che è l’atto totale. Quando cambia la modalità del riferimento all’oggetto si parla di “differenza descrittiva”, proprio perché cambia il contenuto descrittivo, ma non lo stato di cose intenzionato. Nell’atto, secondo Husserl, andrebbero distinti in particolare due momenti: quello della qualità e quello della materia. La qualità dell’atto è la modalità dell’atto; ad esempio l’atto potrebbe essere una domanda, un giudizio o un desiderio. La materia dell’atto riguarda invece l’oggetto inteso. È importante sottolineare che l’oggetto inteso non è quello immanente, ma quello effettivamente trascendente. Husserl distingue un’immanenza effettiva e una ineffettiva da una trascendenza ineffettiva e una effettiva. L’immanenza effettiva riguarda i puri dati iletici che si offrono ai nostri sensi: l’oggetto è ridotto alle sue pure qualità e a ciò che ci appare immediatamente di esso; inoltre si danno anche un’immanenza ineffettiva e una trascendenza ineffettiva che Coppola suggerisce di considerare equivalenti. Queste ultime si riferiscono a ciò che noi non vediamo, in questo momento, di un ente osservato: per esempio la parte dietro o sotto; trascendente effettivamente è solo l’oggetto intero in tutte le sue parti. Se è vero che l’oggetto inteso è dunque quello effettivamente trascendente, osserva Unia, esso non è mai la vera x oggetto, ma è sempre un certo stato di cose. Potrebbe essere oggetto della mia intenzione il libro di Husserl che ora ho di fronte sulla scrivania, ma il libro non necessariamente deve stare sulla scrivania: potrei anche spostarlo e, in quel caso, mi renderei conto che il vissuto intendeva solo il libro in quello stato di cose e non in generale.

b) CREDENZA, DENOMINAZIONE ED ENUNCIAZIONE

Nel terzo capitolo Husserl afferma che la rappresentazione fondante che Brentano poneva alla base degli atti psichici è ciò che lui precedentemente ha chiamato materia dell’atto. La materia dell’atto può essere definita come essenza intenzionale dell’atto. Più atti possono avere diversa qualità, ma avere la stessa materia, nel qual caso si dice che questi atti hanno la medesima essenza intenzionale. Ad esempio possiamo domandare, giudicare o desiderare un certo stato di cose, ma lo stato di cose resta lo stesso a prescindere da queste differenze che sono pure differenze di qualità d’atto. Un caso particolare di differenza di qualità è per Husserl quello dell’illusione. Husserl sostiene che i nostri atti sono sempre accompagnati dalla qualità del belief. Questo elemento è necessario perché costituisce la nostra credenza; per esempio se dico di vedere qualcosa, devo crederlo. È noto l’esempio del manichino di cera contenuto nella quinta ricerca logica; questo esempio mostra come funziona il carattere di belief negli atti intenzionali. Entrando in un museo delle cere potrebbe capitare di vedere quella che a prima vista sembra una donna che ammicca verso di noi; quando noi apprendiamo il fatto in questo modo, noi crediamo che quell’individuo sia effettivamente una donna. Il credere che si tratti di una donna è il carattere di belief. Tuttavia, non appena ci accorgiamo che in realtà si tratta solo di un manichino di cera, non cambia veramente la materia dell’atto, ma noi semplicemente apprendiamo che quella che credevamo una donna è un manichino di cera che raffigura una donna. L’oggetto è sempre lo stesso, cambia la qualità dell’atto: il carattere di belief.

Nel quarto capitolo Husserl sembra accettare la definizione di atto psichico di Brentano, cioè ammette l’idea secondo la quale ogni atto ha come oggetto una rappresentazione o è esso stesso una rappresentazione. Si tratta semplicemente di chiarire il concetto di “rappresentazione”: un conto è la rappresentazione come atto (es. desiderio, fantasticheria, domanda, ecc.), un altro è la rappresentazione come materia d’atto, quindi come rappresentanza. Tutto il resto del capitolo verte sulla differenza tra nominare (nennen) ed enunciare (aussagen). Non è affatto uguale, dice Husserl, dire: “l’S esistente” e “S esiste”. Alla fine del capitolo si comprende che la rappresentazione è un atto nominale e che il giudizio è un enunciato. Perciò si può dire che “il postino che corre tutte le mattine” sia una rappresentazione, mentre “il postino che corre tutte le mattine prendeva il caffè con me questo pomeriggio” abbia come base la rappresentazione precedente, ma non ha funzione nominale, poiché è un enunciato.

Con il quarto capitolo Husserl torna al problema del secondo. Non intendo parlare del quinto capitolo in quanto credo di aver esposto l’essenziale di questa ricerca logica per quel che riguarda questo lavoro. Cosa ci dice questa ricerca logica? Ci spiega certamente cosa sono gli atti intenzionali ed è ricca di precisazioni a riguardo; inoltre ci parla della natura essenzialmente temporale della coscienza, cioè dell’idea secondo la quale i vissuti non si danno se non in una dimensione temporale o meglio essi stessi sono temporali; per finire si attiene ad una concezione dell’io come io empirico che è posto sullo stesso piano di questi vissuti. Questo ci permette di pensare l’intera persona nella corrente dei suoi vissuti, avere quindi un’immagine immanente della coscienza. Poste queste basi ritengo si possa passare al tema del tempo e del divenire eracliteo in Husserl.

 

Note

[41] Husserl descrive questo essere consapevoli con la parola Gewahrwerden, tradotta con rendersi-conto. Cfr. Husserl, Edmund, Ricerche logiche, Saggiatore, Milano, 2005, p. 138.

[42] Coppola, Emanuele, Eterno flusso eracliteo. Il tempo fenomenologico nella filosofia di Edmund Husserl, Angelo Guerini e Associati, Milano, 2004, pp. 80-81.

[43] Il problema del regresso infinito è uno dei più grandi problemi nell’analisi della coscienza. Si pensi a quella teoria che era tanto di moda anni fa nella filosofia della mente, la cosiddetta high oder thoery. Secondo questa teoria uno stato mentale è cosciente perché un atto di coscienza si riferirebbe a quello stato mentale come suo oggetto, o, per dirla in altri termini, illuminerebbe quello stato mentale. Questa teoria ha il vantaggio di spiegare con semplicità cosa distingue uno stato mentale cosciente da uno inconscio, perché quello inconscio semplicemente non ha un atto cosciente che prende di mira quello stato mentale come suo oggetto. Ciò che affermano filosofi difensori di questo modello, filosofi come Rosenthal o Lycan, porta ad un regresso infinito perché ogni atto cosciente per essere cosciente dovrà presupporre altri atti di coscienza.

[44] Albano Unia in La questione della fenomenologia in Husserl e Wittgenstein e Scritti di logica mostra una connessione possibile tra Husserl e Wittgenstein proprio sul tema dell’intenzionalità. Intenzionali in Wittgenstein sarebbero le proposizioni logiche in quanto hanno significato e si riferiscono direttamente ad uno stato di cose, quindi a fatti. In Unia e Coppola le Osservazioni filosofiche di Wittgenstein sono trattate come un libro di fenomenologia. Tuttavia, spiega Unia, la fenomenologia per Wittgenstein sta nella grammatica, mentre per Husserl la fenomenologia ha per oggetto quel campo di vissuti che ha luogo in un piano intermedio tra il piano della pura logica e quello degli oggetti fisici.

 

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