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Antropologia filosofica novecentesca. Uno sguardo preliminare

Antropologia filosofica novecentesca. Uno sguardo preliminare

Feb 24

 

INTRODUZIONE

Un celebre verso di Friedrich Hölderlin recita così: «ma là dove c’è il pericolo, cresce anche ciò che salva» (in tedesco, wo aber Gefahr ist, waechst das Rettende auch).
Il pericolo è ciò che allarma e mette in guardia; irrompe furiosamente spezzando una certa armonia. Genera tensione, turbamento, caos. È energia caotica, forza che dis-ordina. Esso altera l’equilibrio e, in questo suo alterare, provoca crisi. Ma il pericolo, per sua stessa natura, serba in sé il germe della salvezza. Stringe congiuntamente emergenza e redenzione, distruzione e ricreazione. Da un lato si impone come minaccia, rischio, sventura; dall’altro illumina e schiude nuovi orizzonti di senso. Laddove c’è pericolo, germoglia allora «ciò che salva», ciò che svincola e libera dal pericolo medesimo. È il pericolo a realizzare le condizioni del suo ‘oltrepassamento’. Il pericolo, provocando e frantumando, consente di andare oltre, promuove (sollecita) il cambiamento, la salvezza.
Il ventesimo è stato per la cultura un secolo rivoluzionario, contraddistinto dal perturbante binomio pericolo-salvezza. Con la ‘morte di Dio’ [1] – morte del fondamento ontologico -, l’uomo ha ricompreso d’essere privo di assolute certezze; esse crollano miseramente innanzi alla comprensione che il ‘mondo vero’ è nient’altro che una favola [2], giacché si rivela essere controllato da princìpi menzogneri e superflui. La mancanza di sicurezze, le difficoltà nel rispondere a troppe domande sviluppano una nuova fase storica, un’epoca essenzialmente di crisi – di pericolo e di salvezza.
Tra le questioni primarie che animano il mondo culturale del XX secolo riveste senza dubbio una grande importanza la ‘questione del vivente’ e, in particolar modo, dell’essere umano.
Nella ricerca di ‘nuove’ verità, viene a delinearsi uno stretto legame fra le scienze della natura, in particolare la biologia, e il sapere filosofico. Nascono le premesse per l’affermazione di una mentalità intellettuale ricomprendente, non più isolata e ripiegata su di sé, ma aperta al colloquio e al dialogo interdisciplinare.

L’UOMO COME TEMA E PROBLEMA CENTRALE

«L’antropologia è la teoria dell’uomo» [3]. Con questa affermazione, Arnold Gehlen intende attribuire una dignità scientifica alla materia antropologica. L’antropologia è per lui «teoria», dottrina, analisi meticolosa che ha un chiaro tema e problema centrale: l’uomo (der Mensch), la sua posizione nel mondo (Welt), la sua peculiarità, il suo rapporto con ciò che gli sta più vicino. «In una scienza siffatta – prosegue Gehlen – dovrebbero collaborare parecchie scienze particolari: la biologia, la psicologia, la gnoseologia, la linguistica, eccetera» [4].
L’antropologia così pensata si fa portatrice di una nuova sapienza che, per funzionare adeguatamente, ha bisogno però della collaborazione di molte altre scienze. In questo contesto, nella Germania della prima metà del Novecento fiorisce la corrente culturale dell’antropologia filosofica, i cui esponenti principali [5] sono accomunati soprattutto da una critica radicale al cartesianesimo.
Le idee e gli studi condotti da Descartes e dai suoi allievi sviluppano una concezione dualistica della natura umana. Secondo questa prospettiva, l’uomo è una macchina estesa (res extensa) dotata di spirito immortale (res cogitans). Nello specifico, aspetto fisico e psichico vengono analizzati distintamente. A tal proposito, Helmuth Plessner sottolinea:

Guardando la cosa a grandi linee, si può ben convenire con il giudizio generale che sia stato Descartes a fondamentalizzare la distinzione tra fisico e psichico […]. Egli assunse come principio la distinzione fra res extensa e res cogitans e al tempo stesso le attribuì il carattere di una disgiunzione integrale [6]

Il pensiero dualistico cartesiano scompone l’uomo in due parti dissimili e separate tra di loro. Attraverso un approccio meramente riduzionista, l’uomo viene pensato in quanto sdoppiato, composto, appartenente a due mondi differenti: quello corporeo e quello spirituale.
L’uomo, per Descartes, è un organismo (corpo) organizzato e strutturato secondo certi ritmi:

Suppongo che il corpo altro non sia se non una statua o macchina di terra all’interno della quale siano state collocate tutte le parti richieste perché possa camminare, mangiare, respirare, imitare, infine, tutte quelle nostre funzioni che si può immaginare procedano dalla materia e dipendano soltanto dalla disposizione degli organi [7]

Oltre al corpo, l’essere umano possiede l’anima, il ‘pensiero’, lo ‘spirito’ razionale che lo rende peculiare e differente dagli altri animali non pensanti. Corpo e anima agiscono indipendentemente, con autonomia, non si influenzano a vicenda: il corpo è mosso da propri stimoli organici; l’anima procede attraverso le proprie logiche spirituali, astrattive, ideali.
Il pensiero dualistico viene perciò attaccato dall’antropologia filosofica poiché disgiunge l’uomo in due parti e non lo riconosce/analizza nella sua unità d’insieme, e cioè nella sua inscindibilità.
Accusando Descartes (e i suoi successori) di avere smembrato la realtà vivente riducendola ad un composto sterile, Max Scheler si scaglia contro il meccanicismo cartesiano. Il mondo cartesiano appare ai suoi occhi come una realtà statica determinata da automatismi e procedure standardizzate. Egli annota: «il mondo è costituito esclusivamente da centri “pensanti” e da un poderoso meccanismo il cui studio è oggetto della matematica»[8]. Questa visione bilaterale non solo scinde l’unità umana, ma concorre a generare un frazionamento nell’ambito del sapere e, inevitabilmente, una disgregazione dell’unità scientifica che origina la nascita di vari settori disciplinari specifici: «ebbene sì, l’uomo ha un’anima, e di questa si occupa la psicologia; delle sue forme di espressione si occupano le scienze del linguaggio, la logica e altre scienze dello spirito» [9]. Lo schema dualistico contribuisce quindi alla frantumazione della scienza in una molteplicità di settori. Essa perde, come l’uomo, l’originaria integrità.

LA NATURA DELL’UOMO E IL SUO «PRINCIPIO»

La genesi dell’antropologia filosofica novecentesca è fortemente legata al 1928.

Nel 1928 fu pubblicata una breve opera del filosofo Max Scheler dal titolo Il posto dell’uomo nel cosmo. Apparve nell’anno della morte di questo famoso filosofo e provocò una notevole e sorprendente svolta, in quanto interpretava l’uomo non in paragone o in rapporto a Dio ma in relazione alla differenza essenziale tra uomo e animale. [10]

La svolta di cui parla sopra Gehlen è essenzialmente un cambiamento di direzione che apre ad una via originale, un modo nuovo di ‘problematizzare’, ad un rapportarsi differentemente alla domanda circa l’essere dell’uomo. La svolta, ovverosia, è metodologica. Essa innesca una pura rivoluzione biologica, fisica, descrittiva, è un ribaltamento teleologico in grado di condurci verso una «teoria» dell’uomo – sull’uomo. L’uomo non è più interpretato in relazione a Dio, bensì all’animale: questa è la svolta. Il rapporto e la differenza tra ‘uomo’ e ‘animale’ sta alla base della principale domanda antropologica: che cos’è l’uomo? La risposta chiama in causa la distinzione tra l’ambiente animale (die Umwelt), circoscritto, sicuro, centrato, e il mondo ‘culturale’ umano (die Welt), in evoluzione, da definire e progettare (istituzionalizzare). Tale distinzione ricalca di fatto la separazione condotta da Gehlen e da Plessner – e prima ancora da Max Scheler – tra un essere ‘chiuso’, circoscritto in quel determinato ambiente naturale, e un essere ‘aperto al mondo’ (weltoffen) in grado di svincolarsi dalla pressione biologica, estraniandosi dalla purezza organica, prendendo le distanze dal questo immediato. In ciò consiste la distinzione tra ambiente e mondo, Umwelt e Welt, ambiente animale e mondo umano. La particolarità dell’uomo, ovvero la risposta al «che cos’è l’uomo?», sta nella sua capacità di apertura verso il proprio esterno: solo così egli si pone come l’unico essere al mondo in grado di separarsi da una ‘zona circostante’ (per questo nell’uomo non è possibile parlare di una delimitata Umwelt).
In un’epoca vacillante e carica di incertezze, matura all’interno dell’antropologia filosofica la necessità di definire la natura dell’uomo (e tutto ciò che lo circonda) a partire da un principio unitario, quello che Scheler chiama ‘principio di indifferenza psicofisica’. «Vi è un’unica e medesima vita che possiede una struttura che è psichica quando è interiore e fisica quando è esteriore» [11]. Il ‘principio di indifferenza psicofisica’ è la risposta-reazione al dualismo cartesiano per mezzo della quale si afferma una nuova immagine dell’uomo. Il profilo dell’uomo e il suo contesto sono ripensati tramite un approccio interdisciplinare che promuove il dialogo tra le discipline e che sviluppa un percorso di formazione trasversale alle discipline stesse. Questo metodo permette di approfondire meglio rapporti, relazioni e intrecci tra l’uomo e il suo mondo, i viventi, le cose. L’uomo, non più scisso al suo interno, torna pertanto ad essere pensato e studiato nella sua totale unità e riposizionato nel regno dell’organico.
Scrive Vallori Rasini [12]: «La vita è di per sé psicofisicamente neutrale, poiché le sue espressioni sono a un tempo fisiche e psichiche, coinvolgono cioè tanto l’aspetto fisico quanto quello psichico di ogni organismo» [13]. Per Scheler il carattere dei due aspetti, psichico e fisico, è teleologico. Entrambi, cioè, producono vita, la determinano, hanno l’obiettivo univoco di realizzare la vita come scopo ultimo. Per tale ragione, «processo fisiologico e quello psichico sono rigorosamente identici dal punto di vista ontologico» [14]. L’unica distinzione investe il piano fenomenico, ovvero letteralmente il piano del fenomeno (Erscheinung), di ‘ciò che appare’ e si dà hic et nunc, il piano del loro apparire. ‘Fisiologico’ e ‘psichico’, dunque, esprimono due modalità diverse di «un unico e medesimo processo vitale» [15], processo che regola e dona ordine ad ogni apparire del fenomeno biologico.

 

Note

[1] Ne La gaia scienza (1882), nel brano numero 125 intitolato L’uomo folle, Nietzsche fa pronunciare ad un personaggio la morte di Dio. Il Dio che è morto non è banalmente il Dio della religione, del pietismo, della fede. La morte di Dio è invece per Nietzsche la fine di un intero sistema – quello metafisico -, del suo fondamento (archè), del suo motore; la morte di ciò che vi era di più alto e potente – del ‘padrone del mondo’.

[2] Come il mondo vero finì per diventare favola è il titolo di un aforisma scritto da Nietzsche nel Crepuscolo degli idoli (1888).

[3] GEHLEN A., Prospettive antropologiche. L’uomo alla scoperta di sé, ed. it. a cura di V. Rasini, il Mulino, Bologna 2005, p. 21.

[4] ID., L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, trad. it. di C. Mainoldi, Feltrinelli, Milano 1990, p. 38.

[5] Il riferimento è a Max Scheler (1874-1928), Helmuth Plessner (1892-1985) e Arnold Gehlen (1904-1976).

[6] PLESSNER H., I gradi dell’organico e l’uomo. Introduzione all’antropologia filosofica, ed. it. a cura di V. Rasini, Bollati Boringhieri, Torino 2006, p. 97.

[7] DESCARTES R., L’uomo, in Opere filosofiche, ed. it. a cura di E. Garin, Laterza, Roma-Bari 1967, p. 205.

[8] SCHELER M., La posizione dell’uomo nel cosmo, ed. it. a cura di M. T. Pansera, Armando, Roma 1997, p. 173.

[9] GEHLEN A., Prospettive antropologiche, cit., p. 28.

[10] Ibidem.

[11] SCHELER M., La posizione dell’uomo nel cosmo, cit., pp. 160-1.

[12] Vallori Rasini insegna Filosofia morale presso il Dipartimento di Studi Linguistici e Culturali dell’Università di Modena e Reggio Emilia.

[13] RASINI V., L’essere umano, cit., p. 45.

[14] SCHELER M., La posizione dell’uomo nel cosmo, cit., p. 175.

[15] Ivi, p. 178.

 

Riferimenti bibliografici. Per una ricerca più approfondita

GEHLEN A., L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, trad. it. di C. Mainoldi, Feltrinelli, Milano 1990.

ID., Prospettive antropologiche. L’uomo alla scoperta di sé, ed. it. a cura di V. Rasini, il Mulino, Bologna 2005.

PLESSNER H., I gradi dell’organico e l’uomo. Introduzione all’antropologia filosofica, ed. it. a cura di V. Rasini, Bollati Boringhieri, Torino 2006.

RASINI V., L’essere umano. Percorsi dell’antropologia filosofica contemporanea, Carocci editore, Roma 2008.

SCHELER M., La posizione dell’uomo nel cosmo, ed. it. a cura di M. T. Pansera, Armando, Roma 1997.

 

 


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