Una poesia cristologica antiariana di Gregorio di Nazianzo (seconda parte)
Una poesia cristologica antiariana di Gregorio di Nazianzo (seconda parte)
Mag 16Se una generazione, ordunque, il Verbo
ha, e non ha il Padre nulla di corporeo,
dimostrato sarà che è incorporeo ‒
intelletto non v’è tanto insolente
tra gl’uomini da non pensarlo ‒ e Dio
Figlio così tu hai, la degna gloria
del genitor. Ma se, recando cosa
gradita alla deità del grande Padre
follemente ed in sen vano timore
incidendo, tu la generazione
negassi e poi gettassi Cristo tra
le creature, d’entrambi la deità
violenteresti, o mentecatto, quello
dirimendo dal Figlio, il quale Dio
non è, se lo creò. Infatti quel che
non era un tempo, tutto ciò da loro
vien; quand’anche qualcosa permanente
e salda nei pensieri grandi sia
di Dio. E che pensier è questo? Tu
provieni, eccellentissimo, da qui
e poi per la passion di Cristo Dio
divieni, ma lo metti in ceppi e lo
proclami tuo compar di schiavitù,
anziché Dio, onorato con i premi
di schiavitù. Se poi quale strumento
nobile lo creò il gran Dio ‒ al pari
d’un fabbro che lavora ad un martello
per un carro ‒ affinché Dio abbia me,
opra del Primogenito, così
la creatura sarebbe assai migliore
pur di Cristo celeste, se per lei
il Verbo sussistesse, non per Cristo
quella. Chi mai potrebbe dire questo?
Se, perché assunse corpo soccorrendo
i patimenti tuoi, per ciò porrai
dei limiti pur alla gran deità,
peccò chi fu pietoso con te? Invece
per me ancor più ammirabile è: non perse
della divinità infatti alcunché
e mi salvò qual medico su piaghe
maleodoranti chino. Mortal, Dio
era però. Di David stirpe, ma
fattor d’Adam. Benché incarnato, estraneo
al corpo. Da una madre nato, ma
vergine; circoscritto, tuttavia
immenso. Una spelonca l’ospitò,
eppur ai Magi fu guida una stella,
e giunsero recando doni e flessero
le ginocchia. Qual uomo nella lotta
entrò, ma superò quale indomabile
il tentator in triplice certame;
il vitto fu imbandito, e ne nutrì
migliaia, ed in vin l’acqua mutò.
Fu battezzato, ma purificò
i peccatori, ma acclamato fu
dalla tonante voce dello Spirito
Figlio d’Imprincipiato; qual mortale
accolse il sonno, e quale Dio il mare
addormentò. Pur stanco alle ginocchia,
a infermi conferì forza e ginocchia.
Pregò; ma chi esaudì gli scongiuranti
ammalati? Fu sì sacrificale
vittima, ma pur sommo sacerdote;
sacrificator, ma anche Dio. Offrì
il sangue a Dio e il cosmo tutto quanto
purificò. E la croce l’elevò,
ma il peccato fissato fu ai chiodi.
Ma perché ogni cosa devo dire?
Coi morti si mischiò, resuscitò
dai morti, ma resuscitò dapprima
i morti: quel è proprio di miseria
umana, questo del disincarnato
divizia. E tu la divinità
non disdegnare ai mortali, ma
con essa illustra la terrena forma,
che per te informò il Figlio incorruttibile.