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Hillman: Il sogno e il mondo infero

Hillman: Il sogno e il mondo infero

Giu 29

Introduzione alla lettura di James Hillman, Il sogno e il mondo infero (The dream and the Underworld), traduzione italiana di Adriana Bottini, Milano, Adelphi Edizioni (Saggi, Nuova Serie 43), 1979, pp. 314

 

Le prime questioni che la filosofia ha posto concernono l’uomo e quello che di più profondo vi si nasconde, un sottile strato di pulsioni, difficilmente individuabile e definibile ma tuttavia sempre presente nell'”animale razionale”: l’anima. Sia la filosofia che la psicologia si incontrano in questo senso, pur ponendosi, rispetto a tale materia cosi complessa quanto ermetica, su piani differenti giacché la prima se ne occupa indirettamente solo nella misura in cui si riferisce dell’uomo e si esplica attraverso l’uomo, la seconda invece la osserva ‒ talvolta con immodestia ‒ come un oggetto in vitro, sezionandola e rincorrendola nei meandri più oscuri. In quanto “logos” sulla psychè ‒ anima ‒ è già con i pensatori greci che si definiscono i contorni di questo studio e si fissano le basi per la nascita di un legame tra i due saperi, poste le dovute differenze, piuttosto stretto.

Con l’introduzione della nozione di inconscio, la riflessione psicologica assume una portata inaspettata e dispiega nuovi ambiti di indagine: tale concetto, immediatamente legato al nome di Freud, prende corpo in un contesto storico pieno di fermenti in apparenza divergenti ma tutti accomunati dalla preoccupazione circa l’illusione della coscienza di : dopo il dubbio sulla cosa (Descartes), si entra nel dubbio sulla coscienza. Il conscio è solo la manifestazione superficiale e derivata di una realtà sottesa, primaria: si pone quindi la necessità di svelare questo ulteriore inganno, con l’invenzione ‒ appunto ‒ di un’arte di interpretazione. Seguendo il sentiero così tracciato si intende riscoprire la logica nel regno illogico del sogno, e in generale di tutte le espressioni psichiche ma anche tentare una “guarigione” dell’anima attraverso l’anima, riappropriarsi di quel senso di sé lontano ed estraneo, riunificare ogni tassello, per essere un po’ più liberi.

Ma quest’ultimo è unicamente uno dei modi di concepire l’analisi, a dir poco opposto a quello hillmaniano.

Il testo di Hillman presuppone un approccio molto malleabile all’attraente argomento dei sogni. Quella a cui ci avvicina Hillman è una teoria del sogno che potrebbe sembrare inusuale, provocatoria, quasi irritante ai più, assuefatti alla ben nota teoria freudiana, o a quella, già di più ristretta diffusione, elaborata da Jung.

L’autore è chiaro nel dichiarare l’intento dell’opera: abbandonare ogni approccio al sogno ‒ e quindi, come si vedrà, a quello che egli definisce mondo infero ‒ che imponga la necessità dell’interpretazione di esso come se ci fornisse inevitabilmente spiegazioni su di noi, sul nostro vissuto quotidiano o persino sul futuro. La tentazione offerta da tale visione, così radicata nel modo di pensare i racconti notturni dell’anima, è certamente forte e difficile da cacciare. Se il sogno non ci dice dunque “nulla” su quelle cose di noi stessi che non capiamo, qual è il senso? Perché interrogarsi su di esso?

«Il timore e la resistenza che ogni uomo naturale prova quando scava troppo a fondo in se stesso sono in ultima analisi la paura del viaggio nell’Ade»: è la notte, l’insieme di quegli eidola trattenuti dall’inconscio, il mito universale che plasma ogni anima con i suoi processi di distruzione. Nella proposta hillmaniana, indubbiamente di grande fascino per quanto non poco ostica, è prioritaria l’intercambiabilità di psicologia e mitologia ma anche ‒ e soprattutto ‒ in rapporto a quest’ultima la necessaria uscita dagli schemi della pedanteria scolastica.

L’ANIMA E IL PROFONDO.

L’anima è il profondo, come intuì per primo Eraclito, giacché «i confini dell’anima non li potrai trovare, neppure se percorressi tutte le strade: così profondo è il suo logos» (p. 38).

La spinta a cercare ciò che si nasconde ‒ “la natura ama nascondersi” insegna ancora Eraclito ‒ è il fare anima. O meglio, per Hillman, non si tratta più di decodificare l’inconscio attraverso i sogni, ma di entrare in essi facendo anima, discendendo nel labirinto che è e permettendone l’autoespressione. Essa si svela a noi nel sogno e quindi durante il sonno – altro nome della morte ‒ che è il momento di accesso al “sotto” e all’ “oltre” il mondo diurno; qui rimane sotteso il thanatos che permea l’ anima e a cui essa in ultima analisi tende. Per thanatos si intende in vero qualcosa di molto simile alla “pulsione di morte” freudiana, quella propulsione allo strato più remoto, celato, abissale del nostro essere, al di là di ogni possibile morale, dei sentimenti, del Tempo. Il mito ci aiuta a comprendere: «l’esperienza di Persefone si ripresenta in ciascuno di noi, nelle improvvise depressioni, quando ci sentiamo imprigionati nell’odio, freddi come paralizzati e trascinati via dalla vita verso il fondo da una forza invisibile» (p. 66).

L’ANIMA E L’OMBRA.

Ciò che ci appare in sogno e che costituisce la “materia” stessa di cui è fatta la psyché è una scena, una sequenza di immagini: non quelle riconoscibili dai sensi bensì ombre, maschere, forme metaforiche che l’anima ha distillato dalla attività conscia: il lavoro onirico «estrae la materia dalla vita e la trasforma in anima, e contemporaneamente nutre ogni notte l’anima con materiale nuovo» (p. 122). Tali fenomeni, benché possano trarre in inganno sotto le spoglie delle personae che conosciamo, sono in realtà percepibili soltanto al fondo della coscienza psichica che deve essere, appunto, svelata nel continuo processo del fare anima. In tal senso esse perdono ogni possibile superficiale connessione con il diurno, acquistando invece tutt’altro spessore: sono figure mitiche intessute di un logos universale e divino. Non vi è più interpretazione del sogno, piuttosto “visione in profondità” (p.40).

Il sogno è naturalmente ambiguo, plurimo, indefinito: ma la sua essenza sta già nel suo stesso manifestarsi, nel continuo processo di distruzione ‒ e creazione ‒ immaginifica. Lavorare sui sogni significa lavorare con l’anima, guardare ed entrare nell’ignoto, nella notte delle notti, nel regno di Ade. E da questo siamo continuamente e subdolamente attratti poiché «le cose della vita, per quanto piene di vita siano, non sono soltanto naturali. […] Ade e Dioniso sono lo stesso dio» (p. 61).


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