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Plotino, Enneade V I [10: Sulle tre ipostasi originarie], 7

Plotino, Enneade V I [10: Sulle tre ipostasi originarie], 7

Nov 30

 

 

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7. Argomentiamo dunque che l’intelletto è immagine di quello [dell’uno]; si deve, ecco, argomentare più chiaramente: in primo luogo, che il generato deve in qualche modo essere quello e conservare molte cose di esso e dev’esservi somiglianza rispetto ad esso, come anche la luce del sole. D’altronde non |5| è intelletto quello [l’uno]. Come genera, quindi, l’intelletto? Ebbene, giacché, volgendosi a lui, guardò; questo sguardo, dunque, era intelletto. Infatti quel che percepisce altro è o sensibilità od intelletto; [lacuna]… la sensazione è la linea e così le altre cose [lacuna]…; peraltro il cerchio è tale che è divisibile; per questo [il centro del cerchio] invece le cose non stanno in questo modo. Ebbene, anche in questo caso v’è unità, ma l’uno [in sé] è potenza |10| di tutti gl’enti. Gli enti dei quali quindi [l’uno] è potenza, questi il pensiero li guarda ‒ come dire? ‒ scindendoli dalla potenza, sennò non sarebbe intelletto. Così anche da se stesso [l’intelletto] ha ormai come una consapevolezza della potenza [dell’uno], giacché può far essere la sostanza.

Ecco che quindi egli stesso [l’intelletto] per opera di se stesso anche definisce l’essere a sé attraverso la potenza derivata da quello e giacché l’essere è come una qualche parte |15| dei contenuti di quello [dell’uno] e da quello emerge, [l’intelletto] è rinforzato da quello [l’uno] ed è determinato verso la perfezione dell’essere da quello e per effetto di quello. Vede dunque che a lui arrivano da là, come a divisibile da indivisibile, e il vivere e il pensare e tutti gl’enti, giacché quello non è nessuno di tutti gl’enti; in questo senso infatti tutti gl’enti emergono da quello, giacché |20| egli non è inibito da forma alcuna; quello infatti rimaneva solo uno; e se fosse stato tutti gl’enti, allora sarebbe stato nel novero degli essenti. Per questo quello non è nessuno degli enti nell’intelletto, mentre tutti gl’enti emergono da esso. Perciò queste cose son anche essenze [sostanze]; si son infatti ormai definite e ciascuna ha come una forma. Ordunque, l’essere deve non esser come sospeso nell’indefinito, |25| tutt’altro: piantarsi nel limite e nella stabilità, Stabilità per gli intelligibili è definizione e forma, colle quali pigliano anche sostanzialità.

Toh, di questa genia [18] è questo intelletto, degno dell’intelletto purissimo sia nel comparire non da altrove se non emergendo dal primo principio sia, una volta generato, nel generare ormai con sé tutti gli essenti, tutta la |30| bellezza delle idee e pure tutti gli dèi intelligibili; essendo dunque pieno degl’enti che ha generato e come reinghiottendoli per il fatto che li ha in sé, non li lascia né cadere nella materia né allevare da Rea [19], alla maniera in cui i misteri ed i miti intorno agli dèi accennano enigmaticamente al fatto che Crono [Kronos], il dio più sapiente, prima di generare Giove rià in se stesso i figli che genera, |35| per cui è pieno ed è intelletto in sazietà [nous en korōi]; dopo queste cose, ecco, professano che genera Giove, essendo ormai sazietà [20]; l’intelletto infatti genera l’anima, essendo intelletto perfetto. Ed infatti, essendo perfetto, doveva generare, ed una potenza ch’era tanto grande non doveva essere sterile. Dunque, neppure qui era possibile che il generato fosse migliore, |40| tutt’altro: essendo peggiore, era immagine di lui, dapprima indefinito allo stesso modo, definito successivamente da colui che l’aveva generato e come informato.

La progenie dell’intelletto è una qualche ragione e sostanza, quel che riflette discorsivamente; questo dunque è quel che si muove attorno all’intelletto, luce dell’intelletto e traccia articolata dipendente da lui; da una parte |45| congiunto a lui ed in questo senso riempitone completamente, godente e partecipante di lui e pensante; dall’altra invece in contatto con gli oggetti dopo di lui, o meglio genera anch’esso, [genera] le cose che necessariamente sono peggiori dell’anima, intorno alle quali bisogna ragionare dopo [21]. Ebbene, le realtà divine arrivano sino a questi livelli.

 

Note

[18] Omero, Iliade, VI 211 e XIX 241 = Platone, Repubblica, VII, 547 a 4-5.

[19] La dea sposa di Crono, interpretata come ciò che fa uscire gli enti dalla stabilità dell’intelletto consegnandoli al divenire corporeo.

[20] Crono è l’intelletto (seconda ipostasi) e Giove l’anima (terza ipostasi).

[21] Forse in Enneadi, II, 4.

 
La traduzione dal greco si basa sull’editio minor Henry-Schwyzer: Plotini Opera, ediderunt P. Henry et H.-R. Schwyzer, 3 voll., Clarendon Press, Oxford 1964-82.

 

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