La filosofia nei discorsi quotidiani
La filosofia nei discorsi quotidiani
Dic 24[ad#Ret Big]
Benché definire la filosofia sulla base della sua etimologia sia una mossa affascinante, non offre una risposta soddisfacente alla domanda su che cosa essa sia. Potremmo allora imboccare una via alternativa, muovendoci attraverso i nostri discorsi quotidiani: in altre parole, tentare di rispondere analizzando l’uso della parola ‘filosofia’ nel linguaggio ordinario. Dopotutto, non è ragionevole affidarsi alla realtà delle conversazioni che intratteniamo giornalmente, dato che per loro tramite discutiamo, ci comprendiamo, giungiamo ad accordi e sembrano, a conti fatti, “funzionare”? Sicuro! – ma a patto di assumere che l’uso del linguaggio comune sia l’uso corretto del linguaggio.
- Spesso, con ‘filosofia’ indichiamo un insieme di nozioni o princìpi che ispirano la linea di condotta, e con essa le decisioni, di persone o istituzioni. Si usa il termine, per esempio, in espressioni quali «La mia filosofia di vita è spassarmela» oppure «La filosofia commerciale dell’azienda è ottenere il massimo profitto con il minimo sforzo», e così via. Tale uso presuppone che la filosofia sia un apparato – più o meno organico e coerente – d’idee stabilite e fondanti, tendenzialmente non discutibili. Come mai, però, se apriamo un qualunque manuale scolastico di storia della filosofia, balza all’occhio una concezione più dinamica della filosofia, giacché ciascun filosofo riprende i concetti propri o dei suoi contemporanei o predecessori, li saggia, li valuta e, se li trova inadeguati o incoerenti, li smonta e ne ricostruisce di nuovi?
- Altre volte, quando magari dobbiamo affrontare un problema impellente la cui soluzione richiede un atteggiamento pragmatico, adoperiamo il termine per troncare un dibattito o zittire una persona, accusandola di aver ecceduto nelle astrazioni: «Non è il momento di fare filosofia!». Eppure, davvero fare filosofia significa riflettere in astratto, ossia senza ancoraggio alla concretezza? Certo, ad alcuni filosofi è avvenuto, e avviene, di giungere a tali sottigliezze logiche, da perdere di vista le esigenze e i problemi di partenza. Ciononostante, identificando la filosofia con un modo di pensare avulso dalla realtà, magari perché alcuni filosofi vi sono scivolati, si rischia di confondere la parte (un esito possibile della filosofia) con il tutto (la filosofia stessa).
- Talvolta, infine, ci succede di affermare anche: «Tizio sopporta le sue disgrazie con filosofia», oppure di esortare Sempronio a «prendere la vita con filosofia», quando appunto Tizio o Sempronio si trovano in difficoltà esistenziali. In questo caso, l’equazione è tra la filosofia e una disposizione d’animo che, degna dei migliori maestri di vita, assume il nome di saggezza, serenità o equilibrio. Nondimeno, siamo sicuri che la filosofia sia riducibile a uno stato mentale o a un’impronta caratteriale? E che pertanto caratterizzi i filosofi in quanto tali? Tutto ciò, forse, suona bizzarro. Come a dire che esiste un’indole propria degli architetti o dei fornai; e che se dovessimo definire il pizzaiolo o il farmacista, potremmo limitarci all’individuazione di un temperamento, anziché esplicitare le condizioni necessarie della loro pratica: che cosa devono fare per essere tali e in che modo.
Insomma, ‘filosofia’ come collezione di principi ideali, come attività astratta e inutile, come tranquillità spirituale davanti alle avversità… Sebbene questi siano solo alcuni esempi, nei nostri discorsi quotidiani ‘filosofia’ è un vocabolo che si utilizza in molti modi, nemmeno sempre coerenti. Tuttavia, nessuno tra quelli considerati è il suo uso tecnico – cioè l’uso che, in questo momento, interessa a noi.
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Beh, penso che dovremmo prendere la questione “con filosofia” 🙂
Il lessicografo registra significati diversi, ma forse (almeno i primi due) non sono riducibili ad uno? Cioè, penso, i “valori ultimi” o l’etica?
Il primo esempio mi sembra rientri in questo caso, e nei fatti la “filosofia di vita” è abbastanza facilmente riducibile a “morale” (almeno nel senso “tecnico” della parola)
E, in fondo, quando è che si accusa una di “filosofeggiare”?: quando, invece che adottare uno sguardo pragmatico, in cui gli obbiettivi sono già accettati e si cerca come ottenerli, si addentra a problematizzare i fini ultimi, cioè si “amplia il discorso”.
Forse che la sensibilità comune, in fondo, ritiene la filosofia la riflessione sulle cause ultime dell’agire? Un’equazione implicita etica=filosofia?
Un bel problema, su cui varrebbe davvero la pena indagare a fondo!
Gioele, l’ipotesi che avanzi è molto interessante. Non avevo considerato questo aspetto della questione, grazie per il suggerimento. (Spero di poterti dare del “tu”, più agevole. :))
In effetti, i primi due significati possono essere ricondotti all’equazione tra filosofia ed etica, sebbene ne illuminino aspetti differenti. Nel primo esempio, infatti, mi pare presupposta l’idea che la filosofia abbia un contenuto positivo (in questo caso, di natura pratica); nel secondo, invece, l’idea che la filosofia sia discussione di quel contenuto, quindi che abbia una certa utilità per la riflessione sulle condizioni di possibilità dell’azione, ma nessuna utilità per l’attuazione dell’azione.
Rimane però un problema. Indipendentemente dal loro tipo (che sia pratico, teoretico, estetico o altro, poco importa), la filosofia è posizione di contenuti? Indipendentemente dal loro tipo (di nuovo, che sia pratico, teoretico, estetico o altro, non interessa), la filosofia è riflessione, perlopiù inutile, sui presupposti? Può darsi, ma non è detto che queste determinazioni siano sufficienti per rispondere in modo completo alla domanda su che cosa essa sia. Forse dovremmo domandarci anche come gli eventuali contenuti sono posti e come sono riflettuti. Questo aspetto, almeno per quanto emerge dai pochi esempi, pare assente nella sensibilità comune.
Ciò vale anche per il terzo significato, al quale l’equazione implicita è estendibile. Difatti, ritenere che la filosofia sia un modo per affrontare le peripezie, ossia assumendo una certa disposizione d’animo (che sia serenità, rassegnazione, imperturbabilità o altro), significa ricondurre la filosofia all’atteggiamento di un soggetto quand’è agente o, meglio ancora, paziente, cioè quando subisce (gli effetti di) un’azione. Anche in questo caso, dunque, pare che la sensibilità comune appiattisca la filosofia sull’etica.
Dal punto di vista del terzo esempio, il filosofo vero e proprio sarebbe lo stoico, nella misura in cui si manterrebbe equilibrato e imperturbabile, non solo nelle avversità, ma nelle generali vicende della vita. Riguardo a questo, però, le mie conoscenze sono più scarse e manualistiche del solito, perciò lascio volentieri la parola ad altri, più esperti di me su Stoà e dintorni. 🙂