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La filosofia politica di Gilles Deleuze (25)

La filosofia politica di Gilles Deleuze (25)

Nov 15

 

 

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25. I cartografi del desiderio

Il liscio e lo striato sono due concetti essenziali anche per la filosofia politica del secondo Deleuze, ma non solo. Sono due modalità dello spazio: deserti, steppe, mari sono tutti esempi di spazio liscio, uno spazio senza ostacoli, senza divisioni nette, non quadrettato; invece è proprio lo spazio diviso, lo spazio sedentario contrapposto al liscio, ad essere lo spazio striato. In una città possiamo trovare delle strade, ci sono dei marciapiedi, delle staccionate, delle villette a schiera dietro le staccionate; come ho già spiegato questo è un modello di segmentazione rigida dello spazio. Si può dire anche che lo spazio urbano in questo caso è spazio striato. Lo striato è inseparabile dall’idea della disposizione delle cose secondo dei punti fissi, dall’idea di proprietà privata e così via. Tuttavia quello di cui ho parlato poco fa potrebbe sembrare un quartiere periferico di una qualche città inglese, invece andando a Rio de Janeiro ci troveremo di fronte ad una grande distesa di baracche, case costruite con quello che si trova, insomma ai quartieri detti “favelas”, e questo per Deleuze sarebbe spazio liscio. Il migliore esempio di spazio liscio è sicuramente il mare. Trovare un modo per striare il mare è un problema che ha impegnato attraverso tutta la storia umana, è la prima cosa che si è cercato di striare. Non si deve pensare che spazio liscio e striato si oppongano in modo netto: uno spazio liscio può essere striato ed uno spazio striato restituisce sempre spazio liscio. Invece uno spazio bucato può far comunicare i due tipi di spazio. Anche se lo spazio liscio è molto importante per la questione del soggetto rivoluzionario deleuziano (i nomadi), esso non costituisce la salvezza definitiva. Dopo tutto il capitalismo si basa anche sullo spazio liscio e lo sfrutta: capitali e merci sembrano scorrere sul globo senza incontrare frontiere e nessun tipo di problema, soprattutto in occidente dove ogni misura di protezionismo è completamente assente.

Dobbiamo chiederci se sia lo stesso per gli esseri umani e vediamo che non è così. L’immigrato di oggi potrebbe essere pensato come un nomade deleuziano; questo nomade avanza fuggendo dal suo paese dopo che gli occidentali hanno portato la guerra nella sua terra e bombardato la sua casa, fugge verso i nostri paesi costruendo un moto di deterritorializzazione che sembra generare uno spazio liscio nella misura in cui oltrepassa ogni confine nella direzione di una sola nazione umana, ma nello stesso tempo l’Europa gli si oppone con la costruzione di muri e di frontiere, cioè striando lo spazio. In questo senso lo spazio liscio non ha punti fissi e tutto si sposta, lo spazio striato è caratterizzato, invece, da elementi collocati in punti precisi. Gli scacchi sono il modello dello spazio striato, nonché il modello della scienza geometrica dello Stato, il modello dell’esercito e dell’apparato di cattura. In questo gioco i pezzi si possono muovere secondo regole precise in uno spazio già quadrettato. Il go, gioco cinese, è l’esempio del modello di spazio liscio, di distribuzione nomadica e diabolica, di distribuzione in movimento, dei nomadi, della macchina da guerra, della scienza girovaga. Nel go le pedine possono comparire ovunque attorno ad altre pedine circondandole. In Logica del senso Deleuze, nella serie “Sul gioco”, descrive il gioco del crocket, ripreso dal romanzo su Alice di Carroll, che costituisce un altro bell’esempio di spazio liscio e distribuzione nomadica: il giocatore deve colpire dei ricci (le palline), usando come mazza un fenicottero, facendo passare i ricci sotto archetti costituiti da soldatini. La difficoltà sta nel fatto che i soldatini non cessano mai di muoversi, si spostano continuamente nello spazio. Dopo tutto la scienza girovaga è questo: rispetto alla scienza dei gravi, una scienza dal sapore newtoniano, la scienza girovaga concepisce gli atomi in vortice, pensa movimenti degli atomi ulteriori, come nella teoria del clinamen che non cessa di spostare e deviare la caduta dell’atomo dal semplice moto gravitazionale.

Il liscio e lo striato sembrano caratterizzare l’opposizione tra nomadi e Stato, un conflitto che non è questione di storia, ma di geografia. In effetti Deleuze non sembra parlare di storia dei nomadi: i nomadi sono soggetti in movimento, la comprensione della cui distribuzione diabolica richiede delle vere costruzioni di carte, quindi dei cartografi. Quando si parla di molare ci si riferisce ad una realtà dualista: i grandi sessi (maschio e femmina), il conflitto di classe (borghesia e proletariato), il mercato (compratori e venditori) e così via. Quando invece ci si riferisce al molecolare si segue un principio secondo il quale il monismo è uguale al pluralismo. Infatti si dice molecolare tutto ciò che è molteplicità, ma il molteplice forma un Uno di parti smembrate unite da sintesi disgiuntive inclusive, perciò per rizoma si può dire che il molecolare sia un solo flusso. Quando si parla di nomadi, si fa riferimento ad un solo flusso desiderante che irrompe all’improvviso: la macchina da guerra contro lo Stato. Così vede Deleuze il Sessantotto: un flusso desiderante che irrompe all’improvviso, come uno tsunami in cui l’acqua potrebbe essere in analogia con i flussi che lo Stato idraulico cerca di controllare, ma che si rivoltano contro di esso [111]. Il concetto di rivoluzione che qui compare ha delle caratteristiche particolari: in primo luogo si nota che non c’è soggetto, a differenza di quanto pensa Badiou con la sua teoria dell’evento [112]; la rivoluzione non sembra scaturire da una scelta libera dei suoi agenti, visto che si parla di desiderio e il desiderio è inconscio; tutto il problema sembra consistere nel disporre di una buona geografia del desiderio, nel capire il processo del desiderio, disegnarlo su carta, per comprendere quali sono le opportunità e i pericoli cui la moltitudine rivoluzionaria va incontro. Sul primo punto ho già detto che il desiderio non ha soggetto, quindi anche la rivoluzione sembra non averlo, anzi sottrarsi a certi meccanismi di potere significa sottrarsi alla soggettivazione. Sembra che il potere oggi si preoccupi molto della questione dell’identificazione; uno degli slogan della schizoanalisi è: non essere mai un bersaglio. In questo modo andrebbe inteso lo slogan “fuggire all’identificazione”, non identificandosi semplicemente. Dopo tutto non era Deleuze il filosofo che ha cercato sempre quell’unicità di ogni cosa che in libri come Differenza e ripetizione ha espresso con il termine “differenza in sé”, opponendolo all’identità? Sul secondo punto andrebbero letti economisti spinozisti come Frédéric Lordon, il quale, in Capitalismo, desiderio e servitù, spiega come la rivoluzione, in un’ottica spinozista, si possa comprendere a partire dal desiderio, il quale però non è il risultato di una scelta libera, ma solo di quel particolare affetto del desiderio che è l’indignazione. Come nel caso della goccia che fa traboccare il vaso, un dipendente licenziato di troppo, un imminente taglio di stipendi, la minaccia della chiusura di una fabbrica con il trasferimento della produzione, sono tutte possibili cause dell’indignazione di lavoratori che da quel momento cominceranno a protestare e si mobiliteranno contro il capitalista di turno, i manager e così via. Il terzo elemento riguarda la costruzione di una mappa del desiderio. Deleuze e Guattari spiegano che il delirio dello schizofrenico non è costituito da un insieme di identificazioni, ma da un processo di divenire. Infatti lo schizofrenico potrebbe dire: “io sono il Sole”, ma poi questo diventa “Sono il faraone dell’Egitto”, “Sono un druido celtico”, e così via. Non si identifica con niente, perché continua a negare le sue precedenti affermazioni, quindi, a meno di vedere il Padre dietro ognuna di esse, si deve pensare che tutto questo costituisca un solo processo. Lo schizofrenico, dicendo “sono questo, sono quello, sono quest’altro”, crea delle sintesi disgiuntive inclusive, cioè dice: “sono questo e quello e quell’altro”. Tutto questo vale anche per il desiderio; la rivoluzione è attraversata dai suoi divenire. Secondo Deleuze si tratta di divenire minoranze: divenire-ebreo, divenire-negro, divenire-donna. La rivoluzione, come ho già spiegato, è fatta di sperimentazioni che devono avere come scopo quello di trovare il punto di rottura per destratificare il Corpo sociale. Ora è importante capire, come ultima cosa, che nel desiderio esistono anche dei pericoli e Deleuze e Guattari ne individuano principalmente quattro:

  1. la paura: la paura è paura di perdere e ha come conseguenza il fatto di cercare di aggrapparsi a qualche grande organismo molare, quindi i segmenti si fanno sempre più rigidi e presto ci si ritrova nella piena logica binaria del molare;
  2. la chiarezza: una segmentarietà flessibile apparente e buchi neri nel pieno. Tutto questo sembra solo riprodurre a livello microfisico le affezioni delle segmentazioni rigide. In questo caso Deleuze parla della proliferazione di micro-fascismi e micro-edipi;
  3. il potere: demagogia ed imperialismo. In questo caso accade che si instaura una macchina di surcodificazione e si cerca di bloccare le linee di fuga;
  4. il grande disgusto: tutti i pericoli precedenti rientravano nel pericolo del desiderio di essere di nuovo catturato; i problemi però non finiscono qua, ne esiste ancora uno: se non si connette con le altre linee, la linea di fuga può diventare una linea di morte.

Dunque l’immagine della rivoluzione che ci lascia Deleuze è quella dello “ottimismo senza speranza”: c’è sempre qualcosa del molecolare che fugge al molare, come c’è un modo per fuggire allo Stato, ma non c’è la speranza di farla finita una volta per tutte con lo Stato. Si possono sempre e continuamente costruire linee di fuga e tentare deterritorializzazioni, ma questo finisce per avere come presupposto sempre lo Stato alle spalle come qualcosa da cui si fugge.

 

Note

[111] La rivoluzione è la fuga, ma questo non consiste nello scappare di fronte al nemico, piuttosto ci si accorge che, come accade spesso nelle proteste, la semplice opposizione al potere mantiene il potere stesso in quanto lo si riconosce come termine opposto e nemico; invece si tratterebbe di sottrarsi al potere: questa è la fuga.

[112] Teoria che vorrebbe anche ispirarsi a Deleuze, con lo stesso concetto di “evento”, tipico di Logica del senso, ma ha come fonte principale una certa immagine del soggetto che viene da Lacan. Badiou pensa un soggetto che si costruisce nell’atto stesso della rivoluzione nel suo “evento”. Lazzarato stesso mostra come questa teoria non tiene conto del fenomeno di soggettivazione del capitalismo, cioè della costruzione sostanziale di soggetti. Per questo il problema non è trovare un soggetto per persone che sono emarginate e non hanno voce, ma cercare dei meccanismi di de-soggettivazione. Infatti non è forse il capitalismo che nella sua amministrazione dei poveri e degli emarginati lì sta già soggettivando?

 

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