Plutarco, Sulla tranquillità
Plutarco, Sulla tranquillità
Lug 04
[Stob. 4,16,18] Estratto dal percorso di Plutarco Sulla tranquillità:
La tranquillità sembra cosa saggia, utile, tra l’altro, al miglioramento di episteme [: del sapere] e saggezza: leggo in questo modo, dunque, non quella utile a far la spesa e nella congregazione sociale, tutt’altro: quella magna, che assimila a dio colui che l’ha guadagnata. Già, ecco che gli esercizi d’arte oratoria congegnati nelle città e tra i volghi delle moltitudini di persone allenano quella ch’è letta come scaltrezza, che rappresenta un tristo imbroglio; dunque coloro che raggiungono l’acme in questi, una volta che siano variopintamente formati a rispondere ai bisogni nelle città, come se fossero andati a una scuola di cuochi di successo, a quanti e poi quanti funesti servigi non son disposti a lavorare? La solitudine invece, essendo ginnasio di sofia, crea buone consuetudini etiche, plasma e corregge le anime delle persone. Difatti, ecco, non è per nulla d’impedimento all’aumento; e quando urtano contro una pluralità di norme minuziose non si lasciano piegare d’impeto come le anime rinchiuse dalle pertinenze delle città, tutt’altro: nel vivere all’aria aperta e per lo più evitando gli uomini, transitano dritte e mettono penne, rinfrancate dalla limpidissima e lievissima corrente della tranquillità, in cui uno guarda le acquisizioni della mente in una visuale più divina e più pura. Già, per questo anche tra i santuari degli dei, quanti si tramanda esistano dall’antichità più arcaica, i pristini furono insediati nei luoghi più ermi, molto di più, dunque, quanti son dedicati alle Muse ed a Pan ed alle Ninfe e ad Apollo e agli dei egemoni della musica [: che presiedono alle arti delle Muse], discriminando così ‒ questo credo ‒ le bellezze dell’educazione dai rischi e dai miasmi presenti nelle città.
La traduzione del frammento è stata condotta sul testo della seguente edizione:
Plutarch’s Moralia XV, Fragments, translated by F.H. Sandbach, Cambridge Mass. 1969, 266-269.