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Sulla trasformazione della realtà contemporanea

Sulla trasformazione della realtà contemporanea

Lug 02

La probabilità di apprendere dal giornale una vicenda straordinaria è molto maggiore di quella di viverla personalmente; in altre parole, oggi l’essenziale accade nell’astratto, e l’irrilevante accade nella realtà. [1]

Come cambia la realtà? E quanto quella che adesso noi stiamo vivendo si può dire diversa rispetto un’altra passata?

La realtà rispecchia inevitabilmente i mutamenti sociali (quindi anche politici) e culturali (quindi anche scientifici) e, di conseguenza, ogni periodo gode della sua particolare e specifica realtà.

Ciò che a mio parere contraddistingue la nostra dimensione socio-culturale rispetto a tutte le realtà passate è, necessariamente, la contemporanea tendenza alla dematerializzazione dell’oggetto, la quale non solo condiziona il nostro rapporto con la realtà, ma intacca finanche la realtà in sé e per sé: l’oggetto non avendo più nella sua materialità alcun valore, si trova ormai consumato unicamente in quanto segno.

Un oggetto apparentemente inutile ma esteticamente provocante e che ci seduce viene acquistato al di là della sua effettiva utilità. Sono all’ordine del giorno discorsi come: “è carino, può stare bene lì”: e così un vaso può essere messo in un angolo di una casa senza alcun uso particolare; “questa collana ‘richiama’ la fantasia della maglietta”: comunicazione di segni di cui noi siamo i portatori.

Una volta compreso tale discorso, spero risulti chiaro come la realtà di oggi ci venga presentata come un simulacro, ovvero una realtà fatta unicamente da segni – il cui unico scopo è sedurci, usarci, consumarci – e non da oggetti materiali e quindi utili.

Non vi è più trascendenza, ma un potenziamento del segno, il quale perdendo ogni significato naturale, risplende nel vuoto di tutta la sua luce artificiale. [2]

Vivendo in una società ormai completamente dominata da segni, questi non possono fare altro che comunicare tra loro e con l’uomo, lasciando a quest’ultimo il mero compito di essere “consumato” unicamente in quanto mezzo.

Tirando le somme, la realtà che adesso viviamo è composta da oggetti che comunicano con altri oggetti e da segni che stimolano altri segni.

Ma il mezzo più potente con cui la società divide ciò che è utile da ciò che non lo è (o non lo è più) è la pubblicità: la società infatti ci seduce attraverso la pubblicità. Come agisce? Semplicemente fa perno sul valore d’uso di un oggetto che, come sappiamo, non è altro che un segno: l’uso, nella sua forma più povera, non è semplicemente scomparso, ma è stato inglobato dallo spettacolo, è rimasto imprigionato nella ricchezza illusoria di quella che Debord definisce ‘sopravvivenza aumentata’. La società dello ‘spettacolare integrato’ [3] è un tipo di società che è in grado di instillare bisogni, di crearli dal nulla, di elevare il grado di ciò che è sempre stato ritenuto necessario, è in grado di aumentare lo standard. Ciò che è sempre stato ritenuto superfluo oggi risulta semplicemente necessario. La sopravvivenza aumentata risponde a questa precisa esigenza spettacolare: è mancanza, ma una mancanza divenuta più “ricca”.

Il consumatore che una volta consumava il ‘reale’ si ritrova consumatore di ‘illusioni’.

Per citare Debord:

È questa la base reale dell’accettazione dell’illusione in generale del consumo delle merci moderne: il fatto che l’uso nella sua forma più povera non esiste più se non imprigionato nella ricchezza illusoria della sopravvivenza aumentata. Il consumatore reale diviene consumatore di illusioni. La merce è questa illusione effettivamente reale, e lo spettacolo la sua manifestazione generale. [4]

In questa realtà-illusione noi creiamo una realtà per-noi: una realtà più comoda, più facile da vivere, più confortante. Tutto diventa ad un tratto comodo, bello e confortante.

Gli stessi oggetti tecnologici e quotidiani diventano sempre più “comodi”: alienandoci dalla realtà in cui siamo sempre stati abituati a vivere, adesso ci ritroviamo possessori di oggetti che ci permettono di fare le cose più disparate semplicemente rimanendo seduti. [5]

Con la perdita della naturalità dell’oggetto l’uomo si sta vedendo sfuggire di mano il suo essere attivo, sia sotto l’aspetto motorio, sia sotto l’aspetto critico.

Realtà sempre più effimera, sempre più dematerializzata. [6]

È tutto così perfetto che si è arrivati al punto che «non si sa più che fare col mondo reale». [7]

Abbiamo qualsiasi cosa ma sentiamo la mancanza di tutto il resto.

 

Note

[1] R. Musil, L’uomo senza qualità, a cura di Adolf Frisé, traduzione di Anita Rho, Einaudi, Torino 1974, cap. 18.

[2] J. Baudrillard, Le crime parfait, Paris, Éditions Galilée, 1995; trad. it. G. Piana, Il delitto perfetto – la televisione ha ucciso la realtà?, Raffaello Cortina Editore, Milano 1996, pag. 82.

[3] Lo ‘spettacolare integrato’ è per Debord lo stato che ha superato la bipolarità tra ‘spettacolare concentrato’, tipico delle società totalitarie, e ‘spettacolare diffuso’, tipico del consumismo.

[4] G. Debord, La Société du Spectacle, Buchet/Chastelm, Paris 1967; trad. it. P. Salvadori, La società dello spettacolo, Baldini&Castoldi, Milano 2013, pag. 47.

[5] Basta avere una buona connessione e un buono smartphone, per esempio, per poter: chiamare, mandare messaggi, inviare audio, fare foto e inviarle, fare video e inviarli, navigare su internet e quindi: stare sui social, fare ricerche, fare shopping (facendoci arrivare tutto comodamente a casa) e mille altre cose. Siamo seduti ma siamo ovunque.

[6] Viviamo in una veloce evoluzione: dal bianco&nero, al colore, al 3D; realtà aumentata, realtà virtuale; innumerevoli quantità di video, foto, film e altri file possono essere tranquillamente memorizzate su appositi dispositivi portatili di “memoria di massa”, gli schermi dei televisori diventano sempre più sottili, l’iPad è talmente sottile e leggero da essere chiamato Air.

[7] Op. cit. Il crimine perfetto, pag. 48.

 

 


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