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L’interferenza simbolica tra Cassirer e Duchamp

L’interferenza simbolica tra Cassirer e Duchamp

Dic 18

 

 

«L’uomo non si trova più direttamente di fronte alla realtà; per così dire, egli non può più vederla faccia a faccia. La realtà fisica sembra retrocedere via via che l’attività simbolica dell’uomo avanza. Invece di avere a che fare con le cose stesse, in un certo senso l’uomo è continuamente a colloquio con se medesimo» [1].

Secondo Ernst Cassirer, il simbolo costituisce per l’uomo la possibilità di gestire la realtà secondo un proprio ordine. Entro questa concezione la visione diretta e involontaria delle “cose” cede il posto a quella Weltanschauung, che nel mezzo simbolico trova uno strumento funzionale alla propria attuazione.

Per comprendere il simbolo nella nuova accezione che Cassirer offre in Filosofia delle forme simboliche, opera di ampio respiro pubblicata in tre volumi dal 1923 al 1929, potrebbe rivelarsi utile un accenno alla definizione classica del termine, ovvero quella che viene elaborata in seno alle comunità greche.

Il συμβάλλειν, il cui significato è “mettere insieme”, sta ad indicare l’incontro tra due parti, configurandosi come medio attraverso cui è possibile una condivisione. Il motivo per cui si sottolinea questo carattere duale del simbolo, si deve al fatto che nell’Antica Grecia esso serviva come prova di un accordo. Il simbolo poteva essere rappresentato, ad esempio, da un vaso di terracotta che veniva rotto in due pezzi, per ricordare ad ognuno dei soggetti il proprio coinvolgimento. Il simbolo, quindi, pur avendo carattere convenzionale era riconosciuto in quanto ente oggettivo e materiale, il cui significato favoriva un’intesa reciproca.

Il simbolo cassireriano, pur mantenendo questo carattere convenzionale e relazionale, è più di un promemoria oggettuale; esso dispone di un potere evocativo, grazie al quale la conoscenza non dipende dalla presenza di ciò cui ci si riferisce. In altre parole, il simbolo si fa rappresentante di un contenuto inaccessibile e di cui è impossibile disporre ogniqualvolta lo si voglia.

Prendiamo l’esempio del linguaggio. Le parole, pur essendo limitate a un significato particolare e comprese entro un codice linguistico, liberano la comunicazione da ogni condizione spazio-temporale che bloccherebbe il soggetto parlante in un eterno presente e in un luogo fisso: è possibile grazie al carattere simbolico del linguaggio, parlare di ciò che non è alla portata di mano nell’immediato, o di uno stato d’animo che ci apparteneva solo in passato, o ancora di una prospettiva futura.

Il simbolo, da quello più intuitivo a quello più teoretico, non fonda la propria “esistenza” in una realtà fattuale che si esaurisce hic et nunc, costituendo il paradigma universale della conoscenza, in quanto

esso non è, al pari della semplice sensazione data, un fatto assolutamente singolo e irripetibile, ma si presenta come rappresentante di una totalità, di un complesso di contenuti possibili, di fronte a ciascuno dei quali esso rappresenta quindi un primo “universale” [2].

Ma per costruire una conoscenza meno condizionata dall’esperienza sensibile e aspirare così a una rappresentazione universale di essa, è necessario interferire lo spazio che si estende tra la coscienza e le cose, per osservare quest’ultime con più lucidità e trovarne il simbolo corrispettivo. La distanza, provocata dall’interferenza simbolica, non è altro che la condizione indispensabile per garantire quell’emancipazione del pensiero, che si realizza mediante

la definitiva rottura con la semplice esistenza e con la sua “immediatezza” [3].

Si potrebbe intendere, quindi, questa interferenza come un ostacolo che se da una parte rallenta i contatti tra uomo e realtà, dall’altra permette un’inclusione più profonda di quest’ultima, attraverso quei simboli che sono in grado di confluire la molteplicità del contenuto sensibile secondo un ordine universale, in modo da renderlo declinabile a diversi contesti.

La sposa messa a nudo dai suoi scapoli, o anche Grande vetro (1915-1923), di Marcel Duchamp, offre un interessante corrispettivo figurativo al concetto di interferenza simbolica, oltre a costituire un’opera artistica ricca di suggestione, in quanto si caratterizza per una pittura applicata su una grande e vistosa lastra di vetro trasparente. Al di là del significato specifico dell’opera, quello che risulta interessante trattare in questa sede è quella modalità particolare di pensare l’arte, che ha condotto Duchamp alla composizione del Grande Vetro.

L’artista francese si oppone, infatti, a quella “pittura retinica” che riduce l’esperienza artistica alla percezione sensibile, perché

Duchamp fin dall’inizio fu un pittore di idee

il quale, continua Octavio Paz,

non cedette mai all’insidia di concepire la pittura come un’arte puramente manuale e visiva [4].

Il Grande Vetro svela al fruitore dell’opera artistica una realtà visibile solo alla luce della sovrapposizione dei simboli raffigurati lungo la lastra trasparente, la quale risulta indispensabile al fine di inscrivere l’ambiente circostante entro il contenuto artistico:

la trasparenza del vetro permetteva così di non vedere soltanto l’opera ma anche il contesto, assorbendolo come su di un’unica superficie [5].

Nonostante il Grande Vetro includa lo spazio in cui trova accoglienza, la distanza tra chi osserva e il mondo che si estende oltre l’opera continua a sussistere. Ciò si deve al fatto che i simboli riportati non facilitano la “visione” diretta delle cose, richiedendo all’osservatore lo sforzo di abbandonare quei riferimenti di cui la retina non può fare a meno. Questi stessi simboli, inoltre, giocano su un doppio livello di significazione: essi sono codici definiti dall’autore, conservando tuttavia la predisposizione a essere ogni volta interpretati nuovamente. La storia raccontata sul Grande Vetro, di conseguenza, non può essere colta immediatamente, in quanto nei simboli risulta ulteriormente difficile rintracciare il referente reale che li ha ispirati.

Così si ci trova di fronte a congegni che, lontani da quanto viene percepito, si affermano come prodotti culturali non esistenti in natura, creati per recuperare tutto quello che le capacità conoscitive umane non riescono a catturare:

ogni forma non è che la proiezione nel nostro mondo di un oggetto la cui essenza ci è inafferrabile; ogni colore non è che l’apparizione negativa di una fonte luminosa a noi invisibile [6].

In linea con la teoria di Cassirer, anche nel caso del Grande Vetro l’interferenza simbolica sembrerebbe il risultato di una frustrazione che l’uomo converte in una risorsa, per cui l’impossibilità di cogliere l’essenza delle cose, diventa “luogo” privilegiato del pensiero, dove la cultura può trovare piena espressione.

L’interferenza simbolica nasce dalla consapevolezza del limite che caratterizza l’uomo e il suo rapporto rispetto a una realtà che rimane in ultima istanza sconosciuta, ed è questo il motivo per cui come afferma Cassirer,

la mente giunge a un’autentica comprensione soltanto quando non riproduce un’esistenza esteriore, ma dove “esplica” se stessa e la propria essenza [7].

I simboli hanno una loro indipendenza logica dalla realtà, che permette all’uomo di vivere e comprendere meglio le cose [8], anche se queste esistono al di fuori della coscienza.

 

Note

[1] E. Cassirer, Saggio sull’uomo, Armando, Roma 2009, p. 80.

[2] E. Cassirer, Filosofia delle forme simboliche, I: Il linguaggio, La Nuova Italia, Firenze 1961, p. 25.

[3] E. Cassirer, Filosofia delle forme simboliche, III tomo II: Fenomenologia della conoscenza, La Nuova Italia, Firenze 1966, p. 7.

[4] O. Paz, Apparenza nuda, Abscondita, Milano 1976, p. 18.

[5] C. Subrizi, Introduzione a Duchamp, Laterza, Roma-Bari 2008, p. 95.

[6] J. Clair, Marcel Duchamp il grande illusionista, Abscondita, Milano 2003, p. 43.

[7] E. Cassirer, Individuo e cosmo nella filosofia del Rinascimento, La Nuova Italia, Firenze 1935, p. 48.

[8] È interessante, a questo proposito, la traduzione tedesca del termine oggetto, ovvero Gegenstand; questa parola è composta dalla preposizione gegen, “contro”, e Stand, “posizione”.

 

Bibliografia

  • E. Cassirer, Filosofia delle forme simboliche, I: Il linguaggio, La Nuova Italia, Firenze 1961.
  • E. Cassirer, Filosofia delle forme simboliche, II: Il pensiero Mitico, La Nuova Italia, Firenze 1964.
  • E. Cassirer, Filosofia delle forme simboliche, III tomo I: Fenomenologia della conoscenza, La Nuova Italia, Firenze 1967.
  • E. Cassirer, Filosofia delle forme simboliche, III tomo II: Fenomenologia della conoscenza, La Nuova Italia, Firenze 1966.
  • E. Cassirer, Saggio sull’uomo, Armando, Roma 2009.
  • E. Cassirer, Sostanza e Funzione, La Nuova Italia, Firenze 1973.
  • J. Clair, Marcel Duchamp il grande illusionista, Abscondita, Milano 2003.
  • M. Duchamp, Scritti, Abscondita, Milano 2005.
  • M. Ferrari, Ernst Cassirer: dalla scuola di Marburgo alla filosofia della cultura, Firenze, L.S. Olschki, 1996.
  • N. Janz, Globus Symbolicus: Ernst Cassirer un épistémologue de la troisiéme voie?, Parigi, Kimé, 2001.
  • I. Kajon, Il concetto dell’unità della cultura e il problema della trascendenza nella filosofia di Ernst Cassirer, Roma, Bulzoni, 1984.
  • O. Paz, Apparenza nuda, Abscondita, Milano 1976.
  • A. Poma, Il mito nella filosofia delle forme simboliche di Ernst Cassirer, Torino, Filosofia, 1981.
  • G. Raio, Introduzione a Cassirer, Roma-Bari, Laterza 1991.
  • C. Subrizi, Introduzione a Duchamp, Laterza, Roma-Bari 2008.

 

 


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