Il problema filosofico della possibilità
Il problema filosofico della possibilità
Feb 17[ad#Ret Big]
In questo post introduciamo il problema filosofico della possibilità. Apparentemente parlare del concetto di possibilità può risultare qualcosa di lontano dalle situazioni quotidiane, relegato alle discussioni astruse da filosofi.
In realtà, se consideriamo il linguaggio quotidiano, vedremo che la possibilità si annida in molti dei dati di fatto che si esprimono nelle proposizioni del linguaggio. Ad esempio, le proposizioni
Ladror di Follie ha un cane
Io sono milionario
Il festival di Sanremo è arrivato alla 61° edizione
significano rispettivamente che Ladror di Follie avrebbe potuto avere un gatto, che posso comprare l’Università degli Studi di Padova e che il Festival avrebbe potuto fermarsi alla 10° edizione.
Ecco quindi la prima ragione per cui possiamo considerare il problema della possibilità una faccenda che riguarda la nostra vita quotidiana. Ma ce ne sono altre due:
- se qualcosa avviene, significa che era possibile che accadesse;
- la possibilità sta alla base anche di stati d’animo e giudizi non verificabili empiricamente: si può aver paura di qualcosa che potrebbe accadere anche se non è mai successo e si può accusare qualcuno di un reato anche senza averlo visto compiere il fatto.
Il problema filosofico della possibilità, come rileva bene Andrea Borghini nel suo libro “Che cos’è la Possibilità”, può essere riassunto nella frase:
Che cosa significa dire che una certa situazione è possibile?
A sua volta, questa questione è legata a altri due problemi:
- Come veniamo a conoscenza di ciò che è possibile?
- Che cos’è un ente possibile?
Il primo problema è di natura epistemica, cioè riguarda le modalità con cui acquisiamo le informazioni, il secondo di natura metafisica, ovvero riguarda quali siano gli enti che esistano e che relazioni intercorrano tra loro.
Una strategia per risolvere il problema epistemico della possibilità è chiarirne il problema metafisico. Le opinioni qui discordano: c’è chi pensa che gli enti siano finzioni (posizione sul problema metafisico del funzionalismo) e che quindi sono frutto dell’immaginazione, o chi sostiene che siano frutto dell’esperienza e quindi conosciuti con un’induzione (realismo modale).
Facciamo un esempio: Il cane di Ladror di Follie oggi potrebbe mangiare un osso. Come posso saperlo? Magari me lo sono immaginato, quindi la mia è un’invenzione, oppure la mia è un’inferenza basata su una deduzione: ho visto ieri il cane che mangiava un osso. O ho dedotto questa possibilità dal fatto che i cani talvolta mangiano un osso?
Questo basti per ora per inquadrare il problema filosofico della possibilità.
L’universo esiste perché la sua esistenza è possibile. Si potrebbe anche dire che l’esistenza sia, quando considerata nella sua totalità, frutto della possibilità universale. Ma il possibile è maggiore dell’esistenza, perché sono possibili realtà che, precedendo l’esistere, ne costituiscono il principio. Dunque per possibilità universale si deve intendere non solo l’esistenza in quanto manifestata, ma anche tutto ciò che è stato e ha determinato il presente e determinerà il futuro, ciò che ancora non è, ma che sarà, insieme a quello che pur non potendo essere, in quanto causa dell’essere, ha il suo grado di realtà non sottomessa alla necessità di essere, con le conseguenti limitazioni implicite all’essere una cosa invece che un’altra. In realtà occorre considerare i princìpi universali perché sono princìpi che stanno al minor grado possibile di relatività in conseguenza della loro prossimità al Centro di tutti i centri. Questi princìpi universali sono al di fuori della durata temporale, così come il punto e l’istante sono al di fuori dallo spazio e dal tempo.