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Osservare l’arte tra esperimenti e creazione. Possibilità e limiti di una sperimentazione estetica (1)

Osservare l’arte tra esperimenti e creazione. Possibilità e limiti di una sperimentazione estetica (1)

Ago 21

 
Nota redazionale:Dopo la pubblicazione su Filosofia Blog, questo articolo è stato inserito nel volume Sulla modernità estetica, a cura di Manuel Pezzali, che raccoglie saggi, articoli, relazioni e interventi realizzati dal nostro collaboratore negli ultimi anni di studi universitari. Il volume è disponibile online su Lulu, Amazon, Barnes & Nobles.
 

In un ambiente culturale caratterizzato dal proliferare di settori disciplinari sempre più specializzati e autosufficienti e dal predominio di un principio concorrenziale che segue più la logica e le dinamiche del mercato che non le leggi della storia e della cultura, uno studio di carattere propriamente filosofico sul rapporto tra individuo e mondo sembra non poter fare a meno di confrontarsi con l’apporto dato dalle emergenti discipline scientifiche. La peculiarità del nostro tempo è data dalla concretizzazione delle parole di un famoso epistemologo francese, Georges Canguilhem:

La filosofia è una riflessione per la quale ogni materia estranea è buona; anzi, potremmo dire: per la quale ogni buona materia deve essere estranea.

Pur essendo dotata di uno sguardo globale, panoramico, esteriore rispetto agli avvicendamenti in seno al quadro scientifico con cui si trova, di volta in volta, a convivere, la filosofia, per sopravvivere, deve saper trarre ciò che di buono queste nuove scienze hanno saputo proporre. Allo stesso modo, quella particolare disciplina filosofica, che va sotto il nome di estetica, e che, dall’opera di Alexander Gottlieb Baumgarten, è definita come «scienza della conoscenza sensibile», non può evitare di confrontarsi con uno sguardo e un modus operandi scientifici. Come scrive Carlo Sini, si tratta di cogliere il «destino di verità» [1] che la conoscenza scientifica reca con sé, rispondendo ad una visione complessiva del sapere filosofico che non si limiti ad accogliere acriticamente i risultati e i progressi delle scienze o che aspiri ad un nostalgico ricordo dell’antico splendore della filosofia, ma che sappia ritrovare, in entrambi gli atteggiamenti, l’originario nesso tra uomo e mondo. È questa un’idea che possiamo ritrovare in alcune bellissime pagine dello Zibaldone di Giacomo Leopardi, dove il poeta parla di un’ultrafilosofia che «conoscendo l’intiero e l’intimo delle cose, ci ravvicini alla natura».

Di conseguenza, se vogliamo effettivamente confrontare la tradizione dell’estetica occidentale con i contemporanei progressi delle discipline scientifiche, non possiamo fare a meno di notare come un significativo contributo sia stato dato, in seguito alla scoperta dei neuroni specchio da parte dell’èquipe di ricercatori guidata da Giacomo Rizzolati, da un approccio neuroscientifico. Lo studio di stimoli e risposte a livello cerebrale, applicato in un’area di ricerca che è stata tradizionalmente di pertinenza dell’estetica, ha permesso di fornire una serie di spiegazioni ai meccanismi della partecipazione empatica, dei rapporti intersoggettivi, degli stimoli percettivi dati da suoni, luci, colori, forme, sapori. Sebbene questa scoperta abbia avuto un’enorme risonanza in ambito accademico e sia stata presentata come un vero e proprio «balzo in avanti» nella ricerca, va altresì ricordato che si tratta di un contributo che, restringendosi forzatamente allo studio di precise aree della corteccia premotoria, presenta un carattere fortemente “riduzionistico”. Esperienze, come il confronto tra popoli, storie e culture differenti, la visione di un capolavoro dei pittori fiamminghi, la condivisione di un particolare stato d’animo con un amico, vengono effettivamente ridotte all’azione di un tipo particolare di neuroni che si attivano quando un individuo compie un particolare gesto o movimento e osserva quel medesimo gesto compiuto da qualcun altro. Evidentemente, da questo tipo di osservazione, che risponde ad un’istanza di misurazione e quantificazione di stimoli e reazioni, risultano esclusi diversi aspetti prettamente qualitativi dell’esperienza umana in generale, e, più specificatamente, dell’esperienza estetica.

D’altra parte un simile modo di procedere non è esclusivo del paradigma neuroscientifico o cognitivistico, ma ha radici ben più antiche: esso trova infatti un primo modo di manifestarsi e di svilupparsi in quegli studi di psicologia scientifica dedicati all’arte e alle singole percezioni che l’individuo ha del mondo. Una ricerca “dal basso” che, dalle opere di Wilhelm Wundt e Hermann Von Helmholtz, conduce direttamente alle riflessioni, in ambito fisico e psicologico, di Gustav Theodor Fechner, che in un’opera del 1860, Elementi di psicofisica, propone un’originale analisi del rapporto tra l’esperienza cosciente dell’individuo e le proprietà del mondo fisico. L’estetica sperimentale di Fechner risponde ad

una linea di pensiero che da Platone ai giorni nostri, ha scommesso sul fatto che la bellezza e la gradevolezza visiva delle cose, essendo geometricamente misurabile, sia anche razionalmente applicabile e possa quindi garantire almeno fino a un certo livello il risultato estetico di un’opera fosse un semplice manufatto artigianale o fosse un prodotto artistico. [2]

L’obiettivo di un tale indirizzo di ricerca è lo studio di “elementi costitutivi minimi”, di componenti elementari, di piccole porzioni di mondo, che spieghino determinate reazioni di piacere o dispiacere da parte di un osservatore. Per fare questo, Fechner intraprende una rigida procedura sperimentale, che passa attraverso le tre fasi di scelta, produzione e applicazione: nella prima fase, ad un soggetto viene fornita una serie di stimoli estetici, tra cui egli deve indicare quale di essi susciti una maggiore quantità di gradimento. In secondo luogo, il soggetto deve adeguare un dato stimolo alle proprie esigenze o produrne uno in grado di soddisfare il proprio gusto. Infine, l’applicazione consiste nella stesura di un’analisi statistica che indichi le caratteristiche formali di un’opera d’arte ed eventuali connessioni tra di esse.
 

Note

[1] C. Sini, Le arti dinamiche. Filosofia e pedagogia, CUEM, Milano, 2003, p. 203.

[2] M. Massironi, L’osteria dei dadi truccati. Arte, psicologia e dintorni, Il Mulino, Bologna, 2000, citato in https://psicologiaearte.wordpress.com/tag/estetica-sperimentale/.
 
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