Il concetto di formazione in Edith Stein
Il concetto di formazione in Edith Stein
Gen 14
Nell’opera La vita come totalità, che si presenta come un’ampia raccolta di saggi, Edith Stein analizza meticolosamente il concetto di formazione globale. L’autrice fa sua questa tematica con estrema originalità, risentendo, parecchio, dell’influenza della sua doppia formazione filosofica: da una parte le analisi fenomenologiche presso la scuola di Husserl, dall’altra gli studi sul pensiero di San Tommaso d’Aquino. Secondo la Stein il termine tedesco Bildung comprende e oltrepassa semanticamente sia la nozione di educazione sia quella di formazione. La filosofa, nel saggio Sull’idea di formazione, vuole analizzare morfologicamente il sostantivo Bildung. Esso da un lato designa l’azione del formare (Bilden) e allo stesso tempo, dall’altro lato, il processo del venire formato. Per quanto riguarda il significato, bilden significa formare una materia, e creare in tal modo un’immagine (Bild) o una forma (Gebild). Per Bild, quindi, si intende quella forma o meglio quell’immagine che ciascuno ha dentro di sé; essa incarna quell’impronta inconfondibile, che ciascun essere umano, unico e irripetibile, possiede. La Bildung non è sinonimo di istruzione e non corrisponde nemmeno ad una mera informazione settoriale. La Stein vuole prendere le distanze dal modello storico di educazione, maturato in età illuministica, basato sul sapere enciclopedico e su un semplice trasferimento di contenuti. Secondo questo modello la mente è
una tabula rasa su cui si deve scrivere il più possibile per mezzo della comprensione intellettuale e dell’apprendimento mnemonico. Il sistema germogliato su questo terreno è diventato, per le sue deficienze evidenti, oggetto di una critica sempre più acuta. […] Oggi si presenta come un palazzo in demolizione. [1]
La pensatrice tedesca prende le distanze da questa prospettiva, anzi si prefigge, in molti suoi scritti, di descrivere un processo formativo del tutto rinnovato, ma che allo stesso tempo si ricolleghi al concetto di paideia, vocabolo del greco antico che indica la formazione dell’uomo nella sua globalità, finalizzata a sviluppare tutte le sue potenzialità, in modo che divenga ciò che deve essere. L’uomo tuttavia non è una materia inerte, che può essere plasmata come l’artista fa con l’argilla, ma colui che è destinato ad essere educato rappresenta una radice vitale che ha in sé le energie adeguate per svilupparsi in quella direzione, in cui maturerà la figura perfetta. Ovviamente questo percorso di crescita non è soltanto circoscritto alla sfera spirituale dell’individuo, ma ad essere coinvolta è anche la dimensione corporea; perciò l’intera persona, composta da anima e corpo, intraprenderà il cammino educativo. Il compito del formatore non è quello di imporre un modello archetipico all’allievo, ma di consentire che la Bild di ciascuno emerga. L’uomo non è passivo nei confronti degli influssi educativi esterni, ma possiede la facoltà di compiere delle scelte, ossia atti liberi, perché dinanzi a tali agenti si può opporre oppure può decidere di assecondarli. Egli ha la possibilità persino di ricercare alcuni elementi che possano contribuire a formarlo, oppure ad allontanarlo dal cammino propedeutico [2].
Note
[1] E. Stein, Sull’idea di formazione, in La vita come totalità, Città Nuova, Roma 1999, p. 21.
[2] Ivi, p. 25.
Mi sto interessando alla Stein, della quale ho letto “Storia di una famiglia ebrea e altri scritti”, che ho scelto perché mi piace cominciare dalla conoscenza della persona; ho, quindi, intenzione di continuare.
Ringrazio per questo articolo, in quanto chiaro, esplicativo e, al contempo, di facile lettura.
A quello che ho capito, la Stein non dovrebbe essere caduta nella trappola pseudomaieutica di Socrate. Considero la cosa molto importante.