Giustizia e neutralità. Intervista a Corrado Del Bò (1)
Giustizia e neutralità. Intervista a Corrado Del Bò (1)
Ott 15Oggi pubblichiamo una nuova intervista del nostro collaboratore Gioele Gambaro a Corrado Del Bò, ricercatore di Filosofia del diritto presso l’Università di Milano. Tra i suoi interessi di ricerca, le teorie della giustizia, il rapporto tra diritto e morale, e il liberalismo politico. Ringraziamo Corrado per essersi prestato all’intervista e Gioele per averla realizzata.
D: Attualmente stai lavorando a un libro che uscirà nel 2014. Di che cosa parla questo libro?
R: Il libro parla di neutralità liberale: per comprendere di che cosa si tratta bisogna fare riferimento a un testo di John Rawls uscito nel 1993, Liberalismo Politico, che è l’esito finale di un lavoro di ripensamento della terza parte di Una teoria della giustizia, il libro per il quale Rawls è divenuto noto e che è, a tutti gli effetti, il suo capolavoro. Nella terza parte di Una teoria della giustizia Rawls affrontava il problema della stabilità nella società giusta. La soluzione che egli dava era basata su una concezione del bene liberale; sennonché nel corso degli anni è emerso che Rawls non aveva fatto i conti con un problema, quello del multiculturalismo. Il liberalismo politico è allora la risposta alla domanda: “Com’è possibile che persone divise sulla base di credenze individuali, credenze di vario tipo, religiose, morali, anche culturali in senso ampio, possano cooperare stabilmente all’interno della medesima società e rimanere leali alle sue istituzioni?” Una parte delle risposte è poi confluita nella raccolta di saggi che costituisce Liberalismo Politico. Uno dei punti chiave è appunto l’idea di neutralità.
D: Cosa si intende per neutralità?
R: All’incirca, in termini molto generali, è l’idea che una teoria della giustizia deve essere in grado di mantenersi equidistante rispetto alle varie concezioni del bene all’interno di una data società. In questo senso richiedere neutralità significa che lo Stato non deve favorire alcuna delle dottrine comprensive né alcune delle concezioni del bene presenti nella società.
Naturalmente la formulazione che adesso ho dato è estremamente generale. Tutto dipende da come si intende il non favorire. Senza entrare troppo nei dettagli, possiamo dire che il non favorire può essere essenzialmente interpretato in tre modi. Un primo modo ha a che fare con il non favorire nei fatti, in termini di effetti dell’agire pubblico. Un altro modo può essere interpretato come non avere l’intenzione di avvantaggiare una certa dottrina o i suoi seguaci. Vi è poi un terzo senso, che è quello di non favorire inteso come evitare di fare in modo che le scelte pubbliche possano essere interpretate come una presa di posizione a favore di una certa dottrina.
D: Puoi farci degli esempi concreti?
R: Se stabilisci che una certa pratica è proibita per ragioni di ordine pubblico, nei fatti non sei neutrale rispetto alle dottrine, ma stai pur sempre fornendo una ragione che non è di parte, che dunque è neutrale. Naturalmente può anche essere una ragione usata strumentalmente perché lo scopo è favorire altre dottrine, dunque non neutrale nello scopo. Non bisogna però confondere la neutralità delle ragioni con la conclusività delle ragioni, cioè possono esserci ragioni neutrali ma non sufficientemente stringenti.
Pensiamo al caso del velo in Francia. Se andiamo a prendere il rapporto della Commissione Stasi vediamo che il velo è stato vietato assieme a tutti i simboli religiosi ostentatori in base a ragioni di ordine pubblico. Però noi naturalmente dobbiamo chiederci se questa sia una giustificazione plausibile e stringente: riferirsi all’ordine pubblico può essere una giustificazione sensata in generale, ma il punto è che può essere in parte o del tutto implausibile se riferita a un caso specifico. Non dico che necessariamente sia questo il caso, ma con riferimento al velo non possiamo dimenticare che si è anche osservato che si correva il rischio di far sì che le ragazze musulmane, non potendo indossare il velo, non sarebbero state mandate a scuola: se così fosse, dovremmo davvero proibire il velo e gli altri simboli religiosi? L’altro punto interessante nel caso del velo è che, anche ammesso che la giustificazione presentata fosse neutrale, non lo era lo scopo, perché l’idea era verosimilmente di risolvere le questioni legate soprattutto al caso del velo islamico.
D: Puoi chiarirci meglio la differenza fra neutralità della giustificazione e neutralità dello scopo?
R: Bisogna notare come la distinzione fra neutralità dello scopo e neutralità della giustificazione non sempre venga rigorosamente fissata; in genere, si distingue solamente tra effetti e giustificazioni. Molti poi argomentano anche che è impossibile che gli effetti siano neutrali e che pertanto ci si deve accontentare di ragioni neutrali. Lascio da parte, per il momento, la questione se la neutralità degli effetti sia tanto spesso impossibile e provo a rispondere alla tua domanda. La neutralità della giustificazione riguarda le ragioni che possono essere offerte a sostegno di una certa azione; la neutralità dello scopo l’intenzione che la motiva. Credo che la distinzione non sia stata sempre tenuta ferma per questa ragione: quando si accusa un governo di agire allo scopo di favorire una certa dottrina (poniamo, una certa dottrina religiosa), si chiede ragione del suo comportamento. Ma il governo, se vuole replicare che non è così, essendo le intenzioni opache, non potrà fare altro che offrire ragioni che giustifichino la sua scelta: in altre parole, per mostrare che lo scopo è neutrale, il governo non ha altro modo se non quello di giustificare neutralmente l’azione. Così, per persuadere che l’esposizione di un simbolo religioso all’interno di edifici pubblici non ha l’intenzione di favorire una certa confessione religiosa, un governo potrebbe sostenere che tale simbolo è rappresentativo dei valori nazionali, oppure rappresentativo di una certa cultura, etc. Dubito che sia una giustificazione convincente, capace cioè di soddisfare i requisiti della plausibilità e della stringenza argomentative, ma chiaramente è una giustificazione neutrale, con la quale si cerca di negare che non lo sia lo scopo.
Per fare un esempio, prendiamo l’otto per mille e supponiamo per comodità che tutte le confessioni vi abbiano pari accesso. In questo caso, giacché le religioni sono diffuse in maniera differente, lo sono anche le quote destinate a ciascuna. In un caso come questo siamo comunque secondo me di fronte a un caso di neutralità degli effetti, perché tutti sono messi davanti alle stesse opportunità.
Non bisogna quindi confondere la neutralità delle ragioni con la conclusività delle ragioni, cioè possono esserci ragioni neutrali ma non sufficientemente stringenti.
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Un’intervista davvero interessante, soprattutto per quanto riguarda il problema del multiculturalismo, cruciale nella società odierna.