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La fenomenologia nella filosofia di Sartre

La fenomenologia nella filosofia di Sartre

Lug 15

 
Jean-Paul Sartre, autore de L’essere e il nulla e de La Nausea, si occupa nei primi anni della sua riflessione filosofica di fenomenologia: con La trascendenza dell’Ego, fine dissertazione teoretica, Sartre intende prendere distanza dalle conclusioni ultime del maestro Husserl, per le quali si rischia di cadere in un pericoloso solipsismo. Quest’ultimo, ponendo l’Io nella coscienza, lo avrebbe salvato dall’epochè (o riduzione fenomenologica): nulla sarebbe fuori dall’Io e tutto – cultura, natura, possibilità – vi sarebbe incluso. Il proposito di Sartre invece è

mostrare qui che l’Ego non è formalmente, né materialmente nella coscienza: è fuori, nel mondo; è un essere del mondo come l’Ego dell’altro. [1]

Husserl definisce questo Io onnicomprensivo “trascendentale” poiché distinto da quello “empirico”, il quale è alla stregua degli altri oggetti del mondo: Sartre, invece, eliminando la scissione husserliana dell’Io, lo riduce a semplice oggetto del e nel mondo. Di seguito si proverà a indagare questa posizione.

L’Io, o Me o Ego, si presenta all’accurata analisi sartriana come unità di stati psichici (es. “Io sono infelice”), i quali si danno sempre in rapporto ad esso e da esso non possono essere disgiunti: quello tra di essi è un rapporto di produzione e sintesi per il quale l’Io

è sempre sorpassato da ciò che produce, per quanto, da un altro punto di vista sia ciò che produce. [2]

Ne deriva che esso non è mai riducibile a uno solo di tali stati ed è piuttosto oscuro e non intellegibile, quindi anche incerto. Per quanto si possa essere convinti della “qualità” dell’Io – o stato psichico – è sempre possibile ingannarsi: non a caso avranno origine dalle pagine di questo saggio anche rivalutazioni di natura psicoanalitica. È inevitabile dunque che proprio l’Io sia sottoposto all’epochè e che per via di ciò sia considerato come qualsiasi altro oggetto del mondo, non essendo più un assoluto.

Ma, se persino l’Io non sfugge alla riduzione fenomenologica, ciò che rimane per differenza è quella che Sartre chiama “coscienza preriflessiva”, la quale precede la riflessione e non pone ancora teticamente se stessa (meglio definita dal pensatore “coscienza posizionale dell’oggetto e non posizionale di sé”): da essa l’Io promana solo in secondo grado in virtù di un ripiegamento su se stessa, di una riflessione (coscienza riflessiva). Tale coscienza perciò è in principio impersonale e originaria, flusso autoproducentesi che permea ogni realtà e forgia l’Io nel momento in cui diventa riflessiva e fa coppia con se stessa: c’è qualcosa di altro e in più rispetto al modo di essere dell’umano, il quale non è esclusivo modello di unità di misura.

Molteplici sono le conseguenze per Sartre di questo nodo concettuale cui è pervenuto. In primo luogo, la necessità di una filosofia che non si riduca a conoscenza che il soggetto ha del mondo: il soggetto, come dice Heidegger, è gettato nel mondo ed è già mondo. È così, inoltre, che Sartre vuole proteggere la fenomenologia dall’accusa di idealismo e aprire a un modo di pensare che sia inevitabilmente praxis: non a caso vien da ricordare il periodo storico in cui si colloca l’inizio dell’attività intellettuale sartriana (nel 1937 è datata la prima pubblicazione dell’opera citata) carico di sconvolgimenti per l’ascesa dei fascismi, nonché l’irruenta vocazione politica che segna l’esistenza del filosofo parigino.

Ulteriori implicazioni teoretiche discendono dalle premesse fenomenologiche sopra sinteticamente delineate. Posto che l’Io è alla stregua dell’oggetto, allora questo non è più certo dell’Io dell’altro: in questo marasma

io sono sparito, mi sono annientato. [3]

Si pone una fallacia, un nucleo di non permeabilità, nella conoscenza dell’Io dell’altro come anche dell’altro stesso, che sarà poi sullo sfondo delle successive teorizzazioni di Sartre. Al centro di esse, come è noto, stanno i due poli opposti di essere in sé ed essere per sé: il primo – ovvero l’insieme delle cose del mondo – entra in rapporto col secondo – la coscienza – unicamente in virtù di uno sforzo da parte di quest’ultima di attribuzione di significati. Tuttavia siffatto sforzo non è mai pieno e realizzato in virtù dell’opacità di cui sopra, e la coscienza diviene fonte di significati nullificanti, giacché di fatto polverizzano il dato nella misura in cui esso li subisce: la coscienza si rivela quale nulla, concetto chiave del pensiero sartriano non più usato per indicare l’opposto dell’essere. Lo smacco causato dall’inadeguatezza di tale sforzo genera la nausea di fronte alla gratuità dell’esistenza.

Note

[1] J.P. Sartre, La trascendenza dell’Ego. Una descrizione fenomenologica, traduzione e cura di Rocco Ronchi, Christian Marinotti Edizioni, 2011, p. 29.

[2] Ivi, p. 65.

[3] Ivi, p. 41.
 


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