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Plotino, Enneade V 3 [49: Sulle ipostasi conoscitrici e su quel ch’è al di là], 15

Plotino, Enneade V 3 [49: Sulle ipostasi conoscitrici e su quel ch’è al di là], 15

Mag 02

 

 

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15. Ma come ha modo di donarle? O coll’averle o col non averle. Ma come ha modo di donare quelle che non ha? D’altronde, se [le ha donate] avendole, non sarà semplice; se invece [le ha donate] non avendole, come emerge da esso la pluralità? Siccome forse qualcuno potrebbe concedere che da esso emerga un singolo semplice ‒ comunque, toh, anche |5| questo potrebbe essere un obiettivo per la ricerca: come emerge dal totalmente singolo [: uno]; è altresì similmente evocabile come dalla luce emerga la lampa pervasiva espandentesi a partire da essa ‒, come invece [l’uno produrrà] i più [: molti]? Beh, quel ch’emerge da quello non dovrà essere identico a quello. Se quindi non è identico, neanche è, ecco, più valido; che oggettività difatti potrebbe esser più valida del singolo [: dell’uno] o in generale al di là [di esso]? Sarà inferiore allora; questo dunque indica ch’è più indigente. |10| Che cosa dunque è più indigente del singolo [: dell’uno]? Beh, il non-singolo [: non-uno]; allora i più [: molti]; comunque [non-uno] proiettantesi insieme sull’obiettivo del singolo [: dell’uno]; singolo-più [uno-molti] allora. Difatti tutto quel che non è singolo [: uno] è serbato nell’essere per merito del singolo [: dell’uno] ed è ciò che è per merito di questo; se difatti non diviene singolo [: uno], anche se formato da più coefficienti, non è ancora ciò che si direbbe ch’esso sia; e anche se qualcuno avesse modo di giudicare ciò che ciascuno è, può giudicarlo per questo, perché ciascuno di essi è un singolo |15| ed è per questa stessa legge. Quel che invece, non avendo i più [: molti] in se stesso, è già singolo [: uno] non per essere partecipante del singolo [: dell’unità], bensì [essendo] singolo [: l’uno] stesso, non è predicato di altro, tutt’altro: [è uno] perché questo, ciò da cui in qualche modo derivano anche le altre cose, le une da vicino, le altre invece da lontano. Giacché l’oggettività dopo di esso manifesta anche che è dopo di esso per questo: la sua pluralità è singola [: una] dappertutto; |20| e difatti, essendo pluralità, è insieme nell’identico e non avresti modo di discernerlo [: frazionarlo], giacché son assieme tutte le cose [10]; giacché anche ciascuna delle singole oggettività emergenti da esso, sinché ha partecipazione della vita, è singolo-più [uno-molti]; [l’intelletto] non può difatti indicare se stesso qual singolo-tutti [: uno-tutto]. Quello [: l’uno] invece [indica] se stesso qual singolo-tutti [: uno-tutto], giacché è un magno principio; principio difatti è singolo [: uno] ontologicamente essente e non-latentemente singolo [: veramente uno]; quel che invece è dopo il |25| principio è tutte le cose siccome ha partecipazione del singolo [: dell’uno] e in questo modo il singolo [: l’uno] ha pesato come oberando, e qualunque sua cosa è tutte le cose e ancora singolo [: uno].

Quali son quindi tutte le cose? Quelle di cui quello è principio. In quale modo dunque quello è principio di tutte le cose? Forse perché le conserva nell’essere facendo sì che ciascuna di esse sia singola [: una]? |30| Già, ma anche perché ha suscitato la loro esistenza. Come dunque? Beh, per questo: le aveva a priori.

D’altra parte s’è verbalizzato che in questo modo sarà pluralità. Orbene, le aveva in questo modo, come non discrete, altroché; queste dunque si son discriminate nel secondo attraverso il logos [: pensiero]. Ecco che son ormai energia [: atto]; questo [: l’uno] comunque è potenza di tute le cose. Ma qual è il tropo [: modo] della potenza? Non |35| è difatti il modo in cui si giudica che la materia è in potenza, perché riceve; siccome è passiva; ma questo [modo dell’uno] si mette in opposizione all’altro in questo: realizza; come quindi realizza le cose che non ha? Siccome non [lo fa] come capita a caso; né riflette intenzionalmente su che realizzerà, realizzerà comunque. Ebbene, s’è verbalizzato che, se qualcosa emerge dal singolo [: dall’uno], dev’essere altro rispetto a esso; essendo dunque altro è non-singolo [non-uno]; questo [: l’uno] difatti era lui. Se dunque non è singolo [: uno] bensì due, di necessità è già anche pluralità; |40| e difatti vi son già altro e identico e quale e le altre [determinazioni].

Ordunque, che queste [determinazioni] di quello [: dell’intelletto] non siano singolo [: uno], ciò potrebbe dirsi dimostrato; che siano pluralità e pluralità tale quale è contemplata teoreticamente in quel ch’è dopo di esso, comporta un’aporia degna d’esser riportata; la necessità, dunque, di questo [essere] dopo di esso va eziandio sottoposta a ricerca.

 

Note

[10] Anassagora, frammento B 1 Diels-Kranz.

 

La traduzione dal greco è condotta sul testo dell’editio minor Henry-Schwyzer:
Plotini Opera, ediderunt P. Henry et H.-R. Schwyzer, 3 voll., Clarendon Press, Oxford 1964-82.

 

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