Plotino, Enneade V 8 [31: Sulla bellezza intelligibile], 3
Plotino, Enneade V 8 [31: Sulla bellezza intelligibile], 3
Nov 08
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3. V’è quindi anche nella natura un logos [: forma razionale] di bellezza archetipo di quella nel corpo; comunque più bella di quella nella natura è quella nella psiche [: nell’anima], da cui deriva anche quella nella natura. Il più illuminato, ecco, è quello [: quella forma razionale che è] nella psiche [: nell’anima] virtuosa e precede, riuscito, per bellezza; siccome adornando la |5| psiche [: l’anima] e adibendola ad habitat d’una luce che, maggiore, è pristinamente bellezza, la fa sillogizzare, essendo esso stesso nella psiche, qual è quello prima di esso, quello che non s’ingenera più [in nulla] né è in altro bensì in se stesso. Perciò non è neppure logos [: forma razionale] bensì realizzatore del primo logos [: della prima forma razionale] di bellezza presente nella materia psichica; questo [realizzatore] dunque è nous [: intelletto], |10| l’eterno nous [: intelletto] e non qualche volta nous [: intelletto], giacché [l’intelletto] esige di non esserle occorrenza d’accatto.
Quale icona [: immagine] quindi se ne potrebbe desumere? Ognuna difatti sarà estrapolata dall’inferiore. Ma, ecco, l’icona [: immagine] deve generarsi uscendo dal nous [: dall’intelletto], cosicché [lo si colga] non attraverso un’icona [: immagine], bensì nel modo in cui si piglia un qualcosina dell’oro come indice della qualità di tutto quanto l’oro, e se non è puro quello pigliato, si deve purificarlo |15| o coll’opera o indicando col ragionamento come non tutto questo è oro, bensì soltanto questo qui, nella massa; in questo stesso modo quindi anche qui [si deve partire] da questo nous [: intelletto] in noi purificato o, se vuoi, dagli dei, [chiedendosi] quale è il nous [: l’intelletto] in loro.
Son venerabili, ecco già, tutti gli dei e belli e la bellezza loro è incalcolabile [3]; altresì qual è |20| la causa per cui sono tali? Beh, il nous [: l’intelletto], e tanto meglio il nous [: l’intelletto] che funziona in atto in loro, cosicché son guardabili. Non, dunque, giacché son belli i loro corpi. E difatti per quelli stessi che presentano corpi non questo è l’essere dei, bensì altresì questi son dei conformemente al nous [: all’intelletto]. Belli dunque giacché dei. Ordunque, non è che, mentre qualche volta son assennati, qualche altra volta invece non son assennati, |25| bensì eternamente son assennati in questo nous [: intelletto] impassibile e stabile e puro e s’avvedono di tutte le cose e conoscono non le cose umane bensì le loro stesse cose divine, e quante cose il nous [: l’intelletto] guarda.
Degli dei, dunque, quelli che sono in cielo ‒ siccome è a disposizione per essi ‒ contemplano eternamente, come di lontano comunque, le cose che a loro volta son in quel cielo, dovendo sollevarsi |30| col proprio stesso capo [4]. Quanti invece sono in quello, la villa dei quali occorre su di esso e in esso, villeggianti in tutto il cielo di là ‒ siccome tutte le cose là son cielo, e la terra è cielo e il mare e gl’animali e le piante e gl’umani, tutto è celeste quel ch’è di quel cielo ‒, gli dei, dunque, che son in esso, non aborrendo gl’umani |35| né alcun’altra delle cose di là, giacché queste son di là, transitano per tutta la contrada di là ed il luogo, nonostante riposino…
Note
[3] Platone, Repubblica, VI, 509 a 6.
[4] Cfr. Platone, Fedro, 246 d 6 – 248 a 5.
La traduzione dal greco è condotta sul testo dell’editio minor Henry-Schwyzer:
Plotini Opera, ediderunt P. Henry et H.-R. Schwyzer, 3 voll., Clarendon Press, Oxford 1964-82.
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