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Plotino, Enneade V I [10: Sulle tre ipostasi originarie], 1

Plotino, Enneade V I [10: Sulle tre ipostasi originarie], 1

Ott 19

 

1. Orbene, che cos’è mai quel che ha fatto sì che le anime si siano dimenticate del padre dio e, pur essendo parti partite da là ed interamente sue, abbiano disconosciuto e se stesse e lui? Ebbene, il principio del male per esse fu l’audacia, la generazione, l’alterità prima |5| ed il voler essere di se medesime. In quest’occasione, dunque, quando apparvero compiaciute del proprio essere espressive, avendo sbrigato da sé un gran movimento slanciandosi nella direzione opposta ed avendo realizzato una grandissima distanza, disconobbero che anch’esse erano di là; come bambini che, strappati via subito dai genitori |10| ed allevati lontano per molto tempo, misconoscono e se stessi e i genitori.

Quindi, non vedendo più né lui né se stesse, una volta disprezzatesi per ignoranza della lor genia, apprezzate le altre cose ed ammiratele tutte più che se stesse, sbalordite di fronte ad esse, adoranti e dipendenti da queste, |15| si staccarono, per quanto era possibile, dagli enti dai quali si erano astratte disprezzandoli; cosicché avviene che causa del totale disconoscimento di lui è l’apprezzamento di queste cose ed il disprezzo di se stessi. Infatti si rincorre e s’ammira un altro, e simultaneamente colui che ammira e rincorre ammette d’essere peggiore; fattosi dunque peggiore delle cose generantisi |20| e dileguantisi, supponendo d’esser la più disprezzabile e mortale fra tutte le cose che apprezza, non potrebbe mai mettersi in animo [1] né il pensiero della natura di dio né quello della sua potenza.

Perciò, di duplice genere deve esser il discorso verso coloro che son disposti in questo modo, se qualcuno perseguirà l’obiettivo di convertirli verso la direzione opposta e gli enti primi e se li conducesse in alto sino al sommo, |25| uno e primo. Qual è quindi ciascuno dei due? L’uno, attraverso cui transiteremo appieno in altre occasioni, è quello ch’indica la spregevolezza delle cose adesso apprezzate dall’anima, l’altro, che invece insegna e rammemora all’anima ‒ come dire? ‒ la sua genia ed il suo valore, è prioritario rispetto a quello e, una volta illustrato, chiarirà anche quello. Questo è quello che adesso bisogna argomentare; |30| è infatti accanto a quel che cerchiamo e funzionale a quello. Infatti quel che cerca è l’anima, e che cos’è lei che cerca va conosciuto da parte sua, affinché prima impari a conoscer se stessa, se ha la potenzialità di cercare tali cose, se ha un occhio tale che possa vedere, e se giova cercare. Infatti, se [cercasse] cose aliene [rispetto a lei], a che servirebbe? Se invece [ne cerca di] |35| congeneri [a lei], giova [cercare] e può anche trovare.

 

Note

[1] Omero, Iliade, XV 566.

 
La traduzione dal greco si basa sull’editio minor Henry-Schwyzer: Plotini Opera, ediderunt P. Henry et H.-R. Schwyzer, 3 voll., Clarendon Press, Oxford 1964-82.

 

Brano seguente: Plotino, Enneade V I [10: Sulle tre ipostasi originarie], 2

 

 


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