Sul filo dell’attesa del sacrificio di musikè alla silente ragione. Un breve viaggio nella filosofia della musica di Platone (2)
Sul filo dell’attesa del sacrificio di musikè alla silente ragione. Un breve viaggio nella filosofia della musica di Platone (2)
Apr 29
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3. La funzione pedagogica di musikè e la sua “passata al setaccio”, fra aulos e armonie
Naturalmente, per Platone la musica deve avere principalmente funzione pedagogica. Nel libro II della Repubblica, ad esempio, dopo aver detto in 376c che:
Filosofica dunque e collerica e pronta e forte sarà la natura del nostro futuro perfetto difensore della città [1],
Platone afferma, in 376e, che l’educazione dei guardiani della città debba consistere in ginnastica per il corpo e musica per l’anima e che, tra le due, bisogna incominciare con la musica perché, se in essa sono inclusi i discorsi, nel loro novero sono compresi discorsi veri, ma anche discorsi falsi. Verso la fine del II libro Platone dirà che è necessario espungere dalla città tutte le opere poetiche che danno un’immagine distorta di dèi ed eroi, presentandoli viziosi e malvagi. Ciò, dunque, riguarda anche la musica poiché, come ben spiega Gastaldi, «l’accompagnamento musicale è da sempre parte integrante dell’esecuzione poetica: l’inserimento dei testi in una struttura melodica e ritmica è un supporto indispensabile all’apprendimento mnemonico, che prescinde normalmente dal riferimento alla parola scritta, e concorre inoltre a rendere più efficace il messaggio comunicato dal poeta, coinvolgendo allo stesso modo esecutori e spettatori» [2].
La musica stessa va perciò passata al setaccio e scandagliata a fondo nel messaggio che esprime. Che, gli dèi non vogliano, causi danni educativi irreparabili! Si tratta allora di selezionare e di operare una scelta del materiale. Perciò anche nel III libro Platone torna sull’argomento e, a partire da 398b, afferma che l’educazione dei guardiani deve passare anche attraverso un’educazione musicale che miri a un ideale di bellezza e armonia. Si sofferma dunque sulle componenti della musica: parola, melodia, ritmo (398d). Tra esse, la priorità delle parole sugli altri componenti è un dato, arcaico, indiscusso, e Platone, da ben noto conservatore, lo ribadisce per «impedire che la componente musicale rivendichi la sua autonomia e la sua supremazia rispetto alla parola, ben consapevole che quest’opera di usurpazione è ormai in atto e sembra risultare vincente» [3].
Nelle Leggi [4] viene esplicitato il collegamento fra la libertà eccessiva dalle leggi musicali, e la non osservanza delle leggi della città che ne distrugge l’equilibrio e l’armonia [5] e anche nel IV libro della Repubblica si dice pericoloso lo sperimentalismo musicale, poiché è la musica la prima forma con la quale e attraverso la quale i giovani apprendono le regole dell’armonia, che poi dovranno accogliere e accettare nella vita politica. Da escludere sono dunque le armonie “lamentose”, da prediligere invece le armonie dei modi dorico e frigio – «la violenta e la spontanea [6]» – più adatte ai guerrieri di una kallipolis: quello dorico, infatti, ha da sempre celebrato i guerrieri di Sparta, quello frigio, invece, sarebbe capace di generare nell’anima saggezza e moderazione, placare passioni e portare all’autocontrollo [7]. Aristotele obietterà alla predilezione di Platone per l’armonia frigia [8]: secondo lui impiegherebbe gli effetti passionali del flauto. Gastaldi, tuttavia, sottolinea che «l’accettazione dell’armonia frigia da parte di Platone comporta preliminarmente la messa al bando dell’aulos, e di conseguenza l’esecuzione delle melodie con strumenti a corde» [9].
Si valutano dunque le armonie in base al loro potere evocativo [10]. Ma perché il flauto in realtà porterebbe a pessimi effetti sull’anima? Perché ha uno stretto legame con il mondo orientale e viene spesso contrapposto alla cetra di Apollo che, assieme alla lira, costituisce lo strumento “principe” del cittadino greco [11].
Note:
[1] Platone, La Repubblica, traduzione e commento a cura di Vegetti M., Vol. II, Bibliopolis, Napoli 1998, p. 70.
[2] Gastaldi, in Platone, La Repubblica, ed. cit., p. 374.
[3] Eadem, in Ivi, p. 381.
[4] Leg. III 700a sgg.
[5] Il corsivo è mio.
[6] Platone, La Repubblica, 399c, ed. cit., p. 113.
[7] Cfr. Gastaldi, in Platone, La Repubblica, ed. cit., p. 378.
[8] In Pol. VIII 5-7 1342a-b.
[9] Gastaldi, in Ivi, nota a p. 378.
[10] Cfr. Gastaldi, in Ivi, p. 376.
[11] Cfr. Eadem, in Ivi, pp. 379-80.
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