LOGICA FORMALE: METAVARIABILI E FORMULE BEN FORMATE (APPUNTAMENTO 7)
LOGICA FORMALE: METAVARIABILI E FORMULE BEN FORMATE (APPUNTAMENTO 7)
Gen 17[ad#Ret Big]
Dopo aver accontentato anche i bambini introducendo le figure in questo libro virtuale e cioè con le “sbrillucicanti” matrici dei connettivi logici principali nell’ultimo post; oggi dobbiamo porre alcune puntigliosine precisazioni d’obbligo riguardo al nostro linguaggio formale, cioè nel linguaggio formale della logica classica. Uff! Ci piaceranno queste precisazioni? Non ci piaceranno? Ci abbisogneranno! Epperciò accingiamoci.
Partiamo dalla definizione di formule “ben formate” e la prendiamo così dal marmo com’è scritta nelle righe di Berto:
La costruzione di un linguaggio formale esige che si diano precise regole morfologiche, dette regole di formazione, che ne definiscono la sintassi. Queste specificano, entro l’insieme delle formule o sequenze di simboli di quel linguaggio, un sottoinsieme di formule ammissibili, dette (sintatticamente) ben formate, appunto perché costruite in conformità a tali regole.
Tutto ciò può apparire ben banale ma è ciò che succede anche nella matematica, dove ad esempio sono solo certi simboli a poter essere utilizzati e secondo le loro particolari modalità d’impiego. Infatti non inseriamo a caso in una addizione parole del linguaggio naturale pensando che “cane + cuccia + scodella di cibo = perfezione” sia una espressione matematica, al massimo una costatazione ontologica ed estetica che per quanto discutibile il mio cane professa come fede o almeno come minimo sindacale.
La simbologia logica classica si compone di tre elementi principali: (1) Un alfabeto logico formato dai simboli dei connettivi logici precedentemente descritti e cioè: “¬,⋁,⋀,→,↔”. In secondo luogo (2) avremo un alfabeto descrittivo che consiste in un numero finito di variabili enunciative, cioè in questo caso le lettere maiuscole dell’alfabeto italiano: “P, Q, R, S, …” le quali stanno a simboleggiare ognuna un singolo enunciato, come abbiamo visto negli esempi dei post precedenti. Se, durante una dimostrazione, le lettere che sono 21, dovessero finire, (dove sono andate?) e avessimo bisogno di altri simboli univoci per indicare ulteriori enunciati, allora semplicemente ci aggiungiamo un pedice così “P1, P2, Pn”. Quelle che abbiamo detto essere parole logiche come “non”; “se, … allora”; “e”; “o”; non fanno propriamente parte di un alfabeto descrittivo ma sono appunto parole logiche che non descrivono il mondo, cioè non si riferiscono a fatti o a stati di cose. Così quando nel linguaggio naturale riconosciamo le parole logiche, dobbiamo interpretarle secondo le precisazioni elencate rispetto alla funzione di ogni connettivo e tradurle col simbolo del connettivo logico appropriato. Le parole logiche quindi stabiliscono una relazione fra enunciati e mentre gli enunciati sono virtualmente infiniti, le parole logiche (i connettivi della logica classica) stanno ad indicare sempre una medesima relazione che si istituisce fra gli enunciati. (3) L’ultima componente del nostro linguaggio formale sono le parentesi “(“ e “)” che abbiamo già visto, le quali indicano la precedenza di alcune relazioni logiche su altre, e si chiamano in gergo alfabeto ausiliario.
Ma se ci fermassimo qui sarebbe tutto troppo semplice, anzi: mediocre! Abbiamo detto che consideriamo le lettere maiuscole dell’alfabeto italiano come variabili enunciative, ebbene adesso consideriamo le metavariabili, che altro non sono che simboli di simboli, o sequenze di simboli, del linguaggio formale. In generale il prefisso “meta-” sta ad indicare una struttura più generale che comprende una struttura più semplice e specifica. Per le metavariabili d’ora in poi utilizzeremo le lettere dell’alfabeto greco (es: “α”,“β”,“γ”,“δ”, …) e qual’ora vi fosse necessità di simboli univoci per elementi superiori in numero alle lettere dell’alfabeto greco vi aggiungeremo il simpatico pedice col numerino (es: “α1”,“α2”,“αn”, …). Una metavariabile nel caso più semplice può coincidere con una variabile enunciativa (α = A = “il cane mangia Aldo”) o simboleggiare una qualsiasi formula ben formata (α = (A ⋀ B) → (A ⋀ C)).
So che quanti mi seguono sono (pochi) uomini (donne) temprati al fuoco della severità e resistenti alla più infida manifestazione della noia, ed è per questo che so quanto vi piace riscoprire che il linguaggio della logica è così pensato per essere assolutamente rigoroso. Ed per questo scopo che si utilizza una “definizione per induzione“, al fine di introdurre un metodo grazie al quale si sia in grado di decidere inequivocabilmente se una formula è una formula ben formata.
B) Il primo punto di una definizione per induzione si chiama “base” della definizione e descrive un determinato gruppo iniziale di elementi di cui si andrà a comporre il linguaggio formale. Inoltre specifica che cosa viene considerato un “elemento” in questo tipo di linguaggio cioè un simbolo semplice non ulteriormente semplificabile. Nel nostro caso la base della nostra definizione si dà affermando che: ogni variabile enunciativa è una formula ben formata.
P) Il secondo step si chiama per l’appunto “passo”. Si specificano le operazioni che fanno parte del nostro linguaggio formale o le relazioni fra gli elementi che sono considerate valide. Inoltre si stabilisce che il prodotto delle relazioni o delle operazioni permesse dal linguaggio fra gli elementi dell’insieme permessi dal linguaggio danno come risultato ancora elementi ammessi nel linguaggio. Per quanto riguarda la logica formale come fin qui esposta abbiamo che il passo della nostra definizione si esprime in cinque clausole:
1) Se α è una formula ben formata, ¬α è una formula ben formata;
2) Se α e β sono formule ben formate, (α⋀β) è una formula ben formata;
3) Se α e β sono formule ben formate, (α⋁β) è una formula ben formata;
4) Se α e β sono formule ben formate, (α→β) è una formula ben formata;
5) Se α e β sono formule ben formate, (α↔β) è una formula ben formata.
C) L’ultimo cosa da introdurre è la “chiusura” (che è diverso da quando ti cacciano fuori che non si beve più!) della definizione che semplicemente afferma che solamente quanto espresso in (B) e (P), cioè nella “base” e nel “passo”, è da considerarsi una formula ben formata.
Berto espone sinteticamente quanto espresso nella definizione per induzione appena riportata scrivendo:
[…] sono formule ben formate tutte le variabili enunciative; e inoltre sono formule ben formate tutti i composti che si ottengono connettendo formule date in modo conforme alle regole, mediante i cinque connettivi logici (più gli eventuali simboli ausiliari).
Questo è quanto! Abbiamo visto che le metavariabili stanno al posto delle variabili e di formule logiche in cui compaiono variabili e connettivi logici e simboli ausiliari. Sulle metavariabili si possono applicare le medesime operazioni che si possono applicare sulle variabili enunciative. Di conseguenza le tavole di verità dei connettivi logici presentate nei post precedenti possono essere riscritte utilizzando al posto delle variabili enunciative delle metavariabili. E per il vostro solo piacere e perché ho a cuore che voi capiate, mi prodigherò in una ulteriore immagine esemplificativa e bellissima:
Se c’è qualcuno all’altro capo del filo col barattolo e avesse delle domande (semplici) è libero di farle! Alla prossima!