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Churchland. La natura conservatrice del funzionalismo

Churchland. La natura conservatrice del funzionalismo

Lug 13

Articolo precedente: Churchland. Argomenti contro l’eliminazione

 

Nel quarto paragrafo gli argomenti a favore della Psc vengono discussi e criticati. Invertendo l’ordine di esposizione precedente, Churchland discute per primo l’argomento legato alla natura astratta della teoria; per metterne in luce l’aspetto reazionario egli presenta un paragone fra scienze cognitive e chimica. La teoria precedente alla chimica degli elementi, ossia l’alchimia, riteneva le caratteristiche dei materiali dovute alla presenza di spiriti al loro interno. (1)  Churchland invita il lettore ad immaginare come, al comparire della chimica di Lavoisier, un alchimista avrebbe potuto difendere la propria teoria appellandosi a proprietà funzionali della materia:

Di fatto, essere «animati dal mercurio» o dallo «zolfo» o da qualsiasi dei cosiddetti spiriti è uno stato funzionale. Il primo, per esempio, viene definito dalla disposizione a riflettere la luce, a liquefarsi con il calore, a unirsi con altre materie nello stesso stato, e così via. Ed ognuno di questi quattro stati è in relazione con gli altri, in modo tale che il complesso di fenomeni di ognuno varia in funzione di quale degli altri tre stati è anche incorporato nello stesso substrato. Il livello di descrizione compreso dal vocabolario alchimistico è così astratto: varie sostanze materiali, «animate» in modo opportuno, possono esibire, per esempio, le caratteristiche di un metallo, persino, dal punto di vista specifico, dell’oro. Quelli che contano, infatti, non sono i dettagli corpuscolari del substrato, ma il complesso totale delle proprietà causali che si presentano. Se ne conclude che l’alchimia comprende un livello di organizzazione della realtà che è distinta ed irriducibile a quella che si trova a livello della chimica corpuscolare.

Churchland ritiene che l’esempio dell’alchimia metta in luce quello che lui chiama lo stratagemma del funzionalista. Egli, così come l’alchimista, sottrae la Psc alla verifica empirica dei risultati: postulando livelli diversi di conoscenza e proprietà astratte egli mistifica la verità per difendere la propria teoria. Questo paragone, che l’autore propone con disinvoltura, ignora tuttavia una differenza non irrilevante: chimica e scienze cognitive hanno oggetti di studio diversi. Gli elementi della tavola periodica sono esterni ed il loro studio mediato dai sensi; dei fenomeni mentali invece abbiamo un’esperienza interna e diretta, ne abbiamo ciò che tecnicamente prende il nome di accesso privilegiato. È opportuno considerare le insidie che un paragone fra scienze dalle condizioni conoscitive così diverse può nascondere.

La critica all’argomento sulla natura astratta della Psc prende corpo nella pagina successiva. Churchland ritiene che questo non fornisca ragioni sufficienti per garantire alla Psc un presunto primato nella spiegazione della razionalità. L’argomento presuppone la distinzione fra fenomeni mentali ed eventi neurofisiologici del cervello che deve essere invece dimostrata.

Riassumendo, quando ci si trova di fronte all’impotenza esplicativa, alla storia stagnante e all’isolamento sistematico degli idiomi intenzionali della PSC, sostenere che questi ultimi sono caratteristicamente astratti, funzionali ed irriducibili non costituisce una difesa adeguata o reattiva. Poiché, per un verso si sarebbe potuto ricorrere alla stessa difesa con pari plausibilità, indipendentemente da quale groviglio di stati interni avrebbe potuto ascrivere a noi il senso comune. E per un altro, la difesa presuppone sostanzialmente ciò che viene messo in discussione: e cioè che siano gli idiomi intenzionali della PSC, più o meno un’inezia, a esprimere le caratteristiche importanti condivise da tutti i sistemi cognitivi. Ma potrebbero non farlo. Ed è certamente sbagliato assumere che lo facciano, e quindi argomentare contro la possibilità di uno spostamento naturalistico, in base al fatto che così le cose vengono descritte a un livello che è distinto da quello importante. Proprio ciò aggira il problema a favore della prospettiva teorica più antica.

Churchland intende utilizzare il paragone fra chimica e scienze cognitive per attaccare gli idiomi intenzionali della Psc; non sono questi, a suo avviso, gli strumenti giusti per lo studio dei fenomeni mentali. Questa critica è funzionale alla proposta di uno spostamento naturalistico nello studio dei fenomeni mentali; cosa ciò significhi è una questione di concetti logici a disposizione. Il funzionalista ritiene i fenomeni mentali guidati da ragioni razionali, riscontrabili nella logica e semantica di enunciati composti con l’uso di atteggiamenti proposizionali; l’eliminativista ritiene i fenomeni mentali guidati da cause, eventi neurofisiologici del cervello che hanno come effetto la coscienza. Si tratta di un problema molto serio: da un lato la riduzione dei fenomeni mentali a stati neurofisiologici implicherebbe un ritorno alla teoria dell’identità, dall’altro lato non è chiaro in che misura uno studio neurofisiologico possa dar ragione dell’aspetto qualitativo dell’esperienza. (2)  Churchland ed il funzionalismo sembrano quindi proporre approcci inconciliabili allo studio dei fenomeni mentali: il primo ritiene il quadro enunciativo-proposizionale uno stratagemma per evitare la riduzione avanzata dalle neuroscienze, dimenticando però che per il funzionalista i problemi rilevanti non sono quelli relativi al funzionamento del cervello, ma quelli legati ai criteri di razionalità. È un problema aperto quale delle due soluzioni ci porterà più vicini alla comprensione dei fenomeni mentali.

Nelle pagine successive viene discusso anche l’argomento che difende la Psc riferendosi al suo carattere normativo. Questa tesi, che l’autore attribuisce a Dennett, sostiene che la razionalità può essere definita esclusivamente su atteggiamenti proposizionali e che quindi non vi è possibilità di ridurre la Psc alle neuroscienze. Churchland propone tre critiche contro questo argomento: nella prima viene messa in dubbio la sua tesi principale, ovvero che si possa definire la razionalità esclusivamente su atteggiamenti proposizionali. Limitarsi all’utilizzo di questi atteggiamenti significherebbe, per l’autore, lasciare fuori dal campo d’indagine i fenomeni mentali stessi. Le relazioni fra atteggiamenti si esprimono tramite rapporti logici fra proposizioni e come questo avvenga è una questione logica, non psicologica:

In primo luogo, il fatto che le regolarità ascritte dal nucleo intenzionale della PSC siano asserite sulla base di certe regolarità logiche fra proposizioni, non costituisce di per sé ragione sufficiente per affermare nulla di sostanzialmente normativo riguardo alla PSC. […] E le relazioni logiche tra proposizioni costituiscono una questione oggettiva tra fatti astratti, né più né meno che le relazioni aritmetiche tra numeri. (3)

Finché i rapporti fra atteggiamenti proposizionali saranno vincolati dalla logica del primo ordine, questi non potranno dire nulla sul come di fatto funzioni la razionalità. Si tratta di una critica decisiva? La risposta dipende in larga misura da quanto si è disposti ad ammettere che logica proposizionale e razionalità coincidano. Churchland nega questa coincidenza perché (stando alle pagine del capitolo) è convinto di due ipotesi:

  1. che la mente abbia potenzialità superiori a quelle linguistiche; e
  2. che le strutture neurali possano implementare sistemi linguistici diversi, guidati da logiche alternative.

Nel quinto paragrafo egli esprime a chiare lettere queste due convinzioni e può essere utile quindi anticiparne il contenuto:

Le ricerche sulle strutture neurali che si sono occupate dell’organizzazione e del processamento delle informazioni percettive rivelano che tali strutture sono capaci di far fronte ad una grande varietà di compiti complessi, alcuni dei quali si dimostrano di complessità di gran lunga superiore a quella esibita dai linguaggi naturali. Ne risulta che questi ultimi sfruttano solo una parte molto elementare dei meccanismi disponibili, che per la porzione più rilevante sono di supporto ad attività la cui complessità va ben al di là della gamma delle concezioni proposizionali della PSC. (4)

Guidati dalla nostra nuova comprensione di queste strutture interne, possiamo organizzarci per costruire un sistema nuovo di comunicazione verbale, che si distingua completamente dal linguaggio naturale, con una grammatica combinatoria diversa e più potente, con nuovi elementi che formano nuove combinazioni con curiose proprietà. Le stringhe composte di questo sistema alternativo (chiamiamole Ubersätze) non sono valutate come vere o false, né le relazioni tra di esse sono remotamente analoghe a quelle di implicazione, etc., che valgono tra gli enunciati, L’organizzazione che esibiscono è diversa, e mostrano differenti capacità. […]
Si osservi che questa seconda storia illustra un tema con infinite variazioni. Ci sono tante «psicologie del senso comune» possibili, quanti sono i possibili sistemi di comunicazione diversamente strutturati che possono servire da modelli per esse. (5)

Entrambe le osservazioni propongono una prospettiva diversa su ciò che potrebbe descrivere la razionalità. Se nella seconda viene proposto un linguaggio guidato da una logica alternativa, la prima è più radicale e, sebbene Churchland non indichi le ricerche cui fa riferimento, che non tutta la razionalità abbia forma proposizionale è sicuramente un’ipotesi da valutare. Qualora ciò si dimostrasse credibile, infatti, logica del primo ordine e razionalità potrebbero apparire meno coincidenti di quanto i quotidiani successi della Psc inducano ora a pensare, (6)  il che naturalmente ridimensionerebbe la validità dell’argomento di Dennett.

Nella seconda e nella terza critica Churchland sostiene che il quadro enunciativo/proposizionale con cui la Psc spiega i fenomeni mentali sia uno strumento insufficiente a descrivere la razionalità. In parte perché la razionalità presenta prestazioni più potenti di quelle su cui un tale quadro può darci informazioni ed in parte perché tale quadro può, anzi deve, essere sostituito al più presto.

In secondo luogo, le leggi della PSC ci attribuiscono solo una razionalità monca e minimale, e non ideale, come qualcuno ha suggerito. La razionalità prefigurata dall’insieme delle leggi della PSC è ben più ristretta di una razionalità ideale. […]
In terzo luogo, anche se la nostra concezione attuale della razionalità (e più in generale, della capacità cognitiva) è in larga misura costituita all’interno del quadro enunciativo/proposizionale della PSC, non c’è alcuna garanzia che questo quadro sia adeguato per una spiegazione più profonda e più accurata delle capacità cognitive, che è chiaramente necessaria. (7)

Che si tratti di critiche convincenti o meno dipende da quale posizione intendiamo assumere rispetto alla prima critica proposta da Churchland alla normatività della Psc. Affermare che la razionalità descritta da questa teoria sia più ristretta di una razionalità ideale è possibile se e solo se si ritengono le neuroscienze un metodo più potente per lo studio dei fenomeni mentali. Che le neuroscienze lo siano è una questione empirica ed un’ipotesi da verificare valutando la coincidenza fra razionalità e logica del primo ordine discussa in precedenza. Ritenendo la razionalità descrivibile solo su atteggiamenti proposizionali, il quadro enunciativo/proposizionale risulterà adatto allo studio dei fenomeni mentali; ritenendo invece tali atteggiamenti insufficienti si potranno condividere entrambe le critiche proposte dall’autore.

 

NOTE

(1) Quattro spiriti per la precisione: mercurio, zolfo, arsenico giallo e sale ammoniacale, la cui composizione determinava le caratteristiche del materiale.

(2) Quello dei qualia non è l’unico fenomeno mentale la cui spiegazione sembra difficile all’interno dei concetti della neurofisiologia. Offrire la mente allo spazio logico delle cause può condurre ad un determinismo nella nostra spiegazione dei fenomeni mentali. Un fumatore che intenda smettere è libero di farlo sebbene il contesto causale non sia cambiato: il suo desiderio verrà ora respinto sulla base di un ragionamento. In che modo ciò potrebbe accadere in un’ottica esclusivamente causale? Per queste riflessioni sono debitore al prof. Huemer.

(3) Churchland P., (1992), pag. 47.

(4) Churchland P., (1992), pag. 52.

(5) Churchland P., (1992), pag. 53.

(6) Vi sono una moltitudine di fenomeni mentali che già ora potrebbero mettere in discussione la coincidenza fra logica del primo ordine e razionalità. Una teoria soddisfacente dei fenomeni mentali deve porsi ad esempio il problema dei fenomeni inconsci nei quali l’importanza della logica del primo ordine è ridimensionata.

(7) Churchland P., (1992), pag. 48.

 

BIBLIOGRAFIA (IN ORDINE ALFABETICO)

  • Churchland P., (1992), La natura della mente e la struttura della scienza: una prospettiva neurocomputazionale, Il Mulino, Bologna.
  • Crane T., (2001), Fenomeni mentali, un’introduzione alla filosofia della mente, Raffaello Cortina, Milano.
  • Fodor J., (1990), Psicosemantica. Il problema del significato nella filosofia della mente, Il Mulino, Bologna.
  • Jackson F., (1986), What Mary didn’t know, tratto da The Journal of Philosophy, Volume 83, Issue 5.
  • Wittgenstein L., (1980), Osservazioni sulla filosofia della psicologia, Adelphi edizioni, Milano.

 

Articolo seguente: Churchland. Conclusioni


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