Plutarco, Sulla superstizione (13)
Plutarco, Sulla superstizione (13)
Ott 07Brano precedente: Plutarco, Sulla superstizione (12)
13. Ecco: non sarebbe stato meglio per alcuni Galati e Sciti non avere in tutto e per tutto intendimento né fantasia né storia sugli dei piuttosto che credere che vi siano dei godenti del sangue di uomini strangolati e credere questo il sacrificio e l’atto di culto più perfetto? Che aggiungere, dunque? Non sarebbe stato più vantaggioso per i Cartaginesi prendere dall’inizio come nomoteti Crizia e Diagora e non credere in alcun demone o dio piuttosto che fare a Crono sacrifici quali quelli che facevano? Questo non vale per quanto professa Empedocle contro coloro che sacrificano gli animali:
Il padre, dunque, sollevando il caro figlio alterato nella forma, lo sgozza invocando con voti: magno imbecille [frammento 137 Diels-Kranz];
ben altrimenti, vedendo e riconoscendo i loro figli, essi li sacrificavano; quanti invece non avevano figli, comprando bambini presso i poveri, li sgozzavano come agnelli o pulcini, mentre la madre assisteva impassibile ed imperturbabile. Se, di contro, gemeva o lacrimava, doveva privarsi del compenso ed il bambino era comunque sacrificato; inoltre lo spazio prospiciente la statua era completamente riempito del fragore degli auli e dei tamburi contro l’evenienza che si udisse l’urlo. Ordunque, se alcuni Tifoni o Giganti, estromessi gli dei, regnassero su di noi, quali sacrifici gradirebbero o quali altri riti richiederebbero? Amesti, la moglie di Serse, condannò ad essere seppelliti vivi dodici uomini per ingraziarsi Ade; su quest’ultimo Platone professa che è denominato Ade giacché è, di contro, amico dell’umanità, sofo e ricco e controlla le anime con persuasione e logica. Da parte sua il fisico Senofane, vedendo gli Egizi battersi il petto nel corso delle feste e lamentarsi, li consigliò appropriatamente, disse:
Se questi sono dei, non compiangeteli; se, d’altronde, son uomini, non sacrificate loro [frammento 13 Diels-Kranz].
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