L’etica stoica XII. Passioni
L’etica stoica XII. Passioni
Giu 08[ad#Ret Big]
Poiché per gli stoici le emozioni o passioni (pathe) hanno come effetto l’infelicità, bisogna eliminare esse e/o le loro cause, eventualmente distinte da loro. L’infelicità è dovuta alla disconnessione dell’individuo dal logos universale e le passioni paiono moti irrazionali dell’anima contrari all’opera di mediazione svolta dal logos individuale. Ma causa delle passioni non sono gl’istinti animali o una qualsiasi altra forza che attenti alla razionalità provenendo da fuori. Esse piuttosto sono ricondotte dal razionalismo stoico allo stesso onnipervasivo logos.
Per Zenone e i suoi seguaci la passione è effetto di un giudizio errato, che attribuisce predicati morali come “è un bene” o “è un male” a soggetti moralmente indifferenti come “la ricchezza” o “la povertà”. Che all’origine dell’azione eteronoma rispetto ai principi che la ragione pura pratica si dà autonomamente vi siano massime, perlopiù implicite, non universalizzabili è un’acquisizione kantiana anticipata dagli stoici forse più determinatamente rispetto a Socrate e Platone. Del resto Kant deve molto in generale all’etica stoica, storicamente tanto potente da essere giunta a lui non eccessivamente distorta nonostante i molti rimaneggiamenti e la drammatica perdita delle opere dei nostri autori.
Zenone dunque argomenta: se una certa tendenza prodotta da una rappresentazione che normalmente sarebbe giudicata indifferente (cioè come né bene né male ma al massimo utile alle necessità naturali della vita esteriore) da parte di un logos forte e retto è invece perseguita come fosse un bene o fuggita come fosse un male da parte di un logos debole, allora insorge una falsa opinione cui conseguenza è una passione, cioè un moto dell’anima irrazionale perché squilibrato, declinantesi come effusione e contrazione, esaltazione e depressione. Tale moto è contro natura, deviante dal e sfuggente al controllo del retto logos deputato alla scelta, in quanto impulso spinto all’eccesso, oltre lo stabile equilibrio naturale, in particolare oltre la giusta misura da assegnarsi ai meri indifferenti.
Crisippo e la sua corrente radicalizzano la posizione razionalista zenoniana: la passione è senz’altro identica all’opinione malvagia ed al giudizio erroneo. Stranamente qui si scambiano le parti: di solito era il fondatore Zenone quello che assumeva le posizioni più nette, non il conciliante e dialettico rifondatore Crisippo. Con Crisippo l’errato giudizio è condizione non più solo necessaria ma anche sufficiente delle passioni. L’assorbimento della componente affettiva e sentimentale della vita morale in quella razionale è totale, privo di sbavature extralogiche. Se infatti la differenza tra ragione e passione fosse di genere, il logos non avrebbe alcun potere su ciò che non gli compete.
La differenza allora è meramente di grado: la medesima parte razionale dell’anima, il principio egemonico, che sovrintende alle propensioni, alle abitudini ed agli assensi, può indirizzarsi polarmente o verso la ragione o verso le passioni. Ma sia la deviazione psicologica dalla retta via verso il desiderio, il dubbio, l’ira, il timore, il piacere di compiere azioni vergognose sia la riconversione verso la resistenza alle lusinghe dei sensi ed agli atti irriflessivi avvengono tanto repentinamente (a mo’ di corse di bambini irruenti ma deboli) da rimanere inconsce, cosicché non si avvertono i passaggi logico-inferenziali corretti o meno a seconda che s’inclini verso la ragione o le passioni rispettivamente.