La filosofia politica di Gilles Deleuze (13)
La filosofia politica di Gilles Deleuze (13)
Set 27
Articolo precedente: La filosofia politica di Gilles Deleuze (12)
13. La teoria dell’istituzione rivoluzionaria nel primo Deleuze
Ciò che Hume rimprovera alle teorie contrattualistiche è di presentarci un’immagine astratta e falsa della società, di definire la società solo in modo negativo, di vedere in essa un insieme di limitazioni di egoismi e di interessi, in luogo di comprenderli come un sistema positivo di imprese inventate. [63]
Deleuze rintraccia in Hume un pensiero fondamentalmente anticontrattualista, trovando in esso non un’origine negativa dello Stato, ma una positiva. La differenza in primo luogo consiste in una diversa relazione tra istinti ed istituzioni. Tutto ciò che dice Deleuze su Hume vale anche per Spinoza [64]. Spinoza-Hume: una tradizione anticontrattualista; ma in cosa consisterà l’anticonrtrattualismo? Nel concepire una società civile non come luogo delle delimitazioni delle libertà di ciascuno, ma come luogo della vera realizzazione della libertà di tutti. Prendiamo Hobbes come emblema del contrattualismo; il suo modello suona più o meno in questo modo: gli uomini nello stato di natura hanno diritto su ogni cosa, perché le cose non sono di nessuno e nessuno ha alcun limite nei metodi utilizzabili per procurarsi ciò che appetisce tanto. Ne consegue che lo stato di natura è uno stato di conflitto, ma la ragione insegna all’uomo che si deve superare questo stato di natura perché la guerra non porta vantaggio a nessuno ed è di gran lunga preferibile la pace. Lo stato di natura viene quindi superato da un patto che non è solo verbale, ma è l’effettiva rinuncia e alienazione del diritto naturale dei singoli ad una terza persona: il sovrano, il quale detiene il potere assoluto. In questo caso il diritto interviene per impedire il conflitto e limitare una libertà selvaggia che si suppone originaria. Anche in Locke accade qualcosa di simile: il diritto positivo deve garantire quei diritti naturali che sono propri di ognuno come la libertà, la proprietà e la vita, diritti che nello stato potenzialmente conflittuale della natura non sono rispettati. Si pensi ad una certa immagine della società civile che viene fornita da uno scritto come La questione ebraica di Karl Marx, cioè alla critica alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino della rivoluzione francese che s’ispirava anche alle teorie contrattualiste (es. Rousseau). La libertà in quel caso è definita come il poter fare tutto ciò che si vuole purché non sia contrario al diritto altrui, cioè la libertà consiste nel muoversi nella propria sfera senza invadere quella degli altri [65], e sempre su questo è stata pensata la proprietà come proprietà privata fondata sul guadagno del singolo frutto della sua industria. Al contrario, nell’ottica di Spinoza non c’è nessuna libertà selvaggia in origine: chi può considerarsi libero, infatti, se agisce solo a partire da un desiderio di cui non conosce nemmeno le cause? La società civile sorge dal contratto per rendere possibile la libertà, non per delimitarla. Il soggetto che scegliendo tra due beni si decide per quello che considera maggiore, sceglie la società civile, perché solo nella società civile potrà trovare la pace e il benessere del corpo che sta cercando. Si aderisce al contratto per Spinoza solo per i vantaggi che in esso si scorgono. Non c’è bene assoluto in Spinoza, ma solo un bene relativo: se conosco le cause e gli effetti o l’ordine causale del mondo, posso capire cosa mi è più vantaggioso secondo ragione. Perseguire il proprio utile per Spinoza vuol dire essere virtuosi.
In questa concezione di un filone Spinoza-Hume anticontrattualista l’istituzione non nasce per delimitare gli istinti, per dire cosa si può desiderare e fissare gli oggetti di godimento; si tratta piuttosto di rendere davvero possibili gli istinti e i desideri, così che trovino la loro vera destinazione. Deleuze rintraccia in Hume l’idea di un’istituzione rivoluzionaria che risponde davvero agli istinti dei singoli. È come se l’istituzione rispondesse direttamente ai problemi che si pongono di volta in volta secondo le esigenze del popolo, o forse dovrei dire della moltitudine. Il problema è posto dalla moltitudine, l’istituzione genera una soluzione in risposta al problema. Ne L’anti-Edipo sono i soviet questa istituzione rivoluzionaria, quindi si fa riferimento all’URSS. A tutto questo discorso dovrebbe essere aggiunto quello sulla moltitudine. Il potere alla moltitudine! così dice Spinoza, dare il potere alla volontà di tutti: la vera democrazia, perché questa è la migliore costituzione dove l’uomo può trovarsi libero. Come nota lo stesso Deleuze nella prefazione al libro di Antonio Negri su Spinoza L’anomalia selvaggia, in Spinoza non c’è mediazione e questa è la vera immanenza politica. Un senso di ciò sta nel fatto che non c’è sovrano che non sia la stessa moltitudine. Qui si deve pensare anche al discorso del già citato La questione ebraica di Marx: in esso sembra di vedere che la società è caratterizzata da rapporti continuamente mediati, questa mediazione è data dal denaro, dal mondo dell’economia. Forse sia in Deleuze che in Marx si potrebbe rintracciare una società civile intesa come l’universale stesso, a differenza di quanto aveva pensato Hegel. Ciò rappresenterebbe la vera emancipazione dell’uomo, la quale nella Questione ebraica è un problema anche di denaro e proprietà privata.
Note
[63] Gilles Deleuze, Empirismo e soggettività, Cappelli, Bologna 1981, p. 29.
[64] Si veda su questo caso il Trattato teologico-politico al capitolo XVI.
[65] “La mia libertà finisce dove inizia quella degli altri” viene da qui, in un certo senso. Si faccia un paragone tra questa affermazione e quello che dice Spinoza sul fatto che se uniamo le potenze possiamo formare una potenza più grande. In Spinoza non sembra che gli altri siano un nostro limite, anzi quello che comincia da noi prosegue negli altri: con gli altri siamo più liberi.
Articolo seguente: La filosofia politica di Gilles Deleuze (14)