Temi e protagonisti della filosofia

Intervista a Francesco Russo sulla filosofia di Giovanni Paolo II

Intervista a Francesco Russo sulla filosofia di Giovanni Paolo II

Lug 28

 

Oggi pubblichiamo il primo contributo di Tudor Petcu, dottorando alla Facolta di Filosofia di Bucarest e scrittore rumeno. Nella tesi di laurea e in vari articoli si è occupato della filosofia di Karol Wojtyla. Il suo principale ambito filosofico di ricerca riguarda la fenomenologia della storia recente, specialmente la Shoah. Ha pubblicato quattro libri, il più importante dei quali raccoglie interviste con filosofi francesi contemporanei: Les fenetres de la pensee philosophique et theologique contemporaine. Entretiens avec quelques penseurs francais de nos jours, Tudor inizia la sua collaborazione con un’intervista al sacerdote e filosofo italiano Francesco Russo sulla filosofia di Giovanni Paolo II. Ringraziandolo per il contributo, gli diamo il benvenuto tra i collaboratori del blog.
 
Nota introduttiva: L’intervista al sacerdote e filosofo Francesco Russo vuole presentare la filosofia di Papa Giovanni Paolo II (Karol Wojtyla), che è stata una teologia personalista. È rilevante sapere che in Persona e atto, una novità filosofica del XX secolo, Wojtyla ha cercato di mostrare che l’esperienza interiore è il più importante concetto filosofico, perché tramite l’esperienza interiore l’uomo diventa la persona che deve essere. In questo dialogo abbiamo anche cercato di mostrare perché l’enciclica Fides et Ratio può essere un modello per la ricerca filosofica sul rapporto tra fede e ragione.

 

D: Prima di tutto, vorrei rivolgere una domanda, forse un po’ generale, ma necessaria per il nostro dialogo: come dobbiamo capire la filosofia di Papa Giovanni Paolo II?

R: La filosofia di Karol Wojtyła, che divenne Giovanni Paolo II, è una riflessione che non nasce sulla spinta di dotte discussioni accademiche. Lui era guidato dalla consapevolezza che l’epoca in cui il Signore lo aveva chiamato a vivere era un periodo cruciale dal punto di vista culturale. In un saggio del 1976, ma ritroviamo la stessa idea anche altrove, scrisse che l’umanità si trovava in uno dei «momenti delle grandi svolte storiche, dei grandi confronti». E ne spiegava la ragione con le seguenti parole: «È, il nostro, un tempo di grandi controversie sull’uomo, sul senso stesso del suo esserci e, per ciò stesso, sulla natura e il significato del suo essere» (La persona: soggetto e comunità). Il serio confronto di Wojtyła con la storia della filosofia, in particolare con pensatori quali E. Husserl e M. Scheler, deriva proprio da questa consapevolezza: se manca una comprensione adeguata della persona, i più accesi dibattiti etici non possono condurre ad alcun risultato costruttivo. D’altronde, il pensiero di Wojtyła era reso più profondo e rigoroso proprio dalle vicende storiche delle dittature totalitariste, della seconda guerra mondiale, dell’olocausto. Alla luce di questi drammi era un dovere ineludibile interrogarsi sulla natura e sul destino dell’essere umano.

D: Ho fatto finora molti studi sulla filosofia di Papa Giovanni Paolo II, sul suo personalismo, molto simile alla fenomenologia di Edith Stein. Possiamo senz’altro trovare una grande similitudine tra Giovanni Paolo II ed Edith Stein, come ha detto George Weigel ad esempio. Può dirmi qual è la più grande influenza di Edith Stein sulla filosofia di Papa Giovanni Paolo II?

R: È evidente che il pensiero di Edith Stein e quello di Karol Wojtyła hanno molti punti in comune. Non parlerei di una diretta influenza, in senso pieno, della filosofa martire sul filosofo che divenne Papa. Possiamo invece facilmente mettere in luce la loro profonda sintonia. Entrambi studiano la fenomenologia di Edmund Husserl e di Max Scheler, apprezzandone il positivo contributo per superare i problemi della filosofia del Novecento. In entrambi si nota l’impegno per la rigorosa ricerca della verità, anche a costo di rivedere le proprie posizioni e mettere in discussione le tesi sostenute. Sia in Stein sia in Wojtyła è inoltre rilevante l’influsso di San Giovanni della Croce e di Santa Teresa d’Avila, che li aiutano a elaborare una visione unitaria della persona e del rapporto tra spiritualità e riflessione filosofica. C’è poi un altro punto molto significativo: la loro comune esperienza del dolore e della Croce. La Scientia crucis di E. Stein e la Salvifici doloris di Giovanni Paolo II sono una testimonianza del loro personale confronto con la sofferenza umana, mistero sul quale il filosofo deve chinarsi a riflettere con la luce della rivelazione cristiana.

D: Se mi permette, vorrei parlare anche del personalismo ontologico di Karol Wojtyla. Certo, se noi vogliamo parlare del suo personalismo ontologico, dobbiamo riferirci alla sua più importante opera filosofica: Persona e atto. Ho sempre creduto che Persona e atto sia stata prima di tutto una novità per la filosofia e la fenomenologia cristiana del XX secolo. Ma qual è la sua opinione? Lei è d’accordo con la mia affermazione?

R: Ho letto Persona e atto all’inizio della mia attività di docente e anche io ho avuto la sensazione di trovarmi dinanzi ad una novità nel panorama della filosofia cristiana. Ho poi ripreso tale opera più volte, anche per guidare alcuni lavori di ricerca su di essa, e ne ho ricavato sempre la conferma che si tratta di un testo importante e profondo. Riterrei che l’impressione di novità è data innanzitutto dal confronto senza pregiudizi con il pensiero moderno e contemporaneo, nel quale Wojtyła desidera cogliere gli aspetti positivi per affrontare la controversia sull’humanum alla quale mi sono riferito. Tale apertura mentale si nota persino nel modo in cui vengono assunti certi termini della fenomenologia o della psicanalisi. Ciò può creare talvolta alcuni problemi interpretativi, ma rafforza l’idea che un pensatore cristiano non si isola dagli altri filosofi né si chiude in una situazione di incomunicabilità. Ho detto “confronto senza pregiudizi”, il che non significa rinunciare al proprio patrimonio culturale e filosofico. E qui sta un secondo motivo di novità. Wojtyła cerca sinceramente di mettere in dialogo la tradizione aristotelico-tomista con le istanze più valide della filosofia contemporanea, specialmente la fenomenologia, il personalismo, il pensiero dialogico.

D: L’esperienza interiore è stata il più importante concetto filosofico in Persona e atto. L’esperienza interiore, come ha mostrato Karol Wojtyla e come ha detto Francesco Gastone Silletta, rappresenta in termini pratici una sorta di comprensione di ciò che viene sperimentato. Allora, qual è il punto centrale del personalismo di Wojtyla? Ho voluto rivolgere questa domanda pensando all’influenza dai grandi personalisti Max Scheler e Roman Ingarden.

R: Wojtyła attribuisce importanza all’esperienza interiore perché sa accogliere le istanze del pensiero moderno, che presta particolare attenzione alla struttura esistenziale e all’azione del soggetto umano. Ma possiamo dire che questo è il punto di partenza della sua lunga analisi filosofica, che intende risalire dall’esperienza interiore al contenuto assiologico dell’agire e all’esperienza della comunione e della partecipazione. Perciò, la sua filosofia resta ben lontana dall’individualismo e dal soggettivismo presenti in alcune correnti della filosofia moderna e contemporanea. Si può dire che Wojtyła elabora un’antropologia del perfezionamento morale, nel senso che indica la necessità dell’autotrascendenza della persona umana verso il bene e la verità. Tale autotrascendenza avviene sempre in un contesto relazionale, tramite i sistemi “io-tu” e “noi”. C’è poi un altro aspetto centrale che mi sta a cuore sottolineare: per Wojtyła è fondamentale l’antropologia dell’integralità, cioè una visione della persona umana comprendente tutte le sue dimensioni (corporea, psichica, affettiva, spirituale) che vengono alla luce proprio nell’esperienza morale. Perciò si sofferma sul ruolo della integrazione della persona, la quale tramite l’autodeterminazione e l’autorealizzazione (alla luce del bene e del vero) conduce verso un unico fine i vari dinamismi della sua unità corporeo-spirituale. Ecco uno dei tanti motivi di attualità del pensiero di Wojtyła: ribadire una visione unitaria della persona, in un contesto culturale in cui la corporeità è spesso vista in modo strumentale (come un materiale di cui posso disporre come mi pare) e la libertà è intesa come una capacità assoluta, svincolata da qualunque riferimento relazionale e trascendente.

D: Credo che sia necessario per il nostro dialogo riflettere un po’ sull’enciclica di Papa Giovanni Paolo II Fides et ratio, molto conosciuta nella Chiesa Cattolica ma anche nel mondo ortodosso. Possiamo dire che questa enciclica rappresenta un modello per la ricerca filosofica sul rapporto tra fede e ragione?

R: Dopo diciassette anni dalla sua pubblicazione, la Fides et Ratio resta un riferimento molto importante per gli studiosi di filosofia. Ma direi che lo è ancor di più per gli studiosi di teologia e che persino nelle istituzioni ecclesiastiche di insegnamento resti ancora molto da fare per assimilarne e tradurne in pratica i contenuti. Sia l’odierno contesto filosofico sia le vicende storiche che stiamo vivendo mostrano quanto siano fondate le tesi esposte nella enciclica di San Giovanni Paolo II. Infatti, il tentativo di predominio di una visione scientista della realtà e dell’essere umano fa capire che non si può accettare una visione unilaterale della razionalità, perché la ricerca scientifica ha bisogno di un orizzonte di senso e di verità che non è la scienza a fondare. Bisogna pertanto recuperare l’unità tra il sapere teologico, filosofico e scientifico contrastando quella scissione, iniziata nel tardo Medioevo, che nell’enciclica viene definita una “nefasta separazione”. Inoltre, l’attuale esplosione di concezioni fondamentaliste, che vogliono coprire la propria irrazionalità con pretesti religiosi, mostra che fede e ragione non possono escludersi reciprocamente, altrimenti si cade in estremismi pericolosi. Più volte, lungo l’Enciclica, Giovanni Paolo II richiama la feconda esperienza dei Padri della Chiesa che hanno saputo avviare un dialogo fecondo con le filosofie del loro tempo: ci offrono un esempio di pensiero cristianamente ispirato che è sempre valido per noi.

 

 


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