Temi e protagonisti della filosofia

Filosofia in viaggio. Un’occasione per il pensiero (1)

Filosofia in viaggio. Un’occasione per il pensiero (1)

Ott 15

 

 

1. Introduzione

 

Quando mi trovo a conversare con amici e colleghi sui tanti motivi che ci inducono a spostarci da un luogo ad un altro, mi preme sempre ricordare un bellissimo verso di una canzone di Fabrizio De André, tra le più attuali e dense di significato che egli abbia mai scritto.

Dall’album Anime SalveKhorakané (A forza di essere vento) è una canzone-poesia dedicata all’omonima popolazione nomade originaria della zona dei Balcani, tra Kosovo, Bosnia e Montenegro.
I nomadi, si sa, sono ricorrenti protagonisti delle composizioni di Faber, ma, in questa particolare occasione, l’autore ci offre l’opportunità di una riflessione più ampia, dagli inattesi risvolti filosofici.

«Per la ragione stessa del viaggio, viaggiare …» [1] canta De André, rispondendo, quasi tautologicamente, agli interrogativi secolari che la nostra cultura s’è posta di fronte alla apparentemente irriducibile diversità del nomadismo.
Fuor di metafora, il messaggio trasmesso dall’autore è che non servono giustificazioni, motivi e ragioni validi per intraprendere un viaggio, semplicemente perché questo s’inscrive nella vita stessa.
Quello che per il nomade è una sorta di automatismo, per i “sedentari” come noi deve essere una spinta continua e necessaria al cambiamento.
La partenza non deve essere troppo ragionata, altrimenti perde di spontaneità. Deve trattarsi piuttosto di una scelta a metà tra impulso, cognizione di causa e volontà.

Come ricorda Thomas Wolfe, personaggio tanto interessante quanto sottovalutato e dal talento pari a quello dei suoi connazionali più celebrati ‒ Ernest Hemingway e Francis Scott Fitzgerald ‒, la partenza è immune da ogni riduzione particolaristica.
In uno straordinario frammento tratto dalla raccolta Dalla morte al mattino, Wolfe scrive:

La gente parlava il linguaggio universale della partenza che è il medesimo nelle diverse parti del mondo – un linguaggio che è spesso banale, triviale e anche vano, ma proprio per questo stranamente commovente, perché serve a nascondere una più profonda emozione nell’animo degli uomini, a riempire il vuoto che si apre nei loro cuori al pensiero della separazione, a far da scudo, da maschera, ai veri sentimenti. [2]

Le parole di De André e di Wolfe sono accomunate dal tentativo di portare il tema del viaggio al centro di una riflessione di carattere universale che coinvolga l’uomo come individuo e come specie. Con ciò intendo dire che l’esigenza del trasferimento, da un lato, si fa oggetto d’analisi in relazione al singolo percorso del singolo uomo, dall’altro, può essere ricondotta ad una prassi ormai talmente consolidata da essere inscritta nel nostro corredo genetico. Il viaggiatore, dunque, non è solo un tipo d’uomo, ma ogni uomo, potenzialmente, è un viaggiatore, dacché la spinta al viaggio ce l’abbiamo nel DNA e la trasmettiamo, in via ereditaria, ai nostri successori.

Credo che un approfondimento filosofico dedicato ad un tema che è oggetto prediletto di altre discipline, come la letteratura e l’antropologia, possa basarsi proprio sulla distinzione individuo/specie. Per quanto mi riguarda, propongo di seguire tre linee di riflessione, tre direzioni che portano ad altrettanti modi di concepire filosoficamente l’atto del viaggiare.

 

Note

[1] F. De André, Khorakané (A forza di essere vento), dall’album Anime Salve, BMG Ricordi, Milano 1996.

[2] T. Wolfe, Buio nella foresta, strano come il tempo, in Dalla morte al mattino, 1935, Edizioni SE, Milano 1988.

 

Articolo seguente: Filosofia in viaggio. Un’occasione per il pensiero (2)

 

 


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