[Incipit] Il motivo dell’origine: questioni di metodo (5)
[Incipit] Il motivo dell’origine: questioni di metodo (5)
Lug 07
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5. Sgomento del fondamento e cognizione del principio
Questo sgomento del fondamento è il tipo di “meraviglia” alla quale l’origine del desiderio di σοφία si appella. Paradossalmente, in tale meraviglia non c’è niente di meraviglioso. Non più di quanto ci sia di meraviglioso nella strenua lotta per la vita e per il suo senso, nella lotta per la sopravvivenza in quanto esseri razionali, eternamente “condannati” a chiedere: «perché?». E comunque il desiderio di σοφία che tutti gli uomini condividono in quanto «tutti gli uomini per natura desiderano conoscere» [12] non è in realtà affatto una condanna, ma rappresenta uno stato di emancipazione [13] rispetto alla brutalità animale o all’inavvedutezza di chi si lascia vivere. Non è una condanna perché è piuttosto un sapere che libera, essendo esso stesso libero. È un sapere disinteressato non nel senso che sia indifferente circa il suo oggetto o il suo contenuto, ma è disinteressato nel senso che non si preoccupa della contingenza ma tende sempre a capire ciò che vale in ogni caso e necessariamente, anche al di là delle implicazioni pratiche e immediate.
Tale sapere è il «più gerarchicamente autorevole» o il «più architettonico», dice Aristotele, cioè quello che si colloca, per così dire, alla testa della ramificazione della conoscenza e della sua strutturazione [14], in quanto i suoi fini non sono a niente subordinati se non all’ordinamento della conoscenza stessa [15]. Ma l’aggettivo archichê può significare anche il più «originario», essendo quello il sapere che più si edifica sui suoi stessi principî (archai) [16].
Ma di quali cause e di quali principî tale sapere si occupa? Infatti tale σοφία originaria si occupa non di tutte le cause e di tutti i principî, ma solo delle cause e dei principî primi. In che senso primi? Primi in ordine di tempo, cioè più antecedenti, e primi in ordine di valore, cioè più fondanti. Aristotele parla a questo proposito di cose che sono «prime per noi», cioè più vicine alla nostra esperienza, e di cose che sono «prime per natura», cioè più generali, ed è a queste ultime che la sapienza punta, perché queste ultime sono più esplicative e cruciali al fine di comprendere la realtà. Tuttavia noi non possiamo avere accesso alle cose che sono «prime per natura» se non attraverso le cose che sono «prime per noi», pertanto – egli sostenne contro i platonici – dobbiamo partire da quei fenomeni che ci sono immediatamente accessibili per poi procedere tramite induzione agli ordinamenti più generali, che valgono sempre e di necessità. Tali ordinamenti sono appunto principî e cause prime. E che cosa intende in particolare Aristotele per principî ? Non è possibile dare qui una risposta esaustiva [17]6. In generale possiamo dire che per Aristotele i principî sono ciò che si pone all’inizio delle dimostrazioni deduttive: è essenziale la loro verità perché da essi deriva la verità delle conclusioni che ne derivano. Quanto alle cause, invece, anche in questo caso la lingua italiana fa difetto rispetto al greco:
A questo proposito non bisogna intendere il concetto di causa nel senso moderno di evento che produce un altro evento, ad esso posteriore. Questa è la causa di tipo meccanico, che Aristotele avrebbe chiamato «causa motrice», o «efficiente». Il perché, o la causa nel senso antico, è qualsiasi tipo di spiegazione: ad esempio, se si tratta di spiegare un oggetto, ci si chiede di che cosa è fatto, perché è fatto in un certo modo e non in un altro, chi lo ha fatto, a che cosa serve. Oppure, se si tratta di un evento, ci si chiede perché è accaduto, che cosa lo ha provocato, perché si è presentato in quel modo e non in un altro, quali conseguenze può avere, e anche a quali fini può essere rivolto. [18]
Per Aristotele una cognizione tanto ampia quanto specifica di causa, così come una formulazione tanto incontrovertibile quanto precisa di principio, sono ciò che può dare risposta a quell’altrimenti insormontabile desiderio di σοφία, e che anzi ne costituisce il contenuto primo e più importante.
Si consideri infine che nella citazione iniziale c’era una differenza, probabilmente un’evoluzione tra sapienza e scienza. Leggevamo infatti: «Che dunque il sapere (σοφία) sia scienza (ἐπιστήμη) di certi principî e cause, è evidente». Si potrebbe a tal proposito parlare di φιλο-ἐπιστήμη, nel senso che l’aspirazione per la sapienza degli antichi diviene ormai volontà di scienza, cioè sapere fondato e stabile. Un sapere che è tale non per tradizione, né per autorità o suggestione mitopoietica, ma che è certo solo nella misura in cui ne vengono riconosciuti, accertati e discussi criticamente i presupposti: solo così la comprensione del reale potrà essere salda ed effettiva e potrà rendere dialetticamente ragione delle proprie acquisizioni. La scienza che Aristotele ha in mente qui è probabilmente già in nuce la filosofia prima, quella scienza dell’essere in quanto essere, che tanto influenzerà la metafisica occidentale, con diversi intendimenti e differenti esiti.
Come vedremo, da tale caratterizzazione delle cause e dei principî in oggetto potrebbe derivare poi un ulteriore metodo di risposta alla meraviglia dell’origine – ulteriore perlomeno rispetto a quei modelli di risposta che Natoli distingue nel suo studio preliminare e che ora andremo ad analizzare.
Note
[12] Come recita il celebre incipit della Metafisica di Aristotele.
[13] «L’episodio che determina nell’uomo il bisogno di conoscere e l’aspirazione a sapere è indicato nel θαυμάζειν, la cui sensazione cessa però di esistere nel momento in cui ci si rende conto delle ragioni delle cose». R.L. Cardullo (a c. di), Aristotele, Metafisica Α α Β, cit., p. 176. «Aristotele intende dire che la meraviglia iniziale mette capo in un secondo tempo al sapere, che è contrario alla meraviglia iniziale, ma è migliore di essa». C.A. Viano (a c. di), Aristotele, La Metafisica, UTET, Torino 1974, p.188, n.1.
[14] «Tra le tappe del conoscere merita di più il titolo di sapienza quella forma di conoscenza che non si limita alla registrazione passiva dei dati sensibili, ma si interroga sulle cause. Quindi l’esperienza, ancora fortemente legata alla sensazione, non può esser detta sapienza; tale è invece l’arte che è la prima manifestazione del sapere per causas, dirigenziale e architettonico. Ma più ancora dell’arte, che è scienza produttiva (e nella successiva classificazione aristotelica delle scienze occuperà il gradino più basso), è sapienza la scienza teoretica, ovverosia quella che il filosofo più avanti articolerà in fisica, metafisica o filosofia prima e matematica, e alla quale assegnerà lo scopo disinteressato di conseguire il sapere per il sapere. È assolutamente chiaro a questo punto che la σοφία (quella che per noi è la metafisica, cioè la disciplina filosofica più alta) è una conoscenza scientifica, cioè indefettibile, di certi principi e di certe cause». R.L. Cardullo (a c. di), Aristotele, Metafisica Α α Β, cit., pp.165-166.
[15] Cf. Enciclopedia Treccani online, Dizionario di filosofia (2009), s.v. «architettònico». http://www.treccani.it/ enciclopedia/ architettonico_%28 Dizionario-di-filosofia%29/
[16] «I have followed Ross in translating archikê as ‘authoritative’, but it may also mean ‘originary’, i.e. ‘having to do with the archai’». S. Broadie, «A Science of First Principles. Metaphysics A 2», in C. Steel & O. Primavesi (eds.), Aristotle’s Metaphysics Alpha, cit., p. 58.
[17] Esiste un massiccio libro, tradotto anche in italiano, di un insigne ed apprezzato studioso contemporaneo che offre la sua risposta alla domanda: T. Irwin, Aristotle’s First Principles, Oxford 1988, trad. it. Id., I princìpi primi di Aristotele, Milano 1996.
[18] E. Berti, In principio era la meraviglia. Le grandi questioni della filosofia antica, cit. Cfr anche: C. Natali, AITIA in Aristotele. Causa o spiegazione?, in Beiträge zur Antiken Philosophie. Festschrift für W. Kullmann, hrsgg. v. H.C. Gunther – A. Rengakos, Stuttgart 1997, pp. 113-124.
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