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[Incipit] Philía e inizio (3)

[Incipit] Philía e inizio (3)

Mar 11

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3. L’insostenibilità di una erosofia

Come è noto philía non è il solo termine che i Greci avevano per ripartire l’area semantica della relazionalità interpersonale e affettiva, un’area peraltro molto sfumata in tutte le lingue, ma philía è il termine che più si adatta ad un certo particolare tipo di assiduità di frequentazione e precisamente, per quanto qui interessa, alla relazione dell’uomo nei confronti della sapienza.

A questo proposito è utile recuperare l’uso del verbo phileîn, del quale si possono distinguere in greco due sensi: l’amare di chi cerca il contatto e l’adesione e l’amare di chi cerca l’affiancamento e la frequentazione. Nel primo senso, un senso piuttosto fisico, il verbo phileîn significa ‘amare’, ‘abbracciare’, ‘baciare’. Nel secondo caso, invece, si ha un un senso più frequentativo, di consuetudine e gusto, in cui l’azione espressa da phileîn corrisponde all’italiano ‘esser caro’ seguito da un infinito, significa cioè ‘amar fare’, ‘avere il desiderio o l’abitudine di dedicarsi a’. È soprattutto questo senso frequentativo quello che rimane nelle parole composte con phil-, come ad esempio in “bibliofilia”, la passione (continua) di raccogliere o collezionare libri.

Due illustri studiosi di filosofia antica sono d’accordo nell’accettare il valore frequentativo (e non semplicemente attrattivo) del prefisso philo- nelle parole composte, tra cui anche “filosofia” rientra. Innanzitutto Pierre Hadot, quando nota che

in generale, da Omero in poi, le parole composte con il prefisso philo- servivano a descrivere l’atteggiamento di chi faccia coincidere il proprio interesse, il proprio piacere, la propria ragione di vita con una determinata attività: philo-posia, ad esempio, sta ad indicare l’interesse o il piacere del bere, philo-timia è la propensione ad acquisire onori; philo-sophia sarà, dunque, l’interesse che si sviluppa per la sophia. [1]

E così anche Michaël Frede:

Questa parola fa parte di una grande famiglia di aggettivi, utilizzati anche come nomi, formati dal prefisso philo- anteposto a un nome; simili formazioni sono particolarmente frequenti all’epoca del passaggio dal V al IV secolo, e servono per caratterizzare un uomo nella cui vita l’oggetto designato dal nome gioca un ruolo particolarmente importante e suscita un forte interesse… un filosofo è perciò una persona che, nel suo modo di agire e nella vita, è influenzata in misura inconsueta dal desiderio di sapienza. [2]

Intendere una valenza frequentativa e non semplicemente attrattiva della philía nei riguardi della sophía già ci può aiutare a capire il perché dell’insostenibilità di una eventuale “erosofia”, di una autodistruttiva concupiscientia gnoscendi [3].

Molto è stato scritto sulla differenza tra érōs e philía e non è nostra intenzione qui dilungarci. Per parte nostra ci limitiamo a questo slogan: érōs è fusione, philía è affiancamento. Con una spiegazione “vettoriale” si potrebbe dire che philía è una funzione che designa un parallelismo, mentre érōs descrive una perpendicolarità. La prima è processuale, la seconda incidentale. La processualità parallella ha la caratteristica di designare una relazione che va nella stessa direzione, senza interferenza; la cupidità incidentale invece è una pulsione dirompente e irrefrenabile, in collisione con il proprio oggetto, tendente ad Uno. La philía deve rispettare la differenza per poter essere, l’érōs tende invece a superarla e talvolta ad annullarla. – Si tratta di approcci completamente diversi, non solo in relazione al sapere.

Un’ulteriore, riuscitissima citazione ci viene qui in aiuto:

La disposizione che in “philo-sophia” il verbo greco phileîn esprime non è quella dell’amore come manifestazione di un desiderio di acquisizione che prevede una mancanza, ma un atto affermativo, vale a dire il godimento, la fruizione, la corrispondenza nei confronti di ciò a cui la philía si rivolge. È, cioè, l’amicizia e non l’amore quello di cui la philía, che compone il termine filosofia, ci parla […] Del resto, l’amore tende all’unificazione, mentre l’amicizia è e rimane duale, conserva in sé la distinzione. L’amicizia, al contrario dell’amore, non vuole avere, ma lascia essere. La sua topica non è quella amorosa dell’estrema prossimità e della sovrapposizione, della fusione e dell’immedesimazione, ma quella amicale della misurata distanza, dell’approssimazione discreta e, quindi, della rispettosa differenza. Se un gesto le è proprio, non è quello del possedere, del trarre a sé e del trattenere, bensì quello del donare, dell’offrire e del dare. […] L’amicizia descrive un modo di essere che, quindi, non aspira ad acquisire, anche fosse possibile, l’altro termine della relazione, appropriandosene e finendo per fare un tutt’uno con esso, bensì si mantiene, con rispetto, nello spazio dischiuso dalla relazione e dalla relazione stessa trae la ragione ultima del suo essere. [4]

Quel che è interessante è che la valenza frequentativa può essere recuperata anche su quella attrattiva. Il processo conoscitivo che dalla philía conduce all’érōs è reversibile e l’immedesimazione può tornare ad essere affiancamento. Come ha scritto Salvatore Natoli in una sua nota: sì,

noi iniziamo amando il corpo, ma, diventando intimi con l’altro, assistiamo al trasformarsi dell’Eros in Philia, cioè la passione dell’anima. Tramite l’amore si diventa amici, ovvero la carne si fa relazione stabile e intensiva quando l’altro non è più solo il termine del desiderio, ma è qualcosa che mi sta a cuore e che custodisco – perché se Eros non diventa Philia degenera in vizio. [5]

Quello di cui parla qui Natoli è forse un passo da farsi ulteriore, un passo indietro indispensabile. È il retrocedere di chi sa lasciar-essere. (Secondo alcuni interpreti questa trasformazione può essere letta in una sorta di “ritrattazione” del Simposio – il celebre dialogo dell’érōs – operata dallo stesso Platone in favore di un più disinteressato ideale di amicizia, ravvisabile in alcuni suoi dialoghi più tardivi) [6]. Si può parlare a questo proposito di “sublimazione”, di finalizzazione dell’érōs nella philía. Non sopraffacendo né disinteressandosi del proprio oggetto, ma appunto lasciandolo essere. Da un punto di vista gnoseologico, la trasformazione di una spinta pulsionale in una attività sublimata quale la pratica filo-sofica è ad un certo punto un atto fondamentale, forse necessario. Torna a lasciare una distanza che può aprire spazi impensati, quella giusta distanza che consente di poter mettere bene a fuoco il proprio oggetto.

 

Note:

[1] P. Hadot, Qu’est-ce que la philosophie antique?, Gallimard, Paris, 1995; trad. it., Che cos’è la filosofia antica?, Einaudi, Torino, 1998, p. 19.

[2] M. Frede, Figure di filosofo, in Il sapere greco, a c. di J. Brunschwig e G.E.R. Lloyd, vol. I, Einaudi, Torino, 2005 (1996), p. 7.

[3] È interessante notare che Heidegger, partendo dalle stesse premesse etimologiche dei due interpreti sopra citati, arrivi a conclusioni opposte: in phílein mimimizza il senso frequentativo e accoglie la tendenza ad Uno nel senso dell’Éros, quasi che per lui ci fosse un originario stato di grazia in cui il phileîn e il sapere fossero uniti: una condizione ora perduta di cui il termine philosophía esprimerebbe l’attuale stato di decadimento. Egli così scrive: «La parola greca philosophía deriva dalla parola philósophos. Questo termine è originariamente un aggettivo, come philárgyros, amico del denaro, e come philótimos, amico dell’onore…», poi però prosegue: «Un anèr philósophos, , è colui che… ama il sophón, il sapere; phileîn, amare [lieben] significa qui, nel senso di Eraclito, omologheîn, parlare così come parle il Lógos, cioè corrispodere al Lógos. Questo corrispondere è in consonanza con il sophón. Consonanza è armonía. Il fatto che un essere si congiunga all’altro in un rapporto di reciprocità, che entrambi si congiungano originariamente l’uno con l’altro poiché sono disposti ad essere l’uno per l’altro, questa armonía è ciò che caratterizza in modo peculiare il phileîn, e cioè l’amare… Il phileîn tò sophón, quella consonanza con il sophón – la armonía – divenne così una órexis, una tensione [Streben] verso il sophón; il sophón – l’essente dell’Essere – viene ora espressamente cercato. Perché il phileîn non è più un’originaria consonanza con il sophón, ma una tensione particolare in direzione del sophón, il phileîn tò sophón diviene “philosophía“». Non a caso egli conclude subito dopo: «La tensione di quest’ultima è determinata dall’Éros». M. Heidegger, Was ist das – die Philosophie? [1955], tr. it. Che cos’è la filosofia?, a c. di C. Angelino, il Melangolo, Genova, 1981, pp. 22-25.

[4] A. Tagliapietra, Il dono del filosofo. Sul gesto originario della filosofia, Einaudi, Torino, 2009, pp. 11-13.

[5] S. Natoli, Eros e Philia, Alboversorio, Milano, 2011, p. 16.

[6] «In the Symposium, erotic relation does not lead to fraternal relation; according to Alcibiades, Socrates has never formed a bond of friendship with him. As we noted, he is too virtuous and self-sufficient to need a friend. What was called philosophia in the Symposium is really erosophia, and the Phaedrus converts erosophia into philosophia. The Phaedrus does this by taking us back to the Lysis and its ideal of friendship… Self-seeking erotic love is replaced by brotherly love of fellowship in the Republic, and again in the Phaedrus. In that regard, the Phaedrus is a palinode of the Symposium». T.K. Seung, Plato Rediscovered. Human Value and Social Order, Rowman & Littlefield, Lanham (Maryland) 1996, p. 114.

 

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2 comments

  1. andrea

    complimenti! un articolo davvero interessante.

  2. Matteo

    Grazie Andrea del tuo apprezzamento. Come avrai letto, questo mio contributo nasceva dal considerare che, curiosamente, all’epoca in cui si ritiene iniziare la “filosofia” non esisteva la parola “philìa”, che pure rientra ancora nel nome, ma rientra in maniera retroattiva, essendo “philìa” vocabolo più tardo (vedi sez. 4). Da qui l’idea di provare a ricontestualizzare quel fenomeno culturale arcaico nei suoi stessi termini, se non geneaologicamente, almeno etimologicamente, come “philótēs”, con quel differente significato che ho in qualche modo cercato di recuperare… Più in generale, questa breve analisi rientra in un mio quadro di studi ben più ampio, che spero di poter riprendere presto, anche attraverso questa rubrica “Incipit” (sul tema dell’inizio in/della filosofia) con altri articoli sul tema…

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