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L’etica stoica IV. Gl’indifferenti

L’etica stoica IV. Gl’indifferenti

Mag 01

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Secondo gli stoici le cose o sono buone o sono cattive o sono indifferenti (adiaphora). Al di fuori della differenza netta tra beni e mali cadono gl’indifferenti: bene è tutto ciò che il singolo può in armonia con l’essere, vale a dire essere saggio, temperante, giusto, coraggioso e in generale dotarsi di virtù e delle cose che partecipano della virtù, e male tutto ciò che lo sconnette dal logos, vale a dire essere dissennato, intemperante, ingiusto, vile e in generale vizioso e affetto dalle cose che partecipano del vizio; invece tanto il verificarsi quanto il non verificarsi degl’indifferenti non influisce né positivamente né negativamente sul rapporto colla razionalità cosmica. Gl’indifferenti non sono né beni né mali, ma meri intermedi privi di rilevanza morale, dei quali il saggio non deve curarsi.

Per la precisione, “indifferente” si dice in tre sensi:

  1. ciò verso cui non sorge né impulso né ripulsa, come l’essere dispari o pari dei capelli e degli astri;
  2. le cose che, pur destando impulso o ripulsa, non danno motivo per optare per l’una piuttosto che per l’altra perché indiscernibili, come nel caso si dovesse scegliere una tra due banconote da cinquanta euro: l’impulso a prenderne una c’è, ma non si ha motivo di preferire questa piuttosto che quella;
  3. ciò che non contribuisce né alla felicità né all’infelicità.

Quest’ultimo senso di “indifferente” indica quel che giova o nuoce al mero corpo individuale dell’agente e alla sua collocazione contingente. Tutte le cose corporee e la maggior parte delle cose esterne sono dunque indifferenti perché, non essendo utilizzabili né bene né male ma talora bene e talaltra male, non procacciano stabilmente né felicità, a differenza della virtù, di cui si fa sempre buon uso, né infelicità, a differenza del vizio, di cui si fa sempre cattivo uso. Tra gl’indifferenti gli stoici elencano: piacere, ricchezza, nobiltà di sangue, fama, bellezza, riposo, vigore delle membra, salute e in generale vita, da un lato, e i loro contrari, cioè dolore, povertà, oscuri natali, cattiva reputazione, bruttezza, fatica, debolezza, malattia e in generale morte, dall’altro lato. Il corpo è un sasso che affonda diffondendo cerchi storico-sociali sempre meno increspanti e a lungo andare riassorbiti dall’oceano dell’intero.

Ciononostante, l’immediata identificazione col logos rischia di contraddire il fondamento biologico della valutazione morale, quell’oikeiosis che l’uomo, in quanto corpo, comunque ha. In effetti, siccome non c’è mediazione argomentativa tra il logos universale e l’autoappropriazione individuale che spinge a preferire la sopravvivenza alla morte, pensatori più rigorosamente materialisti possono sentirsi autorizzati a rifiutare i beni stoici come sovrastruttura ideologica non fondata conclusivamente ma sopravveniente sulla struttura, i bisogni animali del corpo, ossia gl’intermedi positivi.


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