Byung-Chul Han: interprete dei nostri tempi (8)
Byung-Chul Han: interprete dei nostri tempi (8)
Mar 19
Articolo precedente: Byung-Chul Han: interprete dei nostri tempi (7)
Conclusione
Mi rendo conto che l’articolo tratta di tantissimi argomenti e questo dipende dal fatto che, nonostante io abbia letto di Han solo i tre libri citati in bibliografia, avevo intenzione di parlare in generale di tutta la sua filosofia, che traspare in quei tre libri. Non volevo quindi trattare un argomento specifico ed isolato dell’autore. Fin dall’inizio ho messo in chiaro che c’erano tre punti importanti, punti-cardine della mia lettura personale di Byung-Chul Han:
- in Han c’è un pensiero ermeneutico;
- Han pensa a partire da Foucault;
- Han pensi anche a partire dalle riflessioni di Gilles Deleuze, le quali, come si avrà in parte notato, sono spesso dei punti che Deleuze ha in comune con Foucault.
Per tirare le fila si potrebbe semplicemente indicare quali sono le varie tematiche nei vari paragrafi che sviluppano questi tre punti, almeno per delineare le tre strade che si sono composte e per mettere in luce quella che dal punto di vista filosofico potrebbe essere definita come una argomentazione sulla base di tre tesi. Per quel che riguarda l’ermeneutica, io qui faccio riferimento ad un tipo di ermeneutica che definisco “narrativa”. La narratività, secondo Han, è direttamente interpretazione, nel senso di una tensione rispetto ad un oggetto, la quale è possibile solo perché questo oggetto è velato. Ho citato diversi filosofi come Vattimo, Lyotard e Gadamer, pensatori collocati tra ermeneutica e post-modernismo, in quanto penso siano molto vicini e abbiano qualcosa in comune con Byung-Chul Han. In effetti, è divenuto per me motivo di stupore, mentre leggevo i libri di Han, il fatto che egli non li citasse mai. Quella di Vattimo e di Gadamer è l’ermeneutica delle maschere che nascondono altre maschere, del mondo senza fatti e di sole interpretazioni, di uno svelamento che non ha mai termine. È evidente che questi due filosofi pensano l’ermeneutica in senso contemporaneo, intendo dire a partire dalla concezione del circolo ermeneutico di Heidegger e non, chiaramente, a partire dall’ermeneutica di Schleiermacher. Questa ermeneutica contemporanea nasce dalla concezione di un soggetto e un oggetto che rimandano l’uno all’altro, di una rivalutazione del pregiudizio quale atteggiarsi del soggetto presupposto già prima dell’incontro con l’oggetto. Questo tipo di ermeneutica chiaramente cancella ogni possibile concezione dell’oggetto in sé, ma questo perché pensa a partire dalla rivoluzione kantiana impostando la sua soluzione in modo un po’ diverso: concepisce cioè un oggetto che è per un soggetto che a sua volta è per l’oggetto, creando un circolo ermeneutico. L’ermeneutica narrativa di Han non rimanda per principio ad uno svelamento infinito senza oggetto in sé, non essendovi indicazioni in tal senso; è piuttosto un’ermeneutica che concepisce il velo come un negativo in senso hegeliano, cioè un negativo che non è solo un limite, ma anche un principio positivo a partire dal quale si dà la tensione che costituisce la conoscenza in senso stretto. Il nostro mondo da Han è considerato post-ermeneutico in quanto predomina completamente l’aspetto additivo: i data, l’informazione, il nudo fatto, il porno. La verità e la conoscenza, nel senso del sapere, secondo Han, presuppongono la narrazione. In questo senso il nostro mondo è senza verità e sapere. Dataismo e informazione non sono solo additività, ma parte integrante di una società del controllo. È qui che Han pensa a partire da Foucault. Foucault parla di una società del controllo, dove il potere ha per oggetto l’amministrazione delle vite dei singoli, in particolare l’amministrazione dei corpi. La psicopolitica cui fa riferimento Han ha per oggetto invece l’anima. La perdita dell’interiore, la pornografia dell’anima ‒ prostituzione volontaria in quanto siamo noi stessi a esteriorizzare i suoi contenuti per cercare di essere sotto i riflettori, per prendere tanti “mi piace” o avere tante visualizzazioni ‒ sono tutti motivi di questa illuminazione dell’anima, illuminazione che cancella la stessa anima, forse perché l’anima esiste solo a partire da un negativo. La nuova psicopolitica è basata, per usare dei termini foucaultiani, su una tecnologia del sé. Il problema è dunque il soggetto, il soggetto che è determinato dalla politica, che si frammenta nei data. Il soggetto è controllato perché prevedibile grazie agli psicodrammi del data maining. Ho parlato di autosfruttamento, riportando sempre il problema al soggetto, per prendere in considerazione anche tutte quelle tecnologie del sé che sono le tecniche di ottimizzazione di sé stessi, spesso spacciate per forme di “cura di sé”. Esse in realtà non hanno nulla a che vedere con delle pratiche come possono essere quelle che si stanno riscoprendo nel capo dell’etica applicata e della consulenza filosofica, ma sono semplicemente delle tecniche da Coach usate per far si che i dipendenti rendano il più possibile e utilizzate anche al di fuori del lavoro, ma solo perché il lavoro sta conquistando l’intero corso della vita. Qui si inserisce Deleuze: cosa ci può essere di più rivoluzionario di un individuo che non può essere classificato, forse persino imprevedibile? Questo soggetto è l’idiota. Deleuze considerava per esempio idioti Cartesio e Socrate. L’idiota è semplicemente quel soggetto completamente scevro da tutte le certezze che hanno gli uomini; solo questo vuoto mentale (il sapere di non sapere ed il dubbio metodico, nei due esempi) può essere l’inizio di una ricerca al di là dei meccanismi del potere. L’idiota comincia sempre da capo; per questo non può essere soggettivato. Esso è concepito da Han come il modello del silenzio cui è contrapposto il mondo dell’informazione e della comunicazione. L’unico dubbio legittimo sull’impostazione del mio argomento può derivare dal fatto che non ho fatto altro che parlare di “servitù volontaria”, quando sembra che Deleuze, partendo da un punto di vista spinozista, non creda che l’uomo sia servo volontario. Deleuze su questo argomento scrive:
È necessario allora parlare di “schiavitù volontaria”? È come per l’espressione “cattura magica”: ha soltanto il merito di sottolineare l’apparente mistero. C’è un asservimento macchinico di cui si potrebbe dire che sempre si presuppone, che appare soltanto come già dato e non è “volontario” più di quanto non sia “obbligatorio”. [38]
Tuttavia è interessante, questione sulla volontà o meno della servitù a parte, che per Han sia proprio la nostra volontà, o, si potrebbe anche dire, il nostro desiderio, ad essere pericolosa in quanto ci fa cadere nelle trame del dataismo. È semplice: basta mettere dei mi piace su Facebook e Facebook conosce già tutti i nostri gusti. Da un lato esso avrà dei dati su di noi che gli permetteranno di codificarci (sapere chi siamo), dall’altro potrà mettere pubblicità su ciò che ci piace, attirare il desiderio trasformandolo in bisogno senza nemmeno farci pensare per un attimo che quello che proviamo in quel momento non è naturale ma indotto. Se è così, il problema è sempre di micro-politica e Han sta aprendo nuovi campi di studio della micro-politica indagando sui nuovi dispositivi di controllo.
Note
[38] G. Deleuze-F. Guattari, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, Castelvecchi, Roma 2010, p. 542.
Bibliografia
W. Benjamin, I passages di Parigi, Einaudi, Torino 2002.
G. Deleuze-F. Guttari, L’Anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia, Einaudi, Torino 2012.
G. Deleuze-F. Guattari, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, Castelvecchi, Roma 2010.
Byung-Chul Han, La società della trasparenza, Figure nottetempo, Roma 2014.
Byung-Chul Han, Nello sciame. Visioni del digitale, Figure nottetempo, Roma 2014.
Byung-Chul Han, Psychopolitik. Neoliberismus und die neuen Machttechniken, Fischer, Francoforte sul Meno 2014.
J.F. Lyotard, La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere, Feltrinelli, Milano 1983.
G. Vattimo, Società trasparente, Garzanti, Milano 1989.
Articolo iniziale: Byung-Chul Han: interprete dei nostri tempi (1)