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Plotino, Enneade V 5 [32: Che gli intelligibili non son all’esterno dell’intelletto e intorno al bene], 7

Plotino, Enneade V 5 [32: Che gli intelligibili non son all’esterno dell’intelletto e intorno al bene], 7

Set 20

 

 

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7. Ordunque, giacché anche l’osservare in atto è duplice, come s’osserva per l’occhio ‒ siccome per esso una cosa è il guardato, l’eidos [: la forma] del sensibile, un’altra quello attraverso cui guarda l’eidos [: la forma] di esso, che è anch’esso sensibile per esso [: l’occhio] e, pur essendo altro [: diverso] dall’eidos [: dalla forma], è causa comunque per lo |5| eidos [: per la forma] dell’esser guardato, guardato congiuntamente nell’eidos [: nella forma] e sull’occorrenza dell’eidos [: della forma]; perciò non dà allora l’illuminata [: chiara] percezione di se stesso, giacché l’occhio è torto verso l’oggetto illuminato; quando invece non vi sia null’altro oltre esso [: oltre ciò attraverso cui vede la forma del sensibile], [l’occhio] lo vede con una botta d’intuizione d’insieme, anche se anche allora lo vede come appoggiato a un altro oggetto, rimasto comunque solo nella sua stessa |10| natura, non in relazione di contatto con altro, la sensibilità non può assumerlo. Giacché anche la luce del sole, quella ch’è in esso, forse sfuggirebbe alla sensibilità, se non occorresse come sostrato di essa una massa più solida. Se si argomentasse invece che esso [: il sole] è la luce tutta intera, allora si potrebbe assumere questo per chiarire quel ch’è argomentato, siccome [in questo modo] la luce non sarà [presente] in nessun eidos [: nessuna forma] degli |15| altri oggetti guardati, e forse rimarrà solo guardabile; siccome gli altri guardabili non son solo luce.

In questo stesso modo, orbene, anche l’occhio dell’intelletto vede: guarda, ebbene, anche questo attraverso un’altra luce le cose illuminate da quella prima natura, e, quando [la luce] è in quelle, [la vista dell’intelletto] guarda; nondimeno, se annuisce incontro alla natura delle cose illuminate, la [: la luce] vede meno; se invece |20| rigetta le cose guardate e osserva quello attraverso cui vide, allora osserverà la luce e il principio della luce. D’altronde, giacché l’intelletto non deve osservare questa luce come esterna, occorre gire daccapo all’occhio, che qualche volta anch’esso non vedrà [: conoscerà] né la luce dall’esterno né quella altrui, ma d’altra parte prima di quella dall’esterno contempla in incontaminatezza una qualche [luce] vicina all’intimo e molto più splendida, |25| o di notte quando nel buio [la luce] è espulsa da esso o quando, non desiderando osservare nessuna delle altre cose, mette a protezione di sé la natura delle palpebre benché simultaneamente offra la rappresentazione della luce, o anche quando colui che ha [la vista], avendo premuto [l’occhio], vede la luce in se stesso. Siccome allora non guardando guarda ed è allora che guarda al meglio; |30| siccome guarda luce; le altre cose dunque, pur se erano luminose a vedersi, non erano comunque luce.

In questo stesso modo, dunque, anche l’intelletto, occultatosi alle altre cose e coagulatosi [: raccoltosi] nel dentro, non guardando nulla, vedrà teoreticamente [: contemplerà] non una luce altra in altro, tutt’altro: [una luce che] se stessa di per se stessa [in sé e per sé], rimasta sola, esclusivamente pura in sé, è apparsa ex abrupto, cosicché [l’intelletto] è importunato dall’aporia del dove donde è apparsa (è apparsa dall’esterno o era nel suo dominio?) |35| e, dopo ch’è andata via da lui, evoca: «Già, era nel mio dominio, e comunque non era nel mio dominio».

 

La traduzione dal greco è condotta sul testo dell’editio minor Henry-Schwyzer:
Plotini Opera, ediderunt P. Henry et H.-R. Schwyzer, 3 voll., Clarendon Press, Oxford 1964-82.

 

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