L’etica stoica XIV. Il saggio
L’etica stoica XIV. Il saggio
Giu 15[ad#Ret Big]
Il saggio ritratto dagli stoici non si apparta dal mondo e dalla discussione pubblica sul bene in una privatezza di rinuncia, ma anzi reintegra ed arricchisce l’informazione mancante nello stile di vita non virtuoso dei più dando conto in modo assolutamente determinato della sofferenza dello stolto senza fuggirla come un che di opaco e incomprensibile, causato da forze contrarie al logos. Se il saggio alla lunga si estrania dal mondo, ciò avviene perché non compie nessun investimento emotivo sulle circostanze, ma si esercita ad allargare il suo orizzonte in modo da non essere mai preso alla sprovvista da esse, quasi che non fossero inquadrabili nella deterministica connessione del reale.
Dunque la scienza sussume qualsiasi determinatezza apparentemente accidentale o pulsione apparentemente alogica. Le passioni infatti sono torsioni erranti del logos stesso. Se questo è vero, l’agente razionale non può limitarsi a moderarle come un dato estraneo non completamente trattabile o come impulsi naturali innati da mantenere per rispetto di sé, ma deve eliminarle completamente, distruggerle impugnando la matricale falsa opinione sui beni e sui mali, cosa agevole per chi abbia acquisito la scienza che dimostra l’indefettibile necessità determinante ogni evento. Alla luce della scienza, gl’indifferenti sono così e basta, eventi neutri né eccitanti (quasi fossero beni) né deprimenti (quasi fossero mali).
Il saggio saprà dunque abortire le passioni sul nascere curando il suo logos e alimentandolo colla conoscenza, a livello logico, senza aspettare che dilaghino praticamente, quando è già troppo tardi. Infatti, mentre il saggio è paragonabile a chi sta a galla, lo stolto è simile a chi è sott’acqua: come affoga tanto chi è a solo un metro sotto la superficie quanto chi sta toccando il fondo a un chilometro di profondità perché entrambi non respirano, così non è virtuoso né chi è istradato verso la moderazione degl’impulsi e la virtù né chi è nella selva oscura della passione e del vizio. L’unica salvezza per entrambi, sia per il quasi virtuoso sia per il vizioso, è convertirsi all’impassibilità ed alla virtù assoluta, divenendo saggio in ogni pensiero ed opera.
Scorriamo infine brevemente la messe di epiteti divinizzanti attribuiti dagli stoici al loro paradigma ideale di bontà, virtù e felicità. Il saggio è:
- infallibile sia teoreticamente (non opina ma sa) sia praticamente (agisce conformemente al retto logos);
- grande giacché manda ad effetto la risoluzione scelta;
- imponente giacché è cresciuto in tutto;
- alto giacché possiede la grandeur dell’uomo nobile e sapiente;
- forte giacché il suo equilibrio interiore lo rende invincibile ed insuperabile;
- libero giacché vuole, afferma e si sottomette a tutto ciò che è necessariamente destinato (amor fati); grazie alla corazza del logos è non solo
- autosufficiente ed
- imperturbabile, ma anche
- ricco,
- nobile e
- bello benché esteriormente mendicante, schiavo e brutto.