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La cristologia filosofica di Simone Weil (1)

La cristologia filosofica di Simone Weil (1)

Nov 03

Oggi pubblichiamo il primo articolo di Sara Caon, laureata in Filosofia presso l’Università di Trento, dove studia Filosofia e Linguaggi della Modernità. Sara inizia la sua collaborazione con Filosofia Blog occupandosi della cristologia filosofica di Simone Weil. Ringraziandola per il contributo, le diamo il benvenuto tra i collaboratori del blog.

 

Cristo vuole che gli si preferisca la verità, perché prima di essere Cristo egli è la verità. Se ci si allontana da lui per andare verso la verità, non si farà molta strada senza cadere fra le sue braccia [1].

 

1. Breve profilo biografico

Abbozzare un quadro della breve esistenza di Simone Weil permette di comprendere meglio anche come si declina il suo rapporto con il Cristo. Simone nasce a Parigi il 3 febbraio 1909 da genitori ebrei, di cui padre ateo. In questo periodo c’è un risveglio dello spiritualismo, corrente filosofica che rivendica i “diritti del cuore” e si muove in opposta direzione rispetto al positivismo. Lo straordinario successo di questo nuovo orientamento culturale fa sì che esso divenga la filosofia egemone in ambiente universitario. Gabriel Marcel (1889-1973) ne è un esponente, ed inaugura un filone di marca esistenzialista e religiosa, contando tra le sue allieve più brillanti proprio Simone. Accanto alla filosofia spiritualista sono vive altre correnti filosofiche: l’hegelismo, che non suscita in lei un interesse sostanziale, ed il marxismo, che invece ha per lei un ruolo rilevante, anche se solo momentaneo.

Nel 1919 Simone intraprende studi regolari a Parigi ed inizia a conoscere la letteratura religiosa, fino ad allora ignorata, e i Pensieri di Pascal. Nel frattempo si appassiona sempre più alla politica e sposa in un primo momento le idee rivoluzionarie del partito comunista. Negli anni seguenti matura la sua vocazione filosofica, aderendo all’impostazione del professore di filosofia Alain, che sul ruolo della coscienza morale, nella forma di un razionalismo etico quasi di stampo socratico, incentra tutta la sua riflessione. Il filosofo è convinto della priorità dell’agire morale rispetto ad ogni forma di pensiero teoretico: la Weil ha probabilmente tratto da questa convinzione il senso del suo impegno politico.

Dal 1928 al 1930 frequenta la Normale e nel 1931 inizia l’insegnamento, ottenendo la cattedra di filosofia al liceo femminile di Le Puy, dove conduce una vita estremamente spartana e non sembra curarsi della sua salute cagionevole. In lei prevale l’impegno a favore dei più deboli e degli oppressi, l’interesse politico e sindacale che si concretizza in scritti teorici ed azioni di sostegno a scioperi e lotte operaie. Progressivamente, però, attraverso un’opera di disillusione giunge a considerare la rivoluzione il vero “oppio dei popoli”.

Nel 1932 la visita di una miniera e la vista delle condizioni di lavoro difficili dei minatori la colpiscono fortemente. In seguito, mentre è in Germania, sboccia in lei la rottura definitiva con il Partito Comunista: comprende allora che i partiti politici difendono gli interessi dei loro vertici in ultima e principale istanza. Per loro null’altro conta. Frattanto, nelle lezioni che tiene al liceo, declina l’idea di Dio nel senso alainiano di un’idea-guida dell’azione in direzione del perfezionamento interiore.

Nei primi mesi del 1933 si dedica a soccorrere personalmente gli emigrati politici tedeschi riparati in Francia. Solo la morte, secondo la filosofa, offre una via d’uscita all’insensatezza del nostro essere. Durante le vacanze natalizie del 1933 incontra Trotzkij e l’incontro si conclude con uno scambio di accuse. La “rivoluzione vera” in senso alainiano, che ha cioè come centro la propria interiorità cosciente dei valori etici iscritti nell’essere individuale, comincia ora a delinearsi per la filosofa secondo modalità sempre più marcatamente religiose.

Nel periodo 1934-35 lavora come operaia a Parigi in mezzo a gravissime sofferenze fisiche, facendo diretta esperienza della condizione operaia, che finisce col giudicare simile alla schiavitù antica: le prepotenze, la fatica eccessiva, il rumore assordante la gettano in una desolazione profonda. Per Simone, il cristianesimo è prima di tutto ancora una guida morale della coscienza per la solidarietà nei confronti degli oppressi.

Allo scoppio della guerra civile spagnola, entra a far parte di un gruppo internazionale di combattenti, in Catalogna. Il breve soggiorno le mostra che anche in questa desolante circostanza la violenza, il cinismo, la crudeltà fungono da sfondo all’azione degli uomini. E con questa realistica descrizione la filosofa si avvia sempre più sulla strada della ricerca di una dimensione trascendentale dell’etica e della vita. Nel 1937 compie il suo primo viaggio in Italia, di importanza determinante nel suo itinerario di ricerca religiosa, e riprende l’insegnamento, ma è torturata da un mal di testa che non riuscirà mai più a debellare. Nella Pasqua del 1938 è a Solesmes, la celebre abbazia benedettina nota per il rinnovamento del canto gregoriano, e segue tutta la liturgia della Settimana Santa. Durante questo periodo,

il pensiero della Passione del Cristo entrò in lei una volta per tutte [2].

L’esperienza musicale, infatti, le permette

per analogia, di comprendere meglio la possibilità di amare l’amore divino tramite la sventura [3].

Il Cristo ha ormai per lei il valore emblematico di un segno dell’inafferrabile trascendenza divina, la lezione di Alain sta evidentemente sempre più sfumando. Nell’autunno si produce in lei un evento interiore, inatteso, una specie di “conversione”, o, meglio, discesa del Cristo nella sua anima. Nel contempo la situazione europea precipita rapidamente: dopo gli accordi di Monaco, Hitler occupa Praga e nel settembre 1939 si giunge alla guerra. D’un colpo Simone vede bene le illusioni e le menzogne del pacifismo, cui pure era stata incline. In proposito scrive che nel pacifismo è insita una precisa inclinazione al tradimento, che lei stessa non aveva capito. Rinuncia ad entrare nella Chiesa perché le sue radici affondano nel mondo al di fuori della Chiesa, e dunque vuole essere cristiana dal di fuori, sulla soglia, in attesa.

Nel giugno 1940 la famiglia Weil si rifugia a Marsiglia e qui Simone inizia a studiare il sanscrito, conosce il domenicano Padre Jean-Marie Perrin ed il filosofo cattolico Gustave Thibon. Studia la storia delle religioni, le Upanishad, il Tao te ching di Lao-Tse, e il suo orizzonte filosofico si disegna compiutamente. Nella Pasqua del 1942 segue la Settimana Santa all’abbazia benedettina di En Calcat, dove discute ancora del suo eventuale battesimo, questa volta col padre Clément Jacob.

Nel maggio 1942 i Weil si rifugiano negli Stati Uniti e prima di partire Simone scrive a padre Perrin per chiarire i motivi per cui ha deciso di restare fuori dalla Chiesa cattolica. A New York Simone riesamina la possibilità di essere battezzata, ma soprattutto si mette in contatto con esponenti della Resistenza francese per prendervi parte attivamente. Si imbarca poi per l’Inghilterra. Nei primi del 1943 si impegna nella ricerca di consensi intorno all’idea del corpo di infermiere di prima linea. La sua salute però peggiora e le viene diagnosticata una grave forma di tubercolosi. Lei non vuole collaborare e non si nutre a dovere, non vuol mangiare più di quanto pensa sia la razione della Francia occupata e si lascia morire per condividere fino in fondo la forte di quegli oppressi che le stavano tanto a cuore. Muore il 24 agosto.

 

Note

[1] Weil S., Lettera a Padre Perrin del 15 maggio 1942.

[2] Cfr. la lettera inviata a Padre Perrin da Marsiglia, datata 15 maggio 1942.

[3] Weil S., Attesa di Dio, Adelphi, Milano 2008, pp. 41-42.

 

Articolo successivo:  La cristologia filosofica di Simone Weil (2)

 

 


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