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Plotino, Enneade V 5 [32: Che gli intelligibili non son all’esterno dell’intelletto e intorno al bene], 12

Plotino, Enneade V 5 [32: Che gli intelligibili non son all’esterno dell’intelletto e intorno al bene], 12

Ott 11

 

 

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12. Bisogna dunque osservare [l’organo] con cui si deve percepire ciascuna delle cose, cogli occhi alcune, cogli orecchi invece altre, così come le altre [cogli organi appropriati]; anche coll’intelletto bisogna confidare che se ne guarderanno altre [: di diverse], e non considerare il pensare udire o guardare, come se per esempio s’imponesse agli orecchi di osservare e dopo [si concludesse] che i suoni |5| non sono, giacché non si guardano.

Bisogna invece intendere che [gli uomini] sono stati obliosi nella latenza dell’oggetto che, dall’inizio dell’esperienza sino ad adesso, han desiderato e su cui si son proiettati. Tutte le cose difatti si dirigono a quell’oggetto e si proiettano su di esso per necessità di natura, come per davvero premostrandosi che in assenza di esso non possono essere. Ebbene, la percezione del e lo sbigottimento per il bello appartengono a quanti già in qualche modo han visto [: sanno] e |10| si son svegliati, e il risveglio è [opera] dell’eros; il bene invece, giacché è presente da molto tempo obbedendo ad una proiezione connaturata, anche nei dormienti è presente e dunque non sbigottiscono allorché lo vedono, giacché è eternamente [: sempre] con loro, sicché non ve n’è mai l’anamnesi; appunto non [è presente non solo quando] guardano esso, giacché è presente ai dormienti.

Ordunque, l’eros del bello, allorquando |15| [il bello] si presenta, dà le doglie del parto, giacché si deve, vedendolo, proiettarsi su quest’oggetto. Questo eros, essendo secondo e interessando i soggetti già conoscenti, mostra che il bello è secondo di molto; invece quella proiezione sull’oggetto, più antica di questo [: dell’amore per il bello] e inconscia, confessa che il bene è più antico di e precedente a questo [: al bello]. E dunque tutti insieme credono, dopo aver assunto [: colto] il bene, che questo basti loro, |20| siccome son arrivati al fine; il bello invece non tutti l’han visto e, quando sia venuto, credono sia bello per se stesso, ma non per loro, com’è anche la bellezza di questa [terra], siccome la bellezza è di colui che l’ha. E basta [agli uomini] apparire essere belli, anche se non lo siano; il bene invece desiderano averlo non apparentemente.

Si contendono difatti |25| moltissimo anzichenò la proprietà del primo e gareggiano e lottano col bello, perché anch’esso è nato come essi; come se qualcuno molto posteriore al re nell’ordine della famiglia reale volesse riuscire a dignità eguale a colui ch’è subito dopo il re, siccome è nato da un singolo, ovvero dallo stesso di cui è progenie anche quello, non riconoscendo che, benché egli stesso risalga al re come articolazione della discendenza, |30| v’è comunque quello prima di lui.

D’altronde la causa dell’errore deve esser il fatto che partecipano ambedue dello stesso e l’uno è precedente ad ambedue, e che anche là il bene-stesso non abbisogna del bello, mentre il bello [abbisogna] di quello.

E dunque l’uno [: il bene] è mite e blando e alquanto delicato e, se qualcuno lo desidera, gli è presente; l’altro [: il bello] invece |35| ha come effetti sbigottimento e piaga passionale e [ha] la soavità [: il piacere] commista al dolore. Ed ecco che inoltre storna dal solco del bene coloro che non han visto [: che non sanno], come per esempio l’oggetto amato [allontana] dal padre; siccome è più giovane; l’altro invece è più vecchio, non per il tempo ma per la non-latenza [: verità], esso che ha anche la potenza precedente; siccome l’ha tutt’intera; siccome quel ch’è dopo di esso non |40| [può averla] tutt’intera, ma quanta è dopo di lui e da lui. Sicché quello è signore anche di questa [: della potenza che è dopo di lui], giacché questi non abbisogna degli esiti della sua generazione, tutt’altro: saldo nella sua totalità universale e interezza, ha lasciato andare via da sé l’oggetto generato, giacché non abbisognava per nulla di esso, tutt’altro: è lo stesso, quale era anche prima di generare questo.

Già, non gli sarebbe neanche importato se l’oggettività [derivata da lui] non si fosse generata; già, |45| neanche se a un’altra oggettività si fosse presentata la possibilità di generarsi effettivamente da lui avrebbe invidiato; adesso comunque non è possibile che alcunché si generi; siccome non v’è alcunché che non sia nato, siccome si son generate tutte le cose. Lui dunque non era tutte le cose, così da abbisognare di esse, mentre, convenendogli la trascendenza su tutte le oggettività, era anche qualificato sia per produrle sia per lasciarle essere di per se stesse, essendovi lui sopra |50| di esse.

 

La traduzione dal greco è condotta sul testo dell’editio minor Henry-Schwyzer:
Plotini Opera, ediderunt P. Henry et H.-R. Schwyzer, 3 voll., Clarendon Press, Oxford 1964-82.

 

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