Plotino, Enneade V 3 [49: Sulle ipostasi conoscitrici e su quel ch’è al di là], 3
Plotino, Enneade V 3 [49: Sulle ipostasi conoscitrici e su quel ch’è al di là], 3
Feb 07
Brano precedente: Plotino, Enneade V 3 [49: Sulle ipostasi conoscitrici e su quel ch’è al di là], 2
3. La sensibilità difatti ha visto un umano e ne ha dato il tipo alla dianoia [: l’impronta al pensiero discorsivo]; questa [: il pensiero discorsivo] dunque che professa? Beh, non verbalizza ancora alcunché, ma ha conosciuto ed è rimasta ristante; a meno che, dialogando con se stessa, non si chieda: «Chi è questo?», e allora, se l’ha incontrato prima, non risponda, utilizzando |5| la memoria, che è Socrate. Se dunque anche ne svolge la forma, divide parte per parte i dati che la fantasia [: rappresentazione] ha reso; se dunque si domanda se è buono, può verbalizzare la risposta esprimendo le cose che ha conosciuto mediante la sensibilità, ma ciò che verbalizza su questi oggetti l’ha ormai da se stessa, avendo il canone del bene presso se stessa.
Come ha il bene presso se stessa? |10| Giacché è agatoide [: ha la forma del bene] e s’è irrobustita dunque per esaudire l’obiettivo d’aver sentore di questa talità [: del bene], giacché il nous [: l’intelletto] offre la sua lampa su di essa; siccome questa è la parte pura della psiche [: dell’anima] e riceve tracce del nous [: dell’intelletto] occorrente al di sopra. Perché dunque questo non è nous [: intelletto], mentre le altre parti sarebbero psiche [: anima], cominciando dall’estetico [: dalla facoltà sensitiva]?
Perché la psiche [: l’anima] dev’essere interessata dai ragionamenti; tutte queste funzioni, dunque, |15| son atti della facoltà raziocinante.
D’altronde perché non ci alieniamo dalla questione dando a questa parte il pensare se stessa? Perché abbiam dato a essa l’ispezionare le esteriorità e praticarlo appieno, mentre supponiamo che al nous [: all’intelletto] spetti d’ispezionare le cose che gli appartengono e quelle che son in lui. Ma se qualcuno domanderà: «Che cosa quindi vieta che questo [: la ragione discorsiva] ispezioni le cose che gli appartengono con un’altra facoltà?», |20| oggetto della sua ricerca non saranno né il dianoetico [: il pensiero discorsivo] né il logistico [: la facoltà raziocinante], bensì assume il nous [: l’intelletto] puro.
Che cosa quindi vieta che nella psiche [: nell’anima] vi sia il nous [: l’intelletto] puro? Nulla, professeremo; peraltro si deve legare eziandio questo alla psiche [: all’anima]? Non professeremo ch’è della psiche [: dell’anima], professeremo d’altronde ch’è nostro nous [: intelletto], che, benché sia altro [: diverso] dal pensiero discorsivo |25| e sia venuto a occupare un posto eminente [rispetto al suo], simultaneamente è comunque nostro, anche se non merita che lo contiamo fra le parti della psiche [: dell’anima]. Oppure nostro e non nostro; per ciò anche l’utilizziamo e non l’utilizziamo ‒ la dianoia [: il pensiero discorsivo] invece [la utilizziamo] sempre ‒, ovvero è nostro perché l’usiamo, perché non l’utilizziamo invece non è nostro.
Questo utilizzare, dunque, che |30| è? Forse che noi ci siam proprio rigenerati come quello, e la nostra voce suona come lui? Piuttosto siam conformi a lui; siccome noi non siam nous [: intelletto]; conformi a quello quindi: il logistico [: la facoltà raziocinante] pristino lo riceve.
E difatti sentiamo mediante la sensibilità, anche se non siamo noi i senzienti; forse quindi anche pensiamo discorsivamente [: dianooumetha] in questo modo e in questo modo pensiamo mediante intelletto [: dia nou]? |35| Beh no: siam noi stessi a ragionare e noi stessi pensiamo i pensieri nella dianoia [: contenuti del pensiero discorsivo]; siccome questo è il nostro io. Quindi in questo modo le funzioni messe in atto dal nous [: dall’intelletto] vengono dall’eminenza, come quelle effettuate dalla sensibilità vengono dal basso; siamo questa parte comandante della psiche [: dell’anima], media tra due facoltà, una peggiore, l’altra più valida: la peggiore è la sensibilità, |40| mentre la migliore è il nous [: l’intelletto], D’altronde sembra dottrina condivisa che la sensibilità sia eternamente [: sempre] nostra ‒ siccome sentiamo eternamente [: sempre] ‒, mentre nell’ambito del nous [: dell’intelletto] avviene di dubitare, sia perché non eternamente [: sempre] ce ne [avvaliamo] sia perché è separato: separato dunque in questo: esso non annuisce, tutt’altro: noi, meglio, [annuiamo] a esso mirando l’eminenza. La sensibilità dunque per noi |45| è angelo [: messaggero], mentre egli è re nei nostri confronti [1].
Note
[1] Platone, Filebo, 28 c 7.
La traduzione dal greco è condotta sul testo dell’editio minor Henry-Schwyzer:
Plotini Opera, ediderunt P. Henry et H.-R. Schwyzer, 3 voll., Clarendon Press, Oxford 1964-82.
Brano seguente: Plotino, Enneade V 3 [49: Sulle ipostasi conoscitrici e su quel ch’è al di là], 4