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La filosofia politica di Gilles Deleuze (2)

La filosofia politica di Gilles Deleuze (2)

Ago 30

 

 

Articolo precedente: La filosofia politica di Gilles Deleuze (1)

 

2. La critica politica alla psicoanalisi

Tutto comincia con la psicoanalisi, o almeno così comincia Anti-Edipo. Non è possibile in Deleuze distinguere il problema della psicoanalisi da quello della politica: si potrebbe dire che si implicano a vicenda, e non c’è cosa più vera di questa in un’opera come AnCi-Edipo. La schizoanalisi, come Deleuze e Guattari la chiamano, è in realtà, dal punto di vista del metodo, l’esatto opposto della psicoanalisi, quindi una forma di anti-psicoanalisi. Non bisogna lasciarsi ingannare dal titolo: Anti-Edipo non è solo un’opera contro Freud o i freudiani, anche se questa è la corrente prevalente in psicoanalisi [3]. Si tratta della critica ad un metodo, ma in esso sono rintracciabili diverse implicazioni politiche. Questo metodo lo si può declinare in due processi: un processo di trascendenza e uno di soggettivazione. Il processo di trascendenza è stato detto in vari modi: l’Uno sul molteplice, l’identità sulle differenze, la Legge sui casi, la regola sui lanci e così via. Il discorso è sempre lo stesso: una critica all’universale, una critica a Platone, una critica alla morale e così via.

La radice di queste critiche va cercata molto addietro nel tempo; la si può reperire nella filosofia del diritto di Gilles Deleuze [4]. La critica si oppone alla concezione tradizionale della legge. Ronald Dworkin, che rientra in questi autori che partono dal concetto tradizionale di legge, scrive nel suo libro I diritti presi sul serio un quarto capitolo dal titolo “Casi difficili” in cui distingue quelli che giuridicamente sono definibili come casi semplici da quelli che sono invece i casi difficili. Un caso semplice è per Dworkin un caso al quale la legge viene semplicemente applicata, in quanto il caso ricade sotto quella legge. Un caso difficile, invece, implica dei conflitti: ad esempio il caso Riggs v. Palmer, citato dallo stesso Dworkin [5], in cui Palmer dovrebbe ereditare beni da suo nonno perché suo nonno l’ha citato nel testamento, ma lo stesso Palmer ha ucciso suo nonno per prendersi l’eredità. È evidente che dal punto di vista del diritto, anche se la persona in questione fosse condannata, dovrebbe spettargli lo stesso l’eredità, nonostante il fatto che chiunque percepisce che questa è proprio un’ingiustizia. Il caso si rivolve appellandosi al principio “non si deve guadagnare dagli illeciti”, cosicché Palmer sia condannato e non riceva l’eredità. Ecco!, la visione di Deleuze è questa: non ci sono casi semplici, ci sono solo casi difficili ed ognuno di questi richiede che si inventi un nuovo principio per risolverlo. Così infatti dice lo stesso Sutter:

Ronald Dworkin opera una distinzione tra hard cases e easy cases nella pratica giudiziaria. Nella prospettiva di Deleuze, questa distinzione è contestabile. [..] Tutti i casi sono difficili, sopratutto quelli banali: tutti richiedono una ricca capacità inventiva per riuscire a non avere mai bisogno di principi di giustizia. […] Le teorie come quelle di Ronald Dworkin sono, da questo punto di vista, teorie da filosofi, e non certo da giuristi: dal punto di vista della pratica del diritto, o in ogni caso della sua pratica topica, esse ignorano lo spirito del diritto. [6]

Non si può dire davvero che la morale sia in una situazione del tutto diversa; basti pensare ad una morale come quella kantiana: da un lato ci sono i casi semplici in cui basta applicare la legge morale, dall’altro ci sono dei casi di conflitto di doveri, casi difficili. L’impostazione del problema porta al dato insidioso della presenza dei casi difficili, delle eccezioni. Si danno eccezioni solo delle regole, ma questo accade solo se la regola è universale ed è presupposta ai casi. È appunto questo modo di vedere le cose che critica Deleuze, modo in cui l’interpretazione è sempre presupposta, come la regola nel gioco, la legge sui casi e così via. Non è forse questo proprio quel modo di pensare molto platonico secondo il quale si spiega il molteplice riportandolo a poche idee? Il primo pensiero della legge lo si trova in Socrate: Socrate credeva che la legge dovesse ispirarsi al bene e che il suo risultato dovesse essere il meglio. La comicità di questa tesi si riassume nel fatto che Socrate è morto per via della stessa legge che si supponeva ispirata al bene e il cui risultato doveva essere il meglio. Quello che immagina Deleuze è una forma di giurisprudenza creativa dove il caso inventa il principio; per questo si può dire una giurisprudenza immanente. Un esempio è il caso del fumo nel taxi; è l’esempio che fa lo stesso Deleuze. Questa legge in Francia ha visto due momenti: un primo in cui si pensava il taxi come una specie di mezzo preso in affitto per un certo tempo e da ciò si deduceva che, come si fuma a casa propria, così si può fumare anche lì; un secondo in cui si pensava il taxi come mezzo pubblico, ma non si può fumare in luoghi pubblici, quindi non si fuma neanche nei taxi. Da ciò si capisce che il problema sta nell’interpretazione del caso, cioè nel come porre il problema. Nella logica di Deleuze, e questo risulterà sempre più chiaro man mano che proseguirò, il filosofo si pone come compito quello di costruire dei problemi e di derivare soluzioni in base all’impostazione del problema. Quelle dei taxi sono due impostazioni del problema molto differenti.

Come si colloca tutto questo in relazione alla psicoanalisi? Lo psicoanalista presuppone un’interpretazione della malattia mentale rispetto ai casi; per esempio riconduce molteplici casi di malattia ad un solo modello o legge che deve spiegarli, come può essere quello dell’Edipo [7]. Quest’idea spiegherebbe la psiche umana nei termini di una definizione di normalità e una serie di variazioni dallo stato normale che sono le stesse malattie. C’è quindi un problema politico: l’idea di una normalità standardizzata e l’idea di una soluzione delle malattie mentali che è ricondotta a delle interpretazioni che trascendono gli stessi casi.

 

Note

[3] Gli stessi meccanismi che Deleuze e Guattari contestano alla psicoanalisi sono applicabili sia a Freud e ai freudiani, sia a Jung e ad Adler.

[4] Sicuramente l’opera più rilevante sul problema del diritto e della Legge in Deleuze è Il freddo e il crudele; quest’opera andrebbe confrontata, per via delle comunanze, con lo scritto di Lacan Kant con Sade. Comunque gli scritti di Deleuze sono molto ricchi di considerazioni sull’argomento, ma in modo totalmente sparso. Per questo motivo è veramente grandioso il lavoro che ha fatto Laurent de Sutter sulla filosofia del diritto di Gilles Deleuze: mi riferisco a Deleuze e la pratica del diritto.

[5] Cfr. Ronald Dworkin, I diritti presi sul serio, Mulino, Bologna 2010, p.49.

[6] Laurent Sutter, Deleuze e la pratica del diritto, Ombre corte, Perugia 2011, p.84.

[7] L’immagine dello psicoanalista come prete che ogni tanto compare in Deleuze va letta soprattutto in questo senso: come la Chiesa in generale si è posta come detentrice del vero significato delle Scritture, ha assunto cioè questo monopolio cercando di tenerlo anche con la violenza, così anche lo psicoanalista diventa detentore del significato vero dell’inconscio. È un po’ la controparte del problema del Trattato teologico-politico di Spinoza: si pensi per esempio a quando Spinoza critica chiunque pensi che nella Scrittura siano presenti misteri profondissimi e quindi i continui tentativi di interpretare la Scrittura come meglio si crede, allontanandosi spesso dal senso letterale.

 

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