Nietzsche, Bergson, Husserl, Heidegger, Deleuze: sul divenire eracliteo (11)
Nietzsche, Bergson, Husserl, Heidegger, Deleuze: sul divenire eracliteo (11)
Dic 31
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11. Bergson ed Eraclito: il divenire radicale
La coscienza, regolandosi a sua volta sull’intelligenza, guarda della vita interiore ciò che è già fatto, e solo confusamente la sente nel suo farsi. Così si staccano dalla durata i momenti che ci interessano e che abbiamo colto lungo il suo percorso. Non tratteniamo che quelli. E abbiamo ragione di farlo, finché l’azione è la sola ad essere in causa. Ma quando, speculando sulla natura del reale, lo guardiamo ancora come il nostro interesse pratico ci chiede di guardarlo, noi diventiamo incapaci di vedere l’evoluzione vera, il divenire radicale. [36]
Nel quarto capitolo dell’Evoluzione creatrice Bergson difende l’idea di un divenire radicale, di una forma di essere di natura non statica. È vero che Eraclito non è affatto citato, tuttavia vi sono diversi attacchi alle tesi degli eleati, ossia a quella scuola che difendeva la tesi opposta al pensiero di Eraclito. In particolare si notano diverse critiche a Zenone e ai suoi paradossi. Proprio attraverso questo Bergson si avvicina molto al pensiero di Eraclito.
Il quarto capitolo comincia definendo due grandi illusioni della filosofia: la prima consiste nel pensare il mobile a partire dall’immobile; la seconda nel pensare il pieno a partire dal vuoto. L’essere è stato fatto passare per il nulla. La domanda dei filosofi, domanda leibniziana, è sempre stata: perché l’essere piuttosto che il nulla? Lo stupore dei filosofi, dice Bergson, deriva dal non spiegarsi come, cominciando dal nulla e dal vuoto, si potesse successivamente generare qualcosa. Se il pieno viene pensato a partire dal vuoto, vuol dire che il pieno deve essere derivato dallo stesso vuoto. Questo problema nasce da un punto di vista sbagliato. Alcuni filosofi hanno affermato l’esistenza di un mondo determinato, meccanico, con le sue leggi e i suoi rapporti causali; altri filosofi hanno invece affermato il soggetto, relativizzato tutto il resto del mondo ponendolo sempre come qualcosa che esiste a partire da un soggetto che lo osserva: hanno negato il mondo. Due immagini del nulla: una che afferma il mondo negando il soggetto; l’altra che afferma il soggetto negando il mondo. Bergson propone di vederle assieme, cosa che nessuno aveva fatto probabilmente prima di lui: quello che accade è che si genera un’immagine contraddittoria. Bergson spiega che quando diciamo che qualcosa non c’è, intendiamo dire che ci aspettavamo che ci fosse qualcosa, ma questo qualcosa non c’è in un certo punto dello spazio. In questo caso le possibilità sono due: o è presente un altro oggetto oppure questo oggetto che cerchiamo semplicemente è da un’altra parte. In realtà, spiega Bergson, la negazione è semplicemente un’affermazione di secondo grado. Ad esempio, se diciamo che un oggetto non è bianco, in realtà intendiamo dire certo che non possiede quel colore, ma anche che ne possiede un altro diverso. Quindi la negazione rimanda ad un’altra affermazione.
I filosofi, tuttavia, si sono spinti fino a pensare l’idea di un nulla assoluto. Infatti non sarebbe strano chiedersi questo: se l’universo ha avuto un inizio e se questo inizio è l’inizio di ogni cosa, cosa c’era prima di ogni cosa? A questa domanda si potrebbe rispondere che non c’era niente, che c’era il nulla assoluto. Tuttavia, spiega Bergson, è contraddittorio il concetto di nulla assoluto: esso non fa altro che annullare se stesso o tende a coincidere con l’idea del tutto [37]:
Se ora analizziamo quest’idea del nulla, troviamo che essa è, in fondo, l’idea del tutto con, in più, un movimento dello spirito che salta indefinitamente da una cosa all’altra, che rifiuta di stare fermo, e concentra tutta la sua attenzione su questo rifiuto non determinando mai la sua posizione attuale se non in rapporto a quella che ha appena lasciato. [38]
Il passaggio successivo per i filosofi è di pensare l’essere, una volta derivatolo dal nulla, come essere a-temporale. L’essere stesso, osserva Bergson, è stato derivato dal nulla tramite la logica e la matematica. A questo punto il reale appare ai filosofi come statico ed eterno. Da qui comincia l’idea dell’immobile dal quale si pretenderebbe di derivare il mobile.
Bergson spiega che sono la percezione e il pensiero ciò che tende a dividere e a pensare il reale a partire dall’immobile. Percepire è agire. È utile all’azione concepire il mondo come insieme di immagini attuali. Il pensiero invece estrae dal divenire l’idea di una cosa, ma l’idea in realtà è semplicemente un’astrazione. I filosofi hanno pensato il divenire come mutamento di una cosa in un’altra, ma in questo modo diventa problematico spiegare come qualcosa sia diventato ciò che non è. Per esempio un oggetto rosso che diventa non rosso fa problema se il divenire è pensato a partire da stati di cose. Questo porterebbe all’idea contraddittoria di un oggetto che in un certo momento è sia rosso che non rosso. Pensare realmente il divenire radicale, spiega Bergson, significa non pensare la forma delle cose come preesistente:
non esiste forma, poiché la forma è qualcosa di immobile e la realtà è movimento. Ciò che è reale è il cambiamento continuo della forma: la forma non è che un’istantanea scattata su una transizione. [39]
Il nostro errore di pensare il divenire come semplicemente un passaggio tra due stati di cose o, come direbbe Deleuze, i punti sulla linea, deriva da un funzionamento cinematografico della percezione. Se volessimo ricreare il movimento di un reggimento, spiega Bergson, basterebbe scattare una serie di istantanee di esso mentre si muove, al resto ci pensa la cinepresa. Da una serie di immagini immobili non potremmo derivare il mobile, se non fosse per l’esistenza di una macchina che svolge questo lavoro. La percezione sembra funzionare esattamente come nel modello cinematografico.
Da questo carattere cinematografico della percezione e del pensiero si possono facilmente comprendere gli errori degli eleati ed in particolare di Zenone. Zenone comprendeva il movimento a partire dall’immobile e per questo è stato costretto a negarlo. Prendendo il caso del paradosso della freccia di Zenone Bergson smonta il pensiero degli eleati. La freccia ha una traiettoria e compone con essa un solo movimento del tutto indivisibile: non ha senso cercare di individuare delle fasi del suo tragitto, dei punti in cui la freccia sarebbe stata. È come con una corda che va dal punto A al punto B, spiega Bergson, dove un punto C in mezzo divide la corda, e il problema degli eleati è quello di ricomporre la corda una volta che l’hanno tagliata, per esempio a metà. La freccia, se fosse stata nel punto C, si sarebbe fermata in quel punto. Piuttosto, afferma Bergson, bisognerebbe dire che avrebbe potuto essere stata in quel punto. Allo stesso modo Achille può prendersi la rivincita con la tartaruga: infatti o il movimento di Achille viene pensato come insieme di passi indivisibili oppure deve essere pensato come un solo balzo, un solo divenire nella corsa.
Per risolvere il problema del divenire bisogna partire dal divenire, dire che ciò che è reale è l’evoluzione o il divenire radicale. Ma non è questo che è stato fatto dai filosofi successivi a Parmenide e Zenone. Platone è partito anch’egli dall’essere immobile, dalle sue idee. Aristotele, che ha cercato in ogni modo di scongiurare le idee platoniche, è approdato alla causa finale, a Dio come motore immobile di ogni cosa. Nessuno di questi filosofi antichi è arrivato a concepire la durata reale, nemmeno la fisica moderna che spazializza il tempo, che riduce a successione di istanti, nemmeno Einstein. E tuttavia rimane ancora un personaggio non citato: colui che aveva messo al centro della sua filosofia il divenire puro, un filosofo stranamente non menzionato in queste pagine da Bergson. Eraclito è la vera alternativa.
Note
[36] Bergson, Henri, L’evoluzione creatrice, Rizzoli, Milano, 2016, p. 261.
[37] Bergson probabilmente non riesce a concepire un’idea di nulla che possa essere positiva o, come direbbe Cioran, non riesce a concepire la pienezza del vuoto. Tuttavia, nel passo seguente, Bergson si accorge che questa idea del nulla assoluto tende a coincidere con quella del tutto. A lungo andare questo nulla non potrà più essere svuotato e negativo, ma dovrà essere pieno e positivo.
[38] Bergson, Henri, L’evoluzione creatrice, Rizzoli, Milano, 2016, p. 281.
[39] Bergson, Henri, L’evoluzione creatrice, Rizzoli, Milano, 2016, p. 287.
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