Pseudo Dionisio Areopagita, Teologia mistica I
Pseudo Dionisio Areopagita, Teologia mistica I
Giu 10A TIMOTEO
I
Trinità sopraessenziale [trias huperousie], superdivina [huperthee] e superbuona [huperagathe], guardia [ephore] della teosofia [theosophias] dei cristiani, indirizzaci verso [ithunon hēmas epi] il superinconoscibile [huperagnōston], supersplendido [huperphaē] ed altissimo vertice [akrotatēn koruphēn] della mistica Parola di Dio [logiōn], dove i semplici [hapla], assoluti [apoluta] ed immodificabili [atrepta] misteri [mustēria] della teologia si disoccultano sotto il superluminoso buio del silenzio iniziatico segreto, buio che, nella massima temebra, fa supersplendere il supermanifesto [kata ton huperphōton ekkekaluptetai tēs kruphiomustou sigēs gnophon, en tōi skoteinotatōi to huperphanestaton huperlamponta] e, nella totale impalpabilità [en tōi papmpan anaphei] ed invisibilità, dei superbei chiarori sovraempie gl’intelletti privi d’occhi [aoratōi tōn huperkalōn aglaiōn huperplērounta tous anommatous noas]. Ebbene, questa sia la mia preghiera [emoi men oun tauta ēuchthō]; e [de] tu, o caro Timoteo, con una disciplina protesa alle mistiche contemplazioni [tēi peri ta mustika theamata suntonōi diatribēi], tralascia [apoleipe] sia le sensazioni [tas aisthēseis] sia le attività intellettuali [tas noeras energeias], tutte le cose sensibili [panta aisthēta] ed intelligibili [noēta], tutte le non-essenti e le essenti [panta ouk onta kai onta], ed non-cognitivamente protenditi (per quanto si riesce) verso l’unità di ciò che è sopra ogni essenza [pros tēn henōsin, hōs ephikton, agnōstos anatathēti tou huper pasan ousian] e conoscenza [gnōsin]: ecco [gar], nella [tēi] tensione [ektasei] incontenibile [aschetōi] e puramente assolta [katharōs apolutōi] da te stesso [heautou] e da tutte le cose [pantōn], togliendole tutte [panta aphelōn] e sciolto [apolutheis] da [ek] tutte, t’eleverai [anachthēsēi] verso il [pros ton] sopraessenziale raggio della divina tenebra [tou theiou skotous aktina].
Ma guarda che nessuno dei non iniziati ascolti [amustōn epakousēi] queste cose: quelli, dico, che si trattengono negli enti [en tois ousin enischēmenous] ed immaginano che nulla esista sopraessenzialmente al di sopra degli enti, ma credono di conoscere, con la loro scienza, colui che ha fatto della tenebra il proprio nascondiglio [ouden huper ta onta huperousiōs einai phantazoumenous, all’ oiomenous eidenai tēi kath’autous gnōsei ton themenon «skotos apokruphēn autou»]. Ma se le vie dei misteri [mustagōgiai] divini sono al di sopra di costoro [huper toutous], che si dovrebbe dire sui maggiormente profani [amustōn], i quali modellano [charaktērousin] la causa soprastante tuttte le cose [tēn pantōn huperkeimenēn aitian] a partire dagli ultimi tra gli enti [ek tōn en tois ousin eschatōn] e dicono che essa non supera [huperechein] in nulla [ouden] le formazioni [morphōmatōn] atee [atheōn] e multisfaccettate [polueidōn] da essi plasmate [plattomenōn]? Si deve [deon] sia [kai] porre [tithenai] ed affermare [kataphaskein] su di lei [ep’autēi], in quanto [hōs] causa di tutte le cose, tutte le [pasas tas] posizioni [theseis] degli enti [tōn ontōn], sia, cosa più importante, negargliele tutti [kai pasas autas kuriōteron apophaskein], in quanto sovaessente sopra tutte le cose, e credere non che le negazioni siano opposte alle affermazioni, ma molto di più che sia al di sopra delle privazioni colei che è al di sopra di ogni astrazione e posizione [huper panta huperousēi, kai mē oiesthai tas apophaseis antikeimenas einai tais kataphasesin, alla polu proteron autēn huper tas sterēseis einai tēn huper pasan kai aphairesin kai thesin].
Così, ordunque, il divino Bartolomeo dice che la teologia è sia cospicua sia minima [phēsi kai pollēn tēn theologian einai kai elachistēn] e che il Vangelo è ampio [platu] e grande eppur conciso [mega kai authis suntetmēmenon], in ciò [ekeino] cogliendo superbamente [huperphuōs ennoēsas], mi sembra, che la causa buona di tutte le cose è dicibile sia con molte parole sia in breve ed insieme senza parole, in quanto sottratta sia alla parola sia all’intellezione perché essa è sopraessenzialmente sovrastante tutte le cose [kai polulogos estin hē agathē pantōn aitia kai brachulektos, hama kai alogos, hōs oute logon oute noēsin echousa, dia to pantōn autēn huperousiōs huperkeimenēn einai] e si appalesa [ekphainomenēn] disoccultamente [aperikaluptōs] e svelatamente [alēthōs] solo [monois] a coloro che trascendono tutte le cose, sia le espiande sia le pure [tois kai ta enagē panta kai ta kathara diabainousi] e superano tutta l’ascesa di tutte le sacre vette [pasan pasōn hagiōn akrotētōn anabasin huperbainousi], ed abbandonano [apolimpanousi] tutte le divine luci [phōta] ed i discorsi celesti [logous ouranious], e s’immergono nel buio, ove ontologicamente è [eis ton gnophon eisduomenois, hou ontōs esti], come dice la Parola di Dio, colui che è al di là di tutte le cose [ta logia phēsin, ho pantōn epekeina]. Ed infatti [kai gar] non è gratuito [haplōs] che il divino Mosè sia indotto proprio, per prima cosa, a rendersi puro [apokatarthēnai prōton autos keleuetai] e a portarsi subito via da coloro che non sono tali [authis tōn mē toioutōn aphoristhēnai], e, dopo la purificazione totale, oda le multisone trombe [meta pasan apokatharsin akouei tōn poluphōnōn salpingōn] e guardi [horai] molte luci che emanano [apostraptonta] raggi puri ed assai diffusi [poluchutous], di seguito si distacchi dalla moltitudine [tōn pollōn aphorizetai] e con i sacerdoti scelti [meta tōn ekkritōn hiereōn] guadagni [phthanei] la vetta delle divine ascese. Ed in queste circostanze non è in relazione diretta con Dio, tutt’altro: vede non lui (infatti è invisibile) ma il luogo ove stava [kan toutois autōi men ou sunginetai tōi theōi, theōrei de ouk auton (atheatos gar), alla ton topon, hou estē]. (Credo dunque che questo significhi che le più divine [touto de oimai sēmainein to ta theiotata] e più elevate tra le cose visibili [akrotata tōn horōmenōn] ed intelligibili sono delle tracce presupponenti il legame con le cose sottoposte a ciò che le supera tutte, e che meidiante esse si mostri che la sua presenza, sopravvanzando le vette intelligibili dei suoi luoghi più santi, è superiore ad ogni riflessione [nooumenōn hupothetikous tinas einai logous tōn hupobeblēmenōn tōi panta huperechonti, di’ hōn hē huper pasan epinoian autou parousia deiknutai tais noētais akrotēsi tōn hagiōtatōn autou topōn epibateuousa]). Ed allora si scioglie da tutte le cose viste [kai tote kai autōn apoluetai tōn horōmenōn] e dalle vedenti [tōn horōntōn] e s’immerge nel buio ontologicamente mistico dell’ignoranza, nel quale fa ammutolire ogni percezione conoscitiva [eis ton gnophon tēs agnōsias eisdunei ton ontōs mustikon, kath’on apomuei pasas tas gnōstikas antilēpseis] e si rigenera nel totalmente impaplpabile ed invisibile, essendo tutto di ciò che è al di là di tutte le cose e non di se stesso né di nessun altro, unito al meglio dunque col totalmente inconoscibile per mezzo dell’inattività di tutta la conoscenza [en tōi pampan anaphei kai aoratōi gignetai, pas ōn tou pantōn epekeina kai oudenos, oute heautou oute heterou, tōi pantelōs de agnōstōi tēi pasēs gnōseōs anenergēsiai kata to kreitton henoumenos] e conoscendo al di sopra dell’intelletto col non conoscere niente [tōi mēden gnōskein huper noun gnōskōn].