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Osservare l’arte tra esperimenti e creazione. Possibilità e limiti di una sperimentazione estetica (2)

Osservare l’arte tra esperimenti e creazione. Possibilità e limiti di una sperimentazione estetica (2)

Ago 28

 
Articolo precedente: Osservare l’arte tra esperimenti e creazione. Possibilità e limiti di una sperimentazione estetica (1)
 

A. Dall’estetica sperimentale alla sperimentazione estetica

Se dovessimo seguire unicamente la linea indicata dal contributo della psicofisica fechneriana, ci troveremmo a dover escludere interamente la dimensione qualitativa dell’esperienza estetica. Ridurre a misurazioni geometrico-matematiche le relazioni che intercorrono tra le caratteristiche di un’opera e i modi differenti di osservare ed implementare tali caratteristiche è un’operazione che porta ad obliare tutto il valore espressivo dell’arte. Come scrive Husserl in riferimento all’errore di Galileo, un simile atteggiamento porta ad una «matematizzazione dei plena» [3], delle qualità che “riempiono” un oggetto e che, in questo modo, lo fanno essere ciò che è.

Per questo motivo, si proporrà di sostituire, ad un’estetica sperimentale che misura e quantifica, una riflessione più ampia e globale che ritrovi nella particolare fase di sperimentazione estetica una chiave di lettura in grado di riproporre, in maniera originale e nuovamente consapevole, i valori qualitativi ed espressivi dell’esperienza estetica. Ai fini di una simile operazione, si renderà necessario analizzare la duplicità intrinseca alla dimensione dello sguardo – lo sguardo dell’osservatore rivolto all’opera e lo sguardo che ritorna «sempre di nuovo» al sé – e, successivamente, approfondire una delle qualità essenziali dell’esperienza artistica tout court, il valore creativo-poietico e dinamico dell’arte: realizzare un’opera è «fare arte», mettere mano ad un lavoro concreto sulla natura e su di sé. Si ricordi, a questo proposito, una bellissima frase di Michel Foucault, risalente ad una delle ultime interviste concesse nel 1984:

L’idea del bios come materiale per un’opera d’arte estetica è qualcosa che mi affascina. [4]

Fare di sé un capolavoro, trattare la propria vita come una tela su cui raffigurare un’immagine che seduca, che affascini, che riproduca fedelmente la vita del filosofo: la poiesis artistica si unisce al tentativo – tipico dell’ultimo Foucault – di recuperare una certa padronanza di sé, di conoscere il valore della propria vita a partire da un lavoro continuo e indefinito sui propri limiti, da una perenne cura di sé.

Nel momento in cui l’arte prende corpo – acquista corporeità – è chiaro che la riflessione si estende alla dimensione cinetica: se, da un lato, il movimento è la caratteristica che, più di tutte, si presta ad una facile misurazione, dall’altro si tratta di riflettere su gesti e movenze che tendono alla spersonalizzazione, all’irregolarità, alla continua variazione. Per questo motivo, il concetto di macchina attoriale, messo in scena da Carmelo Bene e su cui ha riflettuto puntualmente Gilles Deleuze, costituirà un punto di riferimento imprescindibile per una riflessione che trova proprio nella sperimentazione il suo snodo cruciale.

Volendo presentare schematicamente i punti fondamentali di tale analisi, indicheremo le seguenti linee di sviluppo:

  1. il primo incontro: lo sguardo di un osservatore sull’opera d’arte;
  2. l’emozione estetica: lo sguardo rivolto a sé;
  3. fare arte: la prassi artistica come kinesis (movimento di plasmazione di forme).

In primo luogo, l’analisi della relazione diretta tra opera d’arte e osservatore porterà ad una lettura dei contributi dati da quegli autori che si sono soffermati su una concezione dell’arte come metodo, in particolare – seguendo la definizione di Denis Diderot, come «metodo di interpretazione qualitativa della natura». L’artista rivela un ruolo assolutamente attivo e di primo piano nel decifrare, nel portar fuori elementi e caratteri del mondo naturale, e nel saperli tradurre in opera. Allo stesso modo, l’osservatore non si limita a ricevere acriticamente ciò che l’artista ha voluto comunicare, ma cerca di decodificare continuamente il linguaggio geroglifico dell’opera.

In secondo luogo, questa enigmaticità del linguaggio artistico ci porterà a considerare l’introspezione come secondo momento dello sguardo di un osservatore. La visione di un’opera genera tutta una serie di sensazioni ed emozioni che sono difficilmente esprimibili su di un mero piano logico e razionale, ma che afferiscono ad una dimensione che trascende persino la coscienza. Gli studi di derivazione psicoanalitica aiutano, in questo senso, ad entrare in contatto con il linguaggio dell’inconscio: un’estetica psicoanalitica deve saper decodificare questo linguaggio nel momento in cui esso si esplicita nelle più differenti manifestazioni artistiche. In particolare, nel momento in cui l’arte cessa di riprodurre fedelmente il reale, il registro del Simbolico prende il sopravvento: l’inconscio, che, come scrive Lacan, è «strutturato come un linguaggio», parla, si esprime attraverso segnali e rinvii sempre differenti. Si vedrà, proprio con Lacan, come la «pratica dell’arte» si leghi a tre forme diverse di “estetica” [5], che avremo modo di introdurre successivamente.

L’idea di una “pratica” artistica introduce al terzo punto fondamentale, quello della dimensione poietica e cinetica dell’arte: il termine più rilevante è, in questo caso, quello di gesto. Un termine che si può declinare seguendo due diversi livelli d’analisi: un piano empirico-trascendentale che, dalle opere di carattere eminentemente estetico di Deleuze [6], ci porta ad analizzare i segni dell’Arte; un piano etico-critico che consideri il gesto come un elemento formativo, come una “soglia” tra ordine culturale e ordine naturale, come gesto di umanità. Da questo punto di vista, il gesto artistico non è altro che il sintomo della ricerca di un senso originario: l’arte mette in discussione i fondamenti della cultura e, tramite i suoi gesti, ricerca un senso pre-concettuale e pre-culturale.
 

Note

[3] E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Il Saggiatore, Milano, 2008, p. 63.

[4] M. Foucault, Sulla genealogia dell’etica, in La ricerca di M. Foucault, a cura di H. Dreyfus e P. Rabinow, Ponte alle Grazie, Firenze, 1989, p. 308

[5] Estetica del vuoto, estetica anamorfica ed estetica della lettera.

[6] Marcel Proust e i segni, Un manifesto di meno e i due volumi dedicati al cinema, L’immagine-movimento e L’immagine tempo.
 
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