Heidegger e l’appello del linguaggio. La casa dell’essere
Heidegger e l’appello del linguaggio. La casa dell’essere
Mar 22
«Il linguaggio è così il linguaggio dell’essere come le nuvole sono le nuvole del cielo».
(M. Heidegger, Lettera sull’«umanismo», ed. it. a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 2008, pp. 103-104)
Il linguaggio, “l’essenza del linguaggio”, è il gioco nel quale noi tutti siamo, un gioco in cui il pensiero è attivamente coinvolto.
L’essenza del linguaggio gioca con noi nel senso che si mette in gioco, gioca la nostra stessa partita. Il linguaggio non è, per Heidegger, semplicemente una facoltà di cui disponiamo o un puro prodotto della nostra attività linguistica, bensì un rivolgersi a noi (Zuspruch); la sua essenza è questo rivolgersi a noi. Il linguaggio è annuncio, appello e l’uomo ne è insieme il messaggero ed il referente. Nel momento in cui Heidegger afferma che l’essenza del linguaggio gioca con noi, egli sta allora sottolineando il fatto che il linguaggio non si dà se non nel parlare dell’esserci (Dasein) in quanto luogo dove si assiste all’aprirsi dell’ente e, in modo ancora più forte, dell’essere: «Dove non c’è linguaggio, non c’è alcun aprimento dell’ente […] Il linguaggio, nominando l’ente, per la prima volta lo fa accedere alla parola e all’apparire» [1] e così lo svela, ne rende possibile la manifestazione; nel linguaggio l’ente si mostra. Il ruolo del linguaggio è dunque un ruolo di apertura: il linguaggio apre l’ente. L’apertura del mondo accade allora nel linguaggio ed «è nel linguaggio che si verifica ogni vera innovazione ontologica, ogni mutamento dell’essere» [2]. Essendo il linguaggio il campo dell’innovazione, «il linguaggio stesso è poesia in senso essenziale» [3]. Il termine tedesco per indicare la parola “poesia” è Dichtung. Dichtung deriva dal verbo dichten che vuol dire “creare”, “inventare”, “escogitare”. Dichtung è anzitutto novità, istituzione della novità delle cose. In tal senso le cose sono, si aprono, si svelano nel linguaggio, e più precisamente nel linguaggio poetico, «che non vuol dire necessariamente il linguaggio della poesia, ma il linguaggio nella sua forza originaria e creativa» [4]. Affermare heideggerianamente che il linguaggio è fondamentalmente poesia, vuole dire affermare che il linguaggio è apertura, manifestazione, in fondo fenomenicità. Ma, si badi, il linguaggio è poesia «solo nel suo senso essenziale» [5]. Non ogni parlare è svelamento, «giacché per lo più il parlare è decaduto a mero strumento di comunicazione, che si limita ad articolare e sviluppare dall’interno l’apertura già aperta» [6]. Il linguaggio solo nella sua origine è poesia poiché in esso si istituisce quella coappartenenza originaria di essere ed esserci così come la relazione fra l’esistenza umana e gli enti secondo i modi dell’abitare mondano dell’esserci. Nel linguaggio, infatti, «si istituiscono i mondi storici entro cui l’esserci e l’ente si rapportano tra di loro nei vari modi della presenza umana nel mondo» [7]. Il linguaggio è dunque, per Heidegger, la casa dell’essere, perché è solo attraverso il linguaggio che può avvenire l’incontro con l’essere: «[I]l linguaggio è la casa dell’essere fatta avvenire come propria (ereignet) e disposta dall’essere» [8] per il suo stesso manifestarsi. Così, l’essenza del linguaggio va pensata per Heidegger «partendo dalla sua corrispondenza all’essere» [9]. Il linguaggio nel suo dire è così raccolto dal pensiero che, però, con il suo dire, «traccia nel linguaggio solchi poco vistosi» [10]. È qui allora che sorge il compito dell’esserci: seguire la scia del linguaggio, ascoltando il linguaggio, significa procedere verso il sentiero dell’origine e, consequenzialmente, spogliarsi della rude veste dell’abituale che fa del linguaggio, per Heidegger, un mero strumento di comunicazione. Il pensiero è in tal senso un ascolto del linguaggio nella sua primordiale poeticità, ovvero nella sua forza fenomenica, rivelativa, manifestativa, accogliente e restituente la verità, cioè l’apertura, la svelatezza dell’essere.
Il linguaggio è peculiare dell’uomo perché «avvento (Ankunft) diradante-velante dell’essere stesso» [11]. Esso «è la casa dell’essere, abitando la quale l’uomo e-siste, appartenendo alla verità dell’essere e custodendola» [12]. La parola è, in sé, “parola dell’essere” rispetto a cui l’uomo non può che essere hörig: attento ad ascoltare e pronto a proteggere. Così, il linguaggio non è nient’altro che «la sede dell’evento dell’essere» [13], il luogo nel quale l’essere av-viene, si fa Ankunft.
Note
[1] M. Heidegger, Sentieri interrotti, ed. it. a cura di P. Chiodi, La Nuova Italia, Firenze 1984, p. 57.
[2] G. Vattimo, Introduzione ad Heidegger, Laterza, Roma 2010, p. 120.
[3] M. Heidegger, Sentieri interrotti, cit., p. 58.
[4] G. Vattimo, Introduzione ad Heidegger, cit., p. 129.
[5] Ivi, p. 120.
[6] Ibidem.
[7] Ibidem.
[8] M. Heidegger, Lettera sull’«umanismo», ed. it. a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 2008, p. 60.
[9] Ibidem.
[10] Ibidem.
[11] Ibidem.
[12] Ivi, p. 61.
[13] G. Vattimo, Introduzione a Heidegger, cit., p. 123.