Temi e protagonisti della filosofia

Porfirio, Sul conosci te stesso (2)

Porfirio, Sul conosci te stesso (2)

Gen 22

Brani precedenti: Porfirio, Sul conosci te stesso (1)

Stob. 581,16 – 583,4: Dacché è occorsa una qualche nostra venuta nelle cose di quaggiù, ove non solo siam circondati dall’uomo per quanto riguarda l’esterno ma c’inganniamo anche di essere quest’apparenza visibile, la parenesi è appropriata alla conoscenza della capacità cui si può avvicinarsi. Platone, difatti, nel Filebo, rammentando il conosci te stesso, distingue tre sorte in cui s’articola l’ignoranza. In qualunque occasione dunque l’ignoranza di sé stesso è turpe, tanto nel caso che, coll’ignorare la maestà assiologica della dignità interiore, si abbassi il divino, quanto nel caso che, coll’ignorare la bassezza che per natura rappresenta un’aggiunta dall’esterno, la si celebri ostentandola. Forse che, ecco, tutto l’essere mortale non si celebra subito ostentatamente

come quando qualche bambino abbatte la sabbia vicino al mare?
Questi dapprima s’occupa dei suoi giochi infantili,
dunque ne provoca daccapo il rovesciamento con piedi e mani profondendosi nel giocare (Iliade, XV 362-364).

Ognuno dunque per ignoranza di sé stesso è condannato a celebrare ostentatamente quanto lo coinvolge, al di sopra della natura che invece lo ha creato, più di quanto essa abbia voluto, meravigliato dinnanzi alle sue dinamiche quasi fossero scherzi arroganti; costei invece sembra difendere in tutte il contegno della dignità, in nulla ingannata assieme a coloro che ostentano la sua celebrazione. Il conosci te stesso, dunque, si diffonde in ogni concezione della potenzialità presente in noi, prescrivendo di conoscere le misure in tutte le occasioni. Ebbene, il conoscere sé stesso sembra riferirsi all’obbligo di conoscere la psiche e il nous, giacché in questo è la nostra essenza; il conoscere per intero sé stesso, d’altronde, sembra abbracciare noi e i nostri attributi e insieme gli attributi dei nostri attributi. Tale anche l’acribia di Platone in queste vicissitudini terrene, giacché cercò con perizia di conoscere sé stesso estraniandosi dalle altre cose e dissimilandosi da tutto quanto ci circonda e poi di nuovo di conoscere per intero sé stesso cosicché fosse conosciuto l’uomo interiore immortale e altresì non fosse ignorato quello esteriore iconico dell’altro e divenissero note le differenze tra questi, siccome si differenzia per l’interiorità il nous perfettissimo, cui inquilino è l’uomo in sé e per sé, di cui ciascuno di noi è immagine, e si differenziano invece per il simulacro esteriore le pertinenze del corpo ed i possessi. Di questi attributi, dunque, bisogna conoscere anche le potenzialità e curarsene fino a ciascuno di essi, perché, interfacciando la dignità assiologica dell’immortale con quanto è corruttibile e terreno, non lo rendiamo risibile e di nuovo degno di lacrime, impigliato nella tragicommedia delle vite insensate, né, accoppiando l’immortale con la bassezza del mortale, propiziamo la compassione e ci disponiamo in ogni vicenda all’ingiustizia per l’ignoranza di quanto è assiologicamente conforme alla dignità.

La traduzione dei frammenti è condotta sul testo dell’edizione di Giovanni Stobeo curata da C. Wachsmuth e O. Hense, I-V Berlino 1958.


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