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Intervista a Renato Pettoello sul rapporto tra filosofia e scienza

Intervista a Renato Pettoello sul rapporto tra filosofia e scienza

Ago 12

 

 

Nota introduttiva:  Renato Pettoello è professore ordinario di Storia della filosofia contemporanea presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Milano. Tra i suoi interessi di ricerca rientrano la filosofia tedesca dell’Ottocento e del Novecento, il realismo e l’ontologia, i rapporti tra filosofia e scienza.

 

D: Che cosa significa per Lei il rapporto tra filosofia e scienza e come possiamo trovare il punto comune tra filosofia e scienza?

R: Oggi siamo abituati a considerare il rapporto tra filosofia e scienza come un rapporto problematico, quando non si tratta addirittura di un non-rapporto. In genere gli scienziati hanno un atteggiamento di disprezzo nei confronti dei filosofi e spesso i filosofi hanno un atteggiamento di sufficienza nei confronti della scienza. In realtà, come vedremo tra breve, si tratta di una situazione relativamente recente che ha molteplici cause tra le quali si possono ricordare la forte specializzazione in campo scientifico, che rende impossibile dominare con sufficiente competenza i diversi ambiti scientifici; il fatto è che la scienza (ad eccezione forse della biologia), sta attraversando una fase “normale”, in cui interessano di più gli aspetti calcolistici ed applicativi, che non quelli fondazionali; l’ampia diffusione di filosofie che vedono nella scienza e soprattutto nella tecnica un processo di disumanizzazione; la tendenza di troppi filosofi a parlare di cose che non conoscono affatto.
In passato, però, i rapporti tra scienza e filosofia, sebbene non sempre idilliaci, sono stati costanti e intensi. Spesso lo scienziato e il filosofo coincidevano nella stessa persona, si pensi, tanto per fare qualche esempio, a Cartesio, a Leibniz, a d’Alembert; ancora più spesso, scienziati di professione si sono attivamente interessati ai problemi filosofici, basterebbe ricordare, von Helmholtz, Poincaré, Duhem, De Broglie, Planck, Schrödinger, Einstein (non è certo un caso che a quest’ultimo sia stato dedicato un volume dei Living Philosophers); né sono mancati filosofi che, con notevole competenza, hanno preso posizione su questioni scientifiche. Anche qui mi limito ad elencare qualche nome relativamente recente: si pensi a Schlick, a Reichenbach, a Cassirer, a Popper. Del resto, non bisogna dimenticarsi che scienza e filosofia sono nate nella stessa culla, nell’Atene classica e che il logos cui appartengono entrambe è ciò che caratterizza in modo precipuo la cultura occidentale. Certo il rapporto tra filosofia e scienza si è profondamente modificato a partire dalla rivoluzione scientifica Galileiano-Newtoniana. La filosofia non può più pretendere di essere la scientia scientiarum, come è stato per secoli. La filosofia, nel corso dei secoli ha “perso molti pezzi”; molti saperi particolari che erano appannaggio della filosofia si sono resi pienamente autonomi. Inoltre la filosofia non ha più un oggetto suo proprio su cui riflettere. A mio modo di vedere la filosofia oggi non può che essere essenzialmente metariflessione. La filosofia, nel suo rapporto con la scienza e più in generale coi saperi particolari, deve limitarsi cioè a riflettere sui dati che tali saperi le forniscono, perché come scrive Ernst Cassirer, «ogni risposta data dalla fisica [ma naturalmente ciò vale per ogni scienza e, più in generale, per ogni sapere particolare] intorno al carattere ed alla particolare natura specifica dei propri concetti fondamentali, per la gnoseologia torna di fatto ad assumere, automaticamente, la forma di problema». Si tratta dunque di una riflessione di second’ordine, ove il prefisso meta– non indica alcuna struttura gerarchica, bensì soltanto una successione ed una generalizzazione. Poco importa se questa attività di metariflessione è svolta da un filosofo “di professione” o da uno scienziato, che s’interroga a sua volta su alcuni aspetti generali della sua scienza (ad es. Max Planck o Einstein che difendono la causalità deterministica contro l’interpretazione puramente stocastica dei fenomeni subatomici). Come dice giustamente Jaques Ruytinx: «la philosophie est une metaréflexion dont le niveau est toujours susceptible d’être déplacé». In questo senso, ma soltanto in questo senso, la filosofia conserva la sua tradizionale aspirazione all’unità dei saperi e la sua ambizione ad essere un sapere fondazionale, non più però nel senso di fondare alcunché, bensì nel senso di occuparsi dei concetti più generali che stanno a fondamento dei singoli saperi.

D: Se noi parliamo del dialogo tra scienza e filosofia, come può la religione avere un dialogo con la scienza?

R: Credo che tra religione e scienza non sia possibile alcun dialogo, semplicemente perché si occupano di ambiti totalmente diversi e non comunicanti tra loro. La religione non deve interferire in alcun modo nelle questioni scientifiche, così come la scienza, in quanto tale, non ha nulla da dire alla religione. I tentativi, che pure sono stati fatti, da parte di alcuni scienziati, di dimostrare “scientificamente” la necessità della fede o, inversamente, l’inevitabilità dell’ateismo, sono privi di senso. La scienza non ha alcuna voce in capitolo. Ciò, naturalmente, non esclude affatto che uno scienziato possa essere credente oppure ateo; ma questo riguarda la sua persona e non la scienza e nemmeno, a rigore, la sua attività di scienziato. Un dialogo, o più precisamente un rapporto problematico tra scienza e religione può senz’altro sorgere, ma soltanto a proposito delle applicazioni scientifiche o tecnologiche. Qui possono generarsi problemi di coscienza o comunque conflitti etici: l’energia nucleare è comunque una grandissima scoperta scientifica; altra cosa è se la si usa per costruire la bomba atomica e sganciarla su una città.
Com’è noto, storicamente le cose sono andate diversamente e il rapporto tra religione e scienza è stato estremamente conflittuale, a volte addirittura drammatico (si pensi al “caso Galilei”), ma da Galilei in poi, per fortuna, le strade, almeno in Occidente, si sono separate.
Insomma la scienza deve procedere come se Dio non esistesse e la religione deve occuparsi delle anime.

 D: Perché la scienza ha bisogno della filosofia e la filosofia della scienza dal suo punto di vista?

R: La questione va posta diversamente: la scienza ha bisogno della filosofia; semplicemente non può farne a meno. Gli scienziati, anche se raramente se ne rendono conto, volenti o nolenti assumono un punto di vista, una concezione del mondo, esterni alla loro scienza, spesso eredità della cultura dell’epoca in cui vivono, che ne determinano a volte in senso negativo, a volte in senso positivo, l’attività. Qualche esempio? L’importanza di una concezione neopitagorica e neoplatonica per lo sviluppo della scienza moderna è noto a tutti; ma gli esempi sono innumerevoli: dal rifiuto, per ragioni “estetiche”, di accettare le orbite ellittiche da parte di Galilei, alla definizione newtoniana dello spazio e del tempo; dall’antinewtonianesimo pregiudiziale di Faraday che lo spinse ad elaborare una teoria elettromagnetica in cui non si ha azione a distanza istantanea, al rifiuto di Einstein di pensare che Dio giochi a dadi col mondo, ecc. In questo senso, ma ancora una volta, solo in questo senso, la scienza “non basta a se stessa”. La scienza, le scienze sono in possesso di metodologie rigorose, sono perfettamente in grado di progredire “senza la filosofia”, ma assumono dei presupposti metafisici (chiamiamoli pure col loro nome) che vanno chiariti ed esplicitati. È soprattutto in questo “cono d’ombra” che la filosofia può e deve esercitare la sua funzione di metariflessione. Non basta dire come fanno molti scienziati: metaphysica sunt, non leguntur, per esorcizzarla; la metafisica entra in gioco comunque.
La seconda parte della domanda è più semplice. La filosofia ha innanzitutto da imparare dalla scienza il rigore, la chiarezza, la precisione terminologica. Per il resto, come ho già detto, la scienza (ma sarebbe meglio dire le scienze), come ogni sapere particolare, è un oggetto possibile di metariflessione da parte della filosofia.

D: Qual è la sua opinione sulla filosofia della scienza e qual è la sua importanza in Italia? Come capisce Lei la significazione della filosofia della scienza ma anche la sua evoluzione?

R: Per le ragioni dette sopra, ritengo che la filosofia della scienza, ma aggiungerei anche la storia della scienza, dovrebbero essere motivo di riflessione, sia per gli scienziati, sia per i filosofi. Naturalmente questo richiede disponibilità ed apertura mentale da entrambe le parti. È un errore frequente tra i filosofi quello di pretendere di dare lezioni agli scienziati e, analogamente, è un errore diffuso da parte degli scienziati ritenere che la filosofia sia mera chiacchiera e non servano preparazione e strumenti adeguati per analizzare i problemi filosofici. In entrambi i casi serve competenza e rigore. Negli ultimi decenni la filosofia della scienza in Italia ha fatto significativi progressi. Resta il fatto che la preparazione scientifica generale in Italia è molto modesta e questo frena anche lo sviluppo della filosofia della scienza. Quanto alla possibile evoluzione della filosofia della scienza (ma questo, ancora una volta, non vale soltanto per il rapporto tra filosofia e scienze), ritengo che l’unica strada percorribile sia quella di lavorare in equipe. Credo sia finita l’epoca in cui il filosofo si richiudeva a riflettere in solitudine nel suo studiolo, e che si debba abituare a lavorare in gruppo, discutendo e confrontandosi con gli specialisti del settore e con chiunque possa dare un contributo al miglioramento delle nostre conoscenze.

D: Vorrei anche sapere esattamente come intende Lei la funzione della filosofia e la funzione della scienza.

R: Chiariamo subito che la filosofia non è una scienza e non lo sarà mai. Il sogno ricorrente di fare della filosofia una scienza rigorosa si è sempre dimostrato vano. La filosofia è un sapere, non una scienza. Tuttavia, nella mia concezione della filosofia, essa deve essere un sapere il più possibile rigoroso, sorretto da argomenti razionali e stringenti e da analisi puntuali. In questo essa ha un’evidente affinità con la scienza. Io sono nemicissimo delle filosofie poetanti, degli sproloqui fumosi, del linguaggio criptico. Però, solo la scienza ci dà reale conoscenza. La filosofia ha principalmente il compito, come ho già detto, di riflettere in modo rigorosamente razionale sugli aspetti fondazionali dei saperi particolari ed in questo modo ci aiuta a comprendere il mondo e noi stessi.

 

 


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