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Plotino, Enneade V 6 [24: Sul fatto che quel ch’è al di là dell’essente non pensa e che cos’è il primariamente pensante e che cosa il secondariamente], 6

Plotino, Enneade V 6 [24: Sul fatto che quel ch’è al di là dell’essente non pensa e che cos’è il primariamente pensante e che cosa il secondariamente], 6

Giu 14

 

 

Brano precedente: Plotino, Enneade V 6 [24: Sul fatto che quel ch’è al di là dell’essente non pensa e che cos’è il primariamente pensante e che cosa il secondariamente], 5

 
6. Se dunque questi ragionamenti son argomentati rettamente, allora il bene non adibirà alcuno spazio, qualunque sia, al pensiero; infatti il bene deve essere altro dal pensante.

Inattivo dunque. E perché l’attività deve agire? |5| In generale infatti nessuna attività ha a sua volta un’attività. Se, ecco dunque, alle altre [attività], le quali esibiscono [azioni] verso altro, [alcuni] possono riferire [un’attività], ecco che quella prima fra tutte nel lor insieme, da cui le altre dipendono articolandosi, questa bisogna lasciarla esser ciò che è, non facendo più nessuna aggiunta ad essa. Dunque una tale attività non è pensiero; infatti non ha di che pensare; essa infatti è il primo.

Inoltre neppure il pensiero |10| pensa, ma l’avente il pensiero; dunque rinasce una dualità nel pensante; questo [il bene], invece, non è in nessun modo dualità. E dunque, lo si può vedere ancor meglio se s’afferra il modo in cui in tutto risulti più chiaro il pensante, questa duplice natura.

Argomentiamo che gli essenti come essenti, e ciascuno nella propria singolarità, e i veramente essenti sono nel luogo intelligibile [2], |15| non solo perché questi permangono nello stesso modo in cui sono per la [lor] entità [essere], mentre gli altri, quanti son nella sensazione, fluiscono e non permangono ‒ forse, comunque, anche nel novero dei sensibili vi sono quelli permanenti [il cielo] ‒ ma, meglio, perché hanno da se stessi la perfezione dell’essere.

Bisogna infatti che la cosiddetta entità [sostanza] primordiale non sia l’ombra dell’essere, ma abbia l’essere nella sua compiutezza. |20| Compiuto, ordunque, è l’essere, quando pigli l’idea [la forma] del pensare e del vivere. Son insieme, allora, il pensare, il vivere, l’essere, nell’essente. Se allora v’è essente, v’è anche intelletto, e se v’è intelletto, v’è anche essente, e il pensare è assieme all’essere. È molti allora, e non uno, il pensare. È necessario allora che quel che non è tale non sia interessato neppure dal pensare. E dunque a coloro che visionano le cose nella lor singolarità |25| [si presentano] l’uomo e il pensiero dell’uomo, e il pensiero del cavallo e il cavallo, e il pensiero del giusto e il giusto. Tutte le cose nel lor insieme, allora, son duplici e l’uno è due, eppure i due vanno verso l’uno. Egli [l’uno], invece, non è neppure una, nella sua singolarità, di queste cose, né è esito di tutte le dualità né è in generale due. Come, dunque, i due siano esito dell’uno, [lo s’è visto] in altri luoghi [3]. |30| Altresì, essendo qualcosa al di là dell’entità [essere] [4], [deve] essere anche al di là del pensare; non è allora neppure assurdo che egli non conosca se stessa; non ha infatti presso se stesso nulla che possa apprendere, essendo uno. D’altronde, neppure gli altri devono conoscerlo; dà infatti ad essi qualcosa di migliore e maggiore del fatto ch’essi conoscano ‒ era il bene degli altri ‒ anzi, meglio, |35| [concede loro] nella stessa [tensione] di adattarvisi [toccarlo], per quanto possono.

 

Note

[2] Platone, Repubblica, Ε, 508 c 1; Ζ, 517 b 5.

[3] Cfr. Enneadi, V, IV, 2.

[4] Platone, Repubblica, Ε, 509 b 9.

 
La traduzione dal greco è condotta sul testo dell’editio minor Henry-Schwyzer:
Plotini Opera, ediderunt P. Henry et H.-R. Schwyzer, 3 voll., Clarendon Press, Oxford 1964-82.

 
Brano iniziale: Plotino, Enneade V 6 [24: Sul fatto che quel ch’è al di là dell’essente non pensa e che cos’è il primariamente pensante e che cosa il secondariamente], 1

 

 


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