Plutarco, Sulla superstizione (12)
Plutarco, Sulla superstizione (12)
Set 30Brano precedente: Plutarco, Sulla superstizione (11)
12. Insieme a tutto questo, l’ateo non è in alcuna maniera corresponsabile della superstizione. La superstizione, di contro, preparò all’ateismo il principio per generarsi ed ora, dopo che s’è generato, gli dà un argomento apologetico, che non è né vero né bello, ma non immeritevole di essere in qualche modo professato, siccome non per aver visto qualcosa di vergognoso in cielo o negli astri o nelle stagioni o nelle orbite della luna o nel movimento del sole intorno alla terra ‒ «demiurghi di giorno e notte» [Platone, Timeo, 40c] ‒ o qualcosa di difettoso e non integrato nell’ordine nella crescita dei viventi o nella genesi dei frutti alcuni si riconobbero del tutto nell’ateismo, tutt’altro: opere e passioni ridicole della superstizione, ossia verbalizzazioni, recite, stregonerie, magie, girotondi e colpi di tamburo, purificazioni impure e sozze espiazioni, nonché castighi e maltrattamenti barbari e prevaricanti davanti ai templi, tutto questo dà ad alcuni il pretesto per allegare che è meglio non vi siano dei, piuttosto che ve ne siano che accettino tali procedure e godano di tali pratiche, tanto superbi dunque, tanto intellettualmente piccini e permalosi.
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