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Plotino, Enneade V 3 [49: Sulle ipostasi conoscitrici e su quel ch’è al di là], 1

Plotino, Enneade V 3 [49: Sulle ipostasi conoscitrici e su quel ch’è al di là], 1

Gen 24

 

 

1. Forse che il pensante se stesso dev’essere variopinto affinché, guardando teoreticamente le altre cose con qualcuna di singola di quelle presenti in esso, in questo modo dunque sia giudicato pensare se stesso, siccome quel ch’è in tutto e per tutto semplice non può ottenere di volgersi a se stesso e alla coscienza intelligente di sé? Oppure è qualificato, anche |5| non essendo effetto di composizione, per avere noesi [: intelligenza] di se stesso? Quel che difatti è giudicato pensare se stesso perché effetto di composizione, per il fatto che, dunque, con una singola cosa in sé pensa le altre, come se per mezzo della sensibilità assumessimo la percezione della nostra forma e di [ogni] altra natura del corpo, non può avere il pensare sé come non-latenza [: verità] esige; difatti il tutto non sarà, in |10| tale circostanza, conosciuto, siccome colui che avrà pensato le altre cose che son con lui non avrà pensato anche se stesso, e dunque l’oggetto della ricerca non sarà questa cosa pensante se stessa, tutt’altro: un altro pensante un altro.

Si deve allora identificare anche nel semplice la coscienza intelligente di se stesso e ispezionare come questo avvenga, se possibile, oppure distanziarsi da questa dottrina secondo la quale qualche ente possa realmente pensare se stesso. |15| Ebbene, distanziarsi da questa dottrina è del tutto impossibile siccome ne viene una pluralità d’assurdi; e difatti se non dessimo questo alla psiche [: all’anima] sarebbe quasi totalmente assurdo, ma non darlo alla natura del nous [: dell’intelletto] sarebbe in tutto e per tutto assurdo, altroché, sicché [l’intelletto] avrebbe conoscenza delle altre cose e tuttavia non si costituirebbe in conoscenza e episteme [: scienza] di se stesso. |20|

E difatti a percepire le esteriorità è la sensibilità anziché il nous [: l’intelletto], che non le assumerà percettivamente, e, se vuoi, dianoia [: riflessione] e opinione; se comunque il nous [: l’intelletto] di queste abbia conoscenza o no, conviene ispezionarlo; quanto, comunque, è intelligibile, è manifesto che il nous [: l’intelletto] lo conoscerà. Forse allora rimane conoscente solo di essi [: degli intelligibili] o anche di se stesso, che conosce questi? E allora forse conosce se stesso in questo modo, |25| giacché rimane conoscente solo di questi, mentre non conosce chi è, d’altronde conosce che conosce le sue proprietà, e comunque non conosce più chi è? Oppure [conoscerà] sia le sue proprietà sia se stesso?

 

La traduzione dal greco è condotta sul testo dell’editio minor Henry-Schwyzer:
Plotini Opera, ediderunt P. Henry et H.-R. Schwyzer, 3 voll., Clarendon Press, Oxford 1964-82.

 

Brano seguente: Plotino, Enneade V 3 [49: Sulle ipostasi conoscitrici e su quel ch’è al di là], 2

 

 


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